Accelera la possibile intesa internazionale per una tassazione delle società multimediali. Ad annunciarlo è stato il nostro ministro dell’Economia Daniele Franco dopo il G20. La web tax trova l’assenso di Washington, con l’uscita di scena di Trump e l’avvento dell’amministrazione Biden.
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Web tax:gli USA ritirano la clausola del “porto sicuro” e si va verso un’intesa internazionale
Durante una conferenza al termine del G20, che si è svolto ieri da remoto, il Ministro Italiano dell’Economia Franco ha annunciato un accelerazione sul tema della web tax, con un accordo internazionale entro la metà del 2021. Le riforme, ha riferito il ministro, che ha fatto l’esempio della Microsoft, si concentreranno sulle società multinazionali fissando aliquote minime su tutti i paesi e sul meccanismo di ripartizione dei profitti. I colossi del web entreranno a far parte di un “di cui” di un progetto d’intesa di scala globale.
Janet Yellen il segretario al Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato che sono pronti al ritiro della cosiddetta clausola proposta di “porto sicuro” che fino ad oggi ha complicato il dialogo sul tema tra i membri dell’Ocse. Si va incontro ad un grande passo in avanti per questa riforma di tassazione internazionale. Una manovra che in molti hanno definito una “questione urgente” visto il ruolo assunto dai servizi digitali.
Questa è la direzione intrapresa dai grandi paesi mondiali ma come reagiranno i grandi colossi della rete?
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Il braccio di ferro tra Australia e Facebook

Come era presumibile gli animi dei grandi colossi del web non si sono placati sul tema della web tax, nonostante l’accordo raggiunto tra Facebook e il governo Australiano. La situazione Europea sulla web tax sembra più spinosa. Microsoft si è appena schierata contro le “colleghe Big Tech” Google e Facebook e dalla parte degli editori.
Il pomo della discordia risiede nell’idea condivisa da molti governi mondiali, che i social e i motori di ricerca devono pagare gli editori per gli articoli condivisi o riprodotti sulle loro piattaforme. Si parla infatti di “link tax” che rappresenta l’esatto opposto della filosofia su cui è basato il web. Gli editori a loro volta si trovano a vivere in una profonda contraddizione. Da una parte parte ambiscono ad avere più soldi, ma allo stesso tempo sono consci che la presenza sui social e su Google è indispensabile per la sopravvivenza.
Quello che deve essere trovato è un equilibrio molto sottile e delicato come ha manifestato il braccio di ferro dei giorni scorsi tra Faceboks e l’Australia.
Il governo La proposta di legge australiana proponeva di risolvere la questione trovando un accordo commerciale fra le parti. Qualora questo non fosse rispettato sarebbe potuto intervenire un organo arbitrale esterno. È proprio sui dettagli che Facebook si è scontrato con il governo australiano, arrivando a bloccare in toto la condivisione di articoli sulla propria piattaforma.
Ma la partita è tutt’altro che chiusa e si aspetta di capire se e quando si arriverà ad un intesa internazionale sulla web tax.