venerdì, Aprile 18, 2025

Veli: intervista allo scrittore Maurizio J. Bruno

Nel 2017 esce la pubblicazione di Veli, il libro dal genere narrativo fantasy, di Maurizio J. Bruno. Lo scrittore realizza un’opera dalle vicende entusiasmanti, che muovono all’unisono un thriller ed un romanzo d’azione.

Di fatto, il lettore entra negli intrecci dei personaggi e di una storia dall’ambientazione italiana, nella magia della città di Roma. Oltre le idee di una spy story e di un romanzo, dove lo stile originale narrativo dello scrittore accoglie numerose forme espressive di genere.

Veli: Maurizio J. Bruno chi è?

Maurizio J. Bruno nasce nel 1964 a Pinerolo, nella provincia torinese. Dal territorio piemontese, Maurizio cresce a Nocera Inferiore, a Salerno. Nel 1991, J. Bruno consegue la laurea in ingegneria elettronica, presso l’Università di Napoli. Dopo quindici anni, J. Bruno ottiene il titolo di progettista elettronico, per Olivetti. Oggi, lo scrittore vive a Rieti, dove svolge l’attività di manager per lo sviluppo di nuovi prodotti, di un’azienda italiana, leader nel settore elettromeccanico.

Negli anni Novanta nasce il sito internet dell’autore Il Rifugio degli Esordienti, riferimento per gli scrittori italiani emergenti. In seguito, J. Bruno diviene Presidente dell’Associazione DANAE (Distribuzione Autonoma Nazionale Autori Esordienti). Tutt’oggi, lo scrittore collabora anche con alcune riviste e tra le sue principali opere e successi letterari, ci sono: Ralf, Eden, Veli, Il Filo d’Inchiostro.

Veli: il pensiero dello scrittore

Dall’intenzione di un’opera che unisce il romanzo alla storia, alla scienza ed ai sentimenti, Veli racconta gli intrecci di più scenari. Anche l’unione di differenti tematiche, che enunciano la volontà di un abbraccio tra le distanze del presente e del passato. L’autore concentra l’attenzione introspettiva del lettore, sulla capacità umana di vicinanza ed accettazione delle differenze.

Mentre, la storia di una coppia esorta una lettura senza freni, nella narrativa che trasporta il pensiero lontano. Tra l’azione delle vicende di un thriller ed i sogni che rincorrono la fantasia, nella dimensione magica di un romanzo. Consegue il mistero che avvolge la storia, con la realtà sentimentale dei personaggi, senza tempo.

Di fatto, in Veli come in altri romanzi dell’autore, l’aspetto tecnologico diviene prevalente, in quanto espressione di se stesso. Ecco il viaggio del lettore, nella dimensione anche del tecnicismo della scienza, dove l’opera esprime lo stile fantasy, tra presente e passato, con tematiche attuali.

Veli: recensione del libro

Un ingegnere spaziale ed una storiografa, nell’incontro che premia i sentimenti, dalla scenografia della città di Roma. A fronte di ciò, i protagonisti del romanzo attraverso variegate vicende affrontano la storia del 1700. Attraverso le corti della Napoli borbonica, tra i salotti del Settecento compare la figura imponente, del principe e scienziato di Sansevero.

Intanto, Sandra con le ricerche storiche presso la Biblioteca Vaticana entra nelle oscure verità, della Santa Inquisizione. Mentre, l’uomo esegue impianti ambientali per la sicurezza dell’acqua ed aria, sulla navicella spaziale, in partenza per il pianeta rosso. A ragion per cui, l’incontro dell’ingegnere con la storiografa avviene nonostante le due persone appartengono a due mondi opposti.

Ecco l’autore, che invita il lettore alla riflessione sulle differenze sociali ed individuali, con l’obiettivo di accorciare le distanze umane mentali. Attraverso un romanzo thriller, con l’unione di psicologia, scienza, sentimenti, storia ed un po’ di surrealtà, lo scrittore coinvolge la lettura. Tuttavia, i rapporti umani, l’avventura, la fantascienza, gli intrecci sociali ed amorosi, secondo lo scrittore rientrano nel romanzo di formazione.

Di fatto, lo scrittore pone l’attenzione sull’attualità di una narrativa multiforme, che unisce la storicità del ‘700 e la scienza del viaggio su Marte, nei sentimenti senza tempo. Ecco l’originalità del libro, che regala al lettore la sensazione di vivere le vicende in molteplici dimensioni, con la capacità di superare gli ostacoli mentali delle diversità.

Come si presenta Maurizio J. Bruno ai lettori?

Io sono un ingegnere e mi occupo ogni giorno di tecnologie innovative. Queste sono alla base del mio lavoro quotidiano che consiste nell’immaginare, insieme al mio team, i nuovi prodotti che l’azienda italiana per cui lavoro lancerà sul mercato mondiale nei prossimi mesi. Tutto ciò influenza inevitabilmente gran parte della mia indole, o forse è stata la mia indole ad indirizzarmi verso questo tipo di lavoro.

Fatto è che immaginare, ideare, escogitare nuove soluzioni e, a volte, fantasticare è ciò che faccio di continuo. Una parte di queste idee si concretizzano in prodotti reali, ma una parte considerevole di esse, quelle più immaginifiche, restano soltanto idee. Forse sogni, che possono trovare un loro sbocco soltanto nell’altra attività alla quale mi dedico con passione: la scrittura.

È così che nascono i miei romanzi, dalla prorompente pressione che le storie fantastiche che mi vengono in mente esercitano sulla superficie interna del mio cranio. Senza darmi tregua fino a quando non riesco a dar loro lo spazio che si meritano, per venir fuori nelle mie trame, nei miei racconti, nei miei personaggi.

Veli: cosa rappresenta per lei la scrittura contemporanea? – prima parte –

La scrittura in genere ha, secondo me, un valore intrinseco e ineguagliabile. Da quanto ho già scritto, si capisce che il dar sfogo alle mie fantasie è un bisogno reale del mio essere, che prescinde dal fatto che quel che scrivo venga poi pubblicato e letto da qualcun altro. Credo che questo sia un concetto molto importante da sottolineare.

Negli ultimi anni, grazie anche alle possibilità offerte dalla rete, la passione per la scrittura è cresciuta tantissimo. Forse anche troppo. Sicuramente, e questo è strano, è cresciuta molto più della passione per la lettura. Come se la facilità di arrivare a pubblicazione, magari all’auto-pubblicazione, avesse dato a tutti l’illusione di potersi trasformare in scrittori, nel senso professionale del termine.

– seconda parte –

Scrivere è importante, per tutti. Consente di dar sfogo ai propri pensieri, apre un canale di comunicazione con la parte più interna di noi stessi e ci consente di raccontare, innanzitutto a noi stessi, cose che non abbiamo il coraggio di dirci. Per questo, la pubblicazione non è necessariamente lo scopo finale per tutto ciò che si scrive.

Non tutto quello che si scrive è adatto ad esser letto da altri. Di diari segreti è piena la storia ed è un bene per tutti, anche e soprattutto per i lettori, che la maggior parte di quei diari sia rimasta segreta. Il mio invito, quindi è a leggere tanto, tantissimo, soprattutto i classici ma anche gli altri esordienti, e a scrivere per sé stessi, non con l’obiettivo che quel scriviamo debba essere pubblicato e poi letto da occhi estranei.

– terza parte –

La pubblicazione, se ci sarà, dev’essere solo la ciliegina sulla torta di un’attività, che deve trovare la sua intrinseca gratificazione in sé stessa. Un po’ come quando si va a correre per tenersi in forma: non lo si fa perché si pensa di diventare atleti professionisti e di trasformare quell’attività in un’attività professionale.

Lo si fa per star bene con sé stessi. Poi… uno su mille scopre anche di avere delle capacità atletiche superiori alla media e per lui si apriranno altre strade. Ma quell’attività motoria ha un suo senso ed è un bene non solo per quell’uno su mille che diventerà un atleta professionista, è utile e importante anche per tutti gli altri.

Per tutti coloro che hanno corso solo per scaricare lo stress di una pesante settimana di lavoro, per quelli che devono staccare la batteria da una difficile situazione familiare. E anche per quelli che lo fanno per il solo piacere di buttarsi poi, stanchi e sudati, sotto la doccia.

Veli: cosa pensa sulla letteratura narrativa di oggi?

A me piace leggere e sono praticamente onnivoro. Mi interessano soprattutto le storie con un po’ di mistero, ma solo quando queste servono da sfondo. Come nei miei romanzi, per approfondire le psicologie dei personaggi, quasi fossero un espediente letterario per poter raccontare sentimenti e rapporti umani nascosti, dietro il paravento della finzione.

E ce ne sono di libri così, sia nei classici del genere che negli esordienti che continuo a seguire con attenzione. Cerco anche di dar vita a delle iniziative, soprattutto in rete, per dar loro spazi e occasioni per farsi conoscere.

Veli: quando nasce l’interesse per la scrittura?

Io ho sempre letto e scritto molto. Ovviamente, in età pre-adolescenziale erano i fumetti l’oggetto preferito delle mie letture, ma anche delle mie scritture. In disegno non sono proprio un asso, ma avevo inventato dei personaggi e con essi creavo delle storie a fumetti. Poi già al liceo la passione per le storie avventurose, sia da leggere che da scrivere, prese il sopravvento e da allora, non ho mai smesso.

Veli: ci sono scrittori dai quali trae ispirazione?

Ce ne sono così tanti che mi sembra addirittura offensivo citarne solo alcuni e non altri. Sicuramente il fatto di aver letto tutto di Ken Follett avrà avuto il suo peso nel mio modo di scrivere. Ma anche Clive Cussler, Tom Clancy o i nostri Luca Masali, Carlo Lucarelli, Maurizio Di Giovanni. E se proprio dovessi trovare un nome, un nome singolo al cui stile di scrittura vorrei poter tendere, citerei Michael Crichton!

Veli: perchè la scelta della narrativa?

Perché solo Dante Alighieri poteva permettersi di raccontare in versi storie fantastiche, con lo scopo reale di voler parlare di ben altro…

Veli: qual’è il significato della poesia per Maurizio J. Bruno?

Mi spaventa. Non mi sento pronto. Qualsiasi testo si completa con la componente che il lettore aggiunge ad esso. È questa la forza della scrittura rispetto ad altri generi di comunicazione. Lo scrittore descrive, ma è il lettore che poi compone, nella sua mente, la personalità il volto, l’espressione del protagonista. Nella poesia questo processo è ancora più accentuato.

Il poeta dà un’ispirazione, un’idea, un accenno di ciò che vorrebbe raccontare, ma è il lettore a fare la parte più grossa e pesante del lavoro. E, quando leggo una poesia, ho sempre la paura, il terrore, di dare al testo un significato totalmente diverso da quello che era nella mente dell’autore. Di travisare così il messaggio e il senso che il poeta voleva dare al suo scritto. Lo so, è un limite. Ma questo mi allontana fortemente dalla poesia.

Veli: cosa vuole trasmettere al pubblico, con i suoi libri?

Come ho già detto, io non scrivo perché voglio trasmettere qualcosa a chi mi legge. Le mie storie nascono per dar sfogo alle mie fantasie. Poi, ho avuto la fortuna di incontrare sul mio cammino un editore in gamba come Marco Solfanelli. Egli ha saputo vedere oltre e rendersi conto che quelle storie potevano appassionare, divertire e far pensare anche tanta altra gente.

E questo ha trasformato quelle storie in romanzi. Ma se dovessi fare un’analisi, per dire cosa vorrei che restasse ai miei lettori dopo aver letto i miei libri, oltre alla soddisfazione di aver passato alcune ore di relax in un mondo “diverso”, mi piacerebbe che restasse in loro l’idea che le differenze tra le persone, tra le culture, tra i generi, sono una ricchezza. Che i migliori risultati si ottengono quando mondi diversi vengono a contatto tra loro.

Come gli archeologi e gli scienziati in EDEN, come una storiografa e un ingegnere in VELI, o come Italiani e Statunitensi in RALF. Via i muri, via le barriere. Non lasciamo che il diverso ci spaventi e ci appaia un pericolo.

Al contrario, apriamoci quanto più possiamo e lasciamoci “influenzare” da chi abbiamo accanto. Non abbiamo nulla da perdere, solo da guadagnare a frequentare chi è diverso da noi! La contaminazione culturale è una ricchezza preziosa. Forse l’unica che può salvare questo pianeta.

Veli: si sente soggetto e protagonista della sua opera letteraria?

In ogni libro, di ogni scrittore, c’è sempre un po’ dell’autore in ogni personaggio. Ciò premesso, per chi legge i miei libri e scopre che il protagonista è un ingegnere, come me, o un ricercatore che soffre di vertigini, è facile immaginare che si tratti di un racconto autobiografico. Ma non è così.

Certo, un po’ di me in questi personaggi c’è, ma c’è di me anche in altri personaggi secondari, perfino in quelli femminili. Come c’è un po’ di altri, di persone reali che ho incontrato, e anche di persone che sono reali solo nella mia mente, sia nei protagonisti che negli altri personaggi dei miei libri.

Ovvio che gli argomenti che tocco, non quelli fantastici e avventurosi propri della storia, ma quelli relativi ai rapporti relazionali tra i personaggi sono quelli che mi interessano di più. E quelli che ho provato sulla mia pelle: la relazione con la persona amata, il bisogno di essere sé stessi. Ma anche di voler essere ciò che il nostro partner si aspetta da noi, il continuo conflitto tra testa e cuore, tra ragione e sentimento, tra utile e giusto.

Sono argomenti che mi toccano e mi hanno sempre toccato personalmente. Ma non sempre, le soluzioni che i miei personaggi trovano a queste problematiche nei miei romanzi sono quelle che ho adottato io, nella realtà. Forse sono “altri me” che, in universi paralleli, hanno fatto scelte diverse, da quelle che ho fatto io nell’universo reale…

Come avviene la scelta dei personaggi del libro?

Sono loro che mi chiedono di entrare in gioco. Sembra uno scherzo, ma è proprio così. La storia, spesso, si scrive da sola ed è lei che si porta dentro i personaggi di cui ha bisogno, attingendo dal database di identità reali o immaginarie presente nel mio cervello. Ovviamente, i personaggi principali del libro mi vengono in mente insieme alla storia e ne fanno parte integrante.

Oppure, come nel caso di Raimondo Di Sangro nel mio VELI, sono personaggi storici reali che mi hanno sempre affascinato e sui quali ho sempre fantasticato. Poi però, la storia prende corpo e poiché mi piace descrivere i miei personaggi a tutto tondo, intorno a questi protagonisti essenziali, ho bisogno di costruire tutta una rete di relazioni e personalità.

Essi risultano funzionali alla trama del libro o servono a permettere ai personaggi principali, di tirar fuori alcune caratteristiche che voglio rendere evidenti nella vicenda. Spesso, questi personaggi sono un mix di più elementi tratti da persone reali, che mi trovo ad incontrare nella mia vita di tutti i giorni. E che raccolgo, quasi fossero mattoncini da utilizzare poi per costruire i miei personaggi.

Per ognuno di loro, comunque mi creo una specie di carta di identità, una scheda che tengo da parte. Essa racchiude le loro principali caratteristiche: nome e cognome, età, colore dei capelli, ruolo e così via e che mi serve per evitare errori nella storia e per costruire bene la narrazione.

Può raccontare quando e come nasce il suo libro?

Se parliamo di libri pubblicati, il primo a vedere la luce fu la prima edizione di RALF. Cominciai a scrivere questo romanzo qualche anno dopo la mia laurea e, quasi inaspettatamente, giunse in finale al Premio Urania nel 1998. E l’anno dopo vinse un concorso per narrativa inedita indetto da una casa editrice di Torino, la Taurus, che purtroppo non esiste più e che lo pubblicò per la prima volta.

RALF ha poi avuto diverse edizioni fino all’ultima, notevolmente rivista e arricchita, pubblicata un paio d’anni fa da Tabula Fati, la mia attuale Casa Editrice. Ma RALF non è la prima cosa che ho scritto.

Ci sono diversi altri racconti e romanzi scritti in precedenza e che non sono e non saranno mai pubblicati perché troppo acerbi e inadatti alla lettura di un pubblico estraneo. Bisogna essere abbastanza maturi per capire quanto e cosa di quello che si scrive può arrivare a pubblicazione e quanto, invece, è giusto che resti in un cassetto…

Crede che la scrittura sia solo una forma espressiva? Perchè?

Come ho già detto, la scrittura è molto di più. È una terapia per auto psicanalizzarsi… È una compagna nei momenti più bui della nostra vita… È una valvola di sfogo che evita che la pressione psichica interna raggiunga valori troppo elevati…

È un rifugio per poter lasciar libera la fantasia quando, nel lavoro e nella vita di tutti i giorni si è costretti a rimanere coi piedi ben piantati per terra e questo diventa un vincolo troppo grosso da sopportare… La scrittura è molto di più di quello che si potrebbe pensare…

Cosa consiglia Maurizio J. Bruno agli aspiranti autori?

Innanzitutto, di considerare il rapporto cento a uno, come il minimo indispensabile tra quello che si legge e quello che si scrive. Anzi, per scrivere un buon libro devi aver letto cento libri buoni… e questo può voler dire averne letto almeno cinquecento… E poi, come dicevo prima, non bisogna scrivere con la presunzione di essere letti.

Bisogna imparare a scrivere per il piacere di scrivere, non per quello di essere letti. Inoltre, bisogna far rete con gli altri, collaborare con altri autori nell’organizzazione di eventi. Partecipare a serate di presentazione dei libri degli altri, non con invidia, ma con il desiderio di imparare, di crescere, di capire come muoversi e di conoscere le persone dell’ambiente.

Come dico sempre, trovare un buon editore è come trovare un fidanzato. Non tutti vanno bene per tutti, bisogna cercarsi, frequentarsi e capire qual è quello giusto. Non si può sparare nel mucchio e poi lamentarsi se la relazione non funziona…

Ha come sogno nel cassetto, un nuovo libro?

Lavorare ad un nuovo libro non è, per me, un sogno nel cassetto. È un’abitudine. Io ho sempre qualcosa su cui lavoro, ho sempre il bisogno di avere un mio spazio in cui lasciar libera la mia fantasia. Purtroppo, poiché il tempo che il mio lavoro manageriale mi lascia per scrivere è sempre poco, la mia produttività letteraria è scarsa.

Ma questo non vuol dire che io smetta di scrivere, questo non lo faccio mai! Se vuoi sapere se anche adesso sto scrivendo qualcosa la risposta è sì, ovviamente. Ho un progetto a corto termine, un’antologia cui mi hanno invitato a partecipare e che dovrebbe vedere la luce a breve. E poi ho un mio romanzo nuovo, al quale sto già lavorando da un po’, ma che non ti so dire quando sarà ultimato.

Posso solo dirti che, per il taglio che gli ho dato, non è una di quelle cose destinate a restare in un cassetto ma è un romanzo che, prima o poi, andrà in stampa. Per la gioia, spero, dei miei lettori!

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