Con l’inizio dell’era Trump sembra configurarsi un nuovo ordine mondiale che vede nell’asse anglo-americano il suo saldo fondamento. Trump incarna nella sua stessa persona una svolta radicale di indirizzo della politica mondiale. Antiglobalizzazione, protezionismo, antieuropeismo sono parole cardini della visione politica del nuovo presidente americano che trova un parallelismo nel primo ministro britannico Theresa May.
Se si prendono in esame i discorsi di Trump e della May non mancano interessanti punti di contatto che delineano una nuova visione condivisa anglo-americana. In primis il richiamo alle fasce più deboli della popolazione che non sono mancati sia nel discorso inaugurale di Trump, sia nel discorso sulle modalità della Brexit del primo ministro del Regno Unito. Entrambi non mancano di ribadire l’esigenza di una riforma economica e sociale capace di “costruire un’economia più forte e una società più giusta”.
Ma quello che gli accomuna più di tutto è il richiamo a vedere le proprie nazioni grandi nuovo, emergenti in questo periodo di cambiamenti mondiali come dei paesi più forti, più equi, più lungimiranti di quanto non siano stati in passato. Ed ecco che in entrambi questi leader emergono richiami a dei piani che permettano alle rispettive nazioni di rinegoziare gli accordi vigenti con le altre nazioni e di realizzare nuovi accordi che, come ha detto Theresa May,“permetta di ottenere condizioni migliori per i lavoratori di casa nostra”. Richiamo questo che è lo stesso di quello fatto da Trump nel suo discorso inaugurale dove ha detto chiaramente che per molti decenni gli Stati Uniti hanno arricchito le industrie estere. “Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sugli affari esteri sarà fatta per beneficiare i lavoratori americani e le famiglie americane; dobbiamo difendere i nostri confini dai saccheggi degli altri paesi che rubano le nostre compagnie e distruggono la nostra occupazione”. Ed ha continuato dicendo che bisogna rinegoziare i trattati vigente con lo scopo di favorire gli Americani, ”gli Americani assumeranno gli Americani”.
Una critica alla delocalizzazione, conseguenza della globalizzazione, che è considerata una delle cause del malessere del ceto medio, in quanto “la ricchezza della classe media, tolta dalle case, è distribuita in tutto il mondo”. Per questo il richiamo a mettere prima di tutto i lavoratori del proprio paese e scongiurare che imprese siano ”rubate” da altri paesi producendo la distruzione dell’occupazione.
La visione comune che emerge da entrambe queste figure disegna un nuovo ordine che rappresenta un netto passo indietro per la globalizzazione, non più vista come un dogma, non temendo di affermare che “la protezione porterà più prosperità”. Il richiamo al protezionismo e l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, con il sostegno del nuovo presidente americano, sembrano ridisegnare un nuovo ordine mondiale che rappresenta un punto di rottura con il recente passato. Giulio Tremonti, giorni prima dell’inizio della presidenza di Trump, non ha esitato a dire che “è la fine di un’epoca. È la fine dell’utopia della globalizzazione”.