In America la chiamano “love addiction”, qui in Italia è comunemente chiamata dipendenza affettiva, una
tra le nuove dipendenze dell’era moderna.
Oggi un alto tasso di giovani e meno giovani uomini e soprattutto donne non riescono più a distinguere il vero amore, fonte di accrescimento e miglioramento reciproco, dalla tossicomania d’amore. Chi soffre di questo disturbo vede nel proprio partner una fonte di bisogno che deve necessariamente saziare attraverso continue richieste di affetto e di attenzioni, spesso il dipendente affettivo non ha la lucidità necessaria né l’oggettività per capire quando il suo legame affettivo con il partner è solo fonte di deterioramento svilimento e privazione.
Il “love addicted” ossia il dipendente d’amore è quasi sempre un individuo che in età infantile non ha sperimentato l’attaccamento e il conseguente abbandono con uno o entrambi dei genitori. Già nel lontano 1945, un importante psicanalista diagnosticò per la prima volta questa dipendenza come una vera e propria malattia, con sintomi e crisi d’astinenza.
Nonostante ciò, nella società odierna, tale disturbo non è preso realmente in considerazione, in quanto si tende a giudicare chi ne soffre deputandolo un individuo privo di forza, di carattere e di coraggio.
I “malati d’affetto” si sentono quasi sempre troppo fragili per poter trovare la strada meno comoda per affrontare la loro vita da soli, ma l’idea di fragilità che il dipendente ha insita dentro di sé è solo un’idea deviata di ciò che è la vera natura del suo io.
Il “love addicted” si considera una persona non autosufficiente a livello affettivo, ma e’ solo cambiando l’idea sbagliata che ha di se’ che il dipendente riuscira’ a far emergere l’autonomia necessaria.
Infatti il cervello, se lasciato agire sempre allo stesso modo a percorrere sempre la stessa strada per quanto facile e comoda possibile, si atrofizzerà’ sempre più e sarà sempre più’ difficile, per chi soffre di questa forma di tossicomania, uscire da questo circolo vizioso in cui suo malgrado si ritrova.
Sembra difficile guarire da questa forma di ‘‘intossicazione”, però se in primo luogo si raggiunge la consapevolezza del disturbo stesso e quindi chi ha il problema riconosce effettivamente di vivere una relazione malsana, certamente si troverà ad un buon punto di partenza per intraprendere un percorso in cui lui, cioè il dipendente, sarà protagonista della sua stessa vita e dovrà cominciare a vivere la vita per quelli che sono i suoi reali interessi, dovrà imparare a ritagliarsi degli spazi propri, dovrà imparare a fare cose che prima faceva esclusivamente con il suo partner perché credeva che da solo non era in grado di farle.
Molto spesso il “love addicted” sviluppa dei sensi di colpa ogni qualvolta tenta di uscire da quella sorta di prigione in cui lui stesso si è rinchiuso. Tali sensi di colpa nascono perché si pensa che il partner rimanga ferito dal bisogno di riacquistare la propria autostima, sottraendosi al gioco delle parti che lo vede “succube” di un amore deviato. Solo così, però, si può scoprire se il partner ama veramente il suo compagno o ha solo bisogno di somministrargli la “droga d’amore” per il suo compiacimento personale che fa solo accrescere il suo ego e nulla di più.