La rivoluzione romena è stata un passaggio-chiave nella storia della Romania. Le proteste del popolo che partirono alla fine di dicembre del 1989 portarono alla fine del regime comunista guidato da Nicolae Ceausescu. La rivolta, diventata sempre più veemente, sfociò poi nella cattura, nel processo e nella condanna a morte del dittatore e della moglie Elena. Il grande movimento popolare partì dalla città di Timisoara il 16 dicembre 1989.
In Romania la conquista della democrazia giunse con modalità differenti rispetto a quelle degli altri Paesi del Patto di Varsavia, i quali sancirono la fine dei rispettivi regimi in modo pacifico, mentre a Bucarest e dintorni si susseguirono episodi di violenza e stragi di innocenti prima di arrivare al crollo della dittatura di Ceausescu. I cittadini romeni erano ormai sempre più stanchi del regime comunista, ma nonostante ciò, a differenza di quanto stava accadendo negli altri Stati dell’Europa dell’est, non si era ancora verificato un processo di destalinizzazione.

Ceausescu, anzi, aveva varato una strategia economica basata sul blocco della spesa interna e sul rilancio di grandi progetti edilizi per far sì che la Romania potesse sanare il debito pubblico. Questa politica però non fece altro che esasperare ulteriormente il popolo, il quale era sempre più convinto che la dilagante povertà del Paese fosse legata proprio alle nefandezze del dittatore.
Inoltre, anche all’interno del Partito Comunista Romeno cominciarono a formarsi delle correnti che non supportavano più lo storico leader. Non a caso, nel marzo del 1989 fu redatta la cosiddetta Lettera dei Sei da parte di sei componenti del partito contrari al dittatore. Questi però continuò ad andare avanti per la sua strada e accentuò la presenza e l’azione della polizia segreta (Securitate), trasformando di fatto la Romania in uno Stato di polizia.
L’inizio delle proteste a Timisoara e l’escalation della rivoluzione
Nicolae Ceausescu anche in politica estera si distaccò dal Patto di Varsavia, varando un piano del tutto personale. Inoltre non seguì nemmeno la strada tracciata da Mikhail Gorbaciov che nell’URSS aveva dato il via ad una serie di profonde riforme (Perestrojka). Il dittatore romeno infatti preferì rifarsi alla gestione del potere dei potenti dei regimi comunisti dell’Asia orientale, come ad esempio il nord-coreano Kim Il-sung.
Il 16 dicembre 1989, quando il governo decise di cacciar via dal Paese un dissidente ungherese, il pastore riformato László Tőkés, i cittadini di Timisoara scesero in piazza per protestare contro il regime. Il religioso era finito nel mirino del potere centrale perché aveva criticato duramente dinanzi ai mass-media il regime, e dunque era considerato ormai un pericolo perché la sua azione avrebbe potuto far esplodere dei conflitti intestini. Dopo aver ricevuto pressioni dai vertici politici, l’episcopato allontanò Tőkés dal sacerdozio, facendogli perdere anche il diritto a vivere nella casa che gli era stata garantita per il suo ruolo di pastore.
I fedeli, per tutta risposta, si ritrovarono proprio dinanzi alla residenza di Tőkés per impedire che ne fosse allontanato. Questa prima protesta trovò in poco tempo il sostegno di tanti cittadini di Timisoara i quali erano contrari all’ennesimo attentato del potere comunista alla libertà religiosa. Il sindaco Petre Mot, quando si rese conto che la folla non sarebbe andata via facilmente, provò a trovare un compromesso, annunciando che avrebbe riflettuto sull’espulsione del religioso. Tuttavia, nel momento in cui il primo cittadino ribadì che non avrebbe firmato la dichiarazione contro l’allontanamento del pastore, i manifestanti – che nel frattempo erano aumentati di numero – per tutta risposta cominciarono ad intonare degli slogan contro il comunismo romeno.

A quel punto intervennero l’esercito (Miliţia) e la Securitate, ma si trovarono impossibilitati a disperdere il gran numero di persone che nel frattempo si erano riversate in strada. Intorno alle ore 19:30 la situazione a Timisoara cominciò a degenerare, con la protesta che andò ben oltre la vicenda del religioso e assunse i contorni di una ribellione al regime di Ceausescu. Un gruppo di persone provò ad appiccare il fuoco alla sede cittadina del Partito Comunista Romeno (PCR) e le forze di polizia, per tutta risposta, lanciarono lacrimogeni e getti d’acqua, caricarono la folla e scattarono numerosi arresti.
Glory to Hong Kong: nasce l’inno della rivoluzione
I ribelli però non indietreggiarono e si diressero verso la Cattedrale Metropolitana per poi invadere le varie strade cittadine, resistendo anche agli assalti dell’esercito e della polizia segreta. I fatti del 16 dicembre furono solo l’inizio di una lunga serie di eventi che avrebbero causato la morte di diverse persone pronte a sacrificarsi per la democrazia e la libertà della Romania.
Timisoara divenne così il fulcro della rivoluzione romena del 1989 che poi sfociò anche in altre città, arrivando fino all’aeroporto di Otopeni e alla capitale Bucarest. Il 22 dicembre si giunse così alla deposizione di Nicolae Ceausescu, che fu processato per crimini contro lo Stato, genocidio e distruzione dell’economia nazionale. La condanna alla pena capitale e la morte del dittatore e della moglie Elena sancirono l’ultimo atto del movimento rivoluzionario.