giovedì, Aprile 17, 2025

Tecno-entusiasti e tecno-pessimisti. La conoscenza della Rete come risorsa strategica nel mondo contemporaneo

La conoscenza di Internet e dei social media è “semplicemente”.. fondamentale al giorno d’oggi, in qualunque contesto si operi.

Henry Jenkins, Sherry Turkle, entrambe docenti universitari statunitensi, sono autorevoli studiosi di media digitali e del loro impatto psico-sociale nella società contemporanea, (quella che il sociologo Castells definirebbe “società delle Reti”).

In particolare, le tesi dei due studiosi sopra citati, appaiono completamente opposte ed è proprio questo a rendere la “questione web” ancora più intrigante ed attuale.

Per Jenkins , stiamo assistendo ad un positivo cambiamento socio-culturale, ad una evoluzione dei vecchi media, ad un processo tecnologico che ingloba più funzioni in un unico strumento (fenomeno che definisce “Convergenza”) e alla nascita di “nuove abilità partecipative” che coinvolgono il produttore-consumatore in prima persona; per la Turkle invece, non è tutto “rose e fiori”: le nostre relazioni sociali sono sempre più “fredde”, siamo fisicamente presenti ma mentalmente assorbiti dalla tecnologia , inseriti in un macro ambiente virtuale dove si perde sempre più “ il senso di comunità”.

Chi ha ragione? Cosa c’è di dannoso e di vantaggioso per l’individuo nell’utilizzo dei media?

Tutto accade con e nei media , restiamo continuamente “connessi”, a contatto con gli altri grazie alla natura interattiva dei media digitali: gli individui hanno “preso in mano” i media, per citare l’antropologa Mizuko.

Secondo Jenkins, tutto ciò porta degli enormi vantaggi di carattere relazionale-comunicativo ed economico: possiamo determinare il flusso dei contenuti su più piattaforme, interagire in profondità scegliendo quello che vedere ed usare, modificare nuovi contesti.

Si sviluppa cosi una maggiore cooperazione tra pubblico (ora più attivo che mai) ed industria dei media, i cui prodotti culturali diventano sempre più prodotti di nicchia di cui il singolo individuo si appropria, ampliando cosi “l’esperienza della narrazione”.

L’analisi della psicologa Turkle invece, non sembra fornire uno sguardo cosi fiducioso e costruttivo nei confronti delle nuove tecnologie che, fin dall’inizio dei suoi saggi ,definisce trattarsi di “sole macchine in grado di plasmarci”, oggetti che ci portano a condurre “vite parallele in mondi virtuali, scoprendo un nuovo e perverso senso del luogo”.

La macchina diventa la nostra compagna di vita, oggetto da amare e curare, “architetto della nostra intimità”, scrive la studiosa, che ci offre l’illusione della compagnia e allo stesso tempo rafforza le nostre insicurezze evitando le vere relazioni sociali cosi ormai complesse ed impegnative (es. il mondo virtuale di Second Life).

Tesi come queste, si mostrano interessanti e discutibili, ma vi è un aspetto che senza dubbio troverebbe d’accordo noi tutti, compresi i due studiosi: c’è un problema ancora aperto e che andrebbe al più presto preso in considerazione e cioè quello inerente all’etica dei media digitali.

Nell’era della partecipazione, la tecnologia non può dunque continuare ad essere circoscritta solo come “conoscenza profonda della natura”.

Si prospetta la necessità di elaborare e diffondere un nuovo modello di “alfabetizzazione mediatica”, che significa acquisizione di nuove abilità in maniera cosciente e non semplicemente per soddisfare bisogni sociali ed individuali, come tipico degli adolescenti.

 

Giacomo Buoncompagni
Giacomo Buoncompagni
Buoncompagni Giacomo. Aspirante giornalista scientifico. Laureato e specializzato in comunicazione pubblica e scienze sociali -criminologiche. Collaboratore di Cattedra presso l'Università di Macerata. Presidente provinciale Aiart Macerata. E' autore di "Comunicazione criminologica" e "Analisi comunicazionale forense" (2017)

Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

- Advertisement -spot_img

Latest Articles