sabato, Aprile 19, 2025

Sulle tracce di Aldo Moro. L’articolo di Carlo Bo sul Corriere della Sera del 9 maggio 1979.


L’articolo di Carlo Bo pubblicato sul Corriere della Sera

Carlo Bo, nato a Sestri Levante il 25 gennaio 1911 e morto a Genova il 21 luglio 2001,  uno dei maggiori intellettuali italiani del novecento ed impegnato anche in politica, nel primo anniversario dell’uccisione dell’onorevole Aldo Moro scrisse un articolo. Il suo scritto fu pubblicato, in data 9 maggio 1979, sul Corriere della Sera, con il seguente titolo “Delitto di abbandono. Un anno dopo: una società politica non all’altezza di Aldo Moro”. Nel suddetto articolo troviamo scritto: “La tragedia Moro avrebbe dovuto essere un momento della nostra coscienza comune, oggi sappiamo che non lo è stato, anzi abbiamo il sospetto che si è fatto l’impossibile perché non lo diventasse,. A un anno di distanza dal giorno in cui si è compiuto il calvario dell’uomo Moro, il bilancio delle nostre reazioni è nettamente negativo ma neppure questo dato appare la cosa più importante, ciò che colpisce di più è il modo incerto ed inadeguato con cui si è guardato alla tragedia, il grado di progressivo adattamento allo stato naturale di inerzia che ci guida, il tentativo mai confessato ma sempre ben presente di rimuovere nelle nostre interiori valutazioni il significato di quella morte ed il peso di quel sacrificio. Tolte poche eccezioni tra le quali spicca ancora oggi l’intervento umano e solenne di Paolo VI, si è preferito eludere la questione di fondo con interpretazioni e valutazioni di vario genere ma tutte intese a lasciare solo Moro di fronte ai suoi carnefici, si è preferito speculare sui riflessi politici della tragedia e mettere da parte quanto invece apparteneva a una visione più alta e vera di quella lunga giornata  di cui non potevamo sentirci soltanto degli spettatori. Il secondo passo verso il limite della evasione giustificata  e dell’abbandono sarebbe stato soltanto un atto meccanico, di qui le sottili variazioni sul “giallo” dove fatalmente la figura e l’esempio di Moro finivano  per perdere ogni superstite peso spirituale. Insomma della tragedia abbiamo accolto appena il momento della tensione e dello sbigottimento di fronte alla ferocia e subito dopo siamo passati al gioco delle accuse reciproche, della ricerca delle colpe più evidenti, commettendo da un certo punto di vista una seconda e per certi aspetti  perversa uccisione, più esattamente l’eliminazione di ogni significato profondo e l’esclusione di qualsiasi forma di esame di coscienza”.

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