“Una fotografia vale più di mille parole“, e’ la sintesi perfetta per comunicare anche la solitudine, l’isolamento la noia, sui social (e sul web in generale). Internet, smartphone, app e social network hanno radicalmente cambiato il modo di ‘fare’ fotografia. Con l’avvento della digitalizzazione del processo fotografico abbiamo avuto una enorme espansione dell’ uso delle immagini. Questa possibilità, ci permette di condividere continuamente video, fotografie e articoli. Come pure, storie e ricordi, per testimoniare gli svariati stati d’animo.
Cos’è la fotografia
Forma d’arte? Hobby? Mero strumento di esaltazione dell’io? I campi di applicazione della fotografia sono molto vasti. Non è semplice quindi, definire cosa sia la fotografia. Una foto può avere più chiavi di lettura, in base alla nostra esperienza personale.
Di certo sappiamo che da sempre, la fotografia è stata utilizzata per immortalare momenti, imprimerli permanentemente. Un fermo immagine di ‘quell’istante’, utilizzato per poi comunicare qualcosa, testimoniare, narrare. La foto dal fronte, fotoreporter giornalistici, ritratti di famiglia o foto scientifiche. In tutti i casi, la foto aveva un valore sociale, economico. Molto spesso anche sentimentale.
L’ importanza della fotografia
Siamo così circondati di immagini di ogni genere, che a volte non riusciamo a distinguere quelle veramente importanti. Ed è solo quando gli scatti ci borbottano qualcosa che non riusciamo a capire nel nostro flusso caotico di vita quotidiana, che ci fermiamo a ‘leggere’ e a osservare con attenzione.
Ma quante ci soffermiamo a guardare? Quante ne riguardiamo dopo? La diffusione esponenziale ha portato ad un ”inquinamento” del contenuto fotografico. Diamo molta importanza all’apparire. Di conseguenza la manifestazione del nostro ego si produce attraverso la rappresentazione della banalità del nostro quotidiano.
Azioni scontate, ovvie, vengono amplificate sotto i riflettori sociali. Si fotografa il cibo, il lavaggio della macchina, scatti prodotti con leggerezza. La fotografia è da sempre il mezzo di comunicazione più universale al mondo. Ed altro non è, quindi, che l’evoluzione del nostro modo di esprimerci.
Il messaggio della fotografia sui social
Se è vero che noi ci identifichiamo ormai attraverso le immagini, è altrettanto vero che l’immagine ci identifica. Una foto dunque, parla di come vediamo il mondo e di come lo interpretiamo. Far parlare le immagini, per far emergere l’essere umano dietro la superficie. Mettere al centro le persone. Sintetizzare le loro emozioni più profonde. Questo è l’elemento più importante. Il messaggio.
Urbex: la fotografia delle rovine
Del resto la fotografia ha da sempre un valore. I primi scatti anatomici, i report delle esplorazioni, lo sbarco sulla luna. Come pure gli scatti di Francisco Boix che documentano i crimini nazisti a Mauthausen. Non secondario è il valore affettivo. Le serate passate a guardare le diapositive o le foto di quando eravamo piccoli. Come pure i tempi passati dei nostri genitori, dove la foto era solo il preludio di un racconto. Un ricordo da rivivere.
Solitudine, isolamento, noia – l’importanza delle immagini
Sono molte le tematiche che si possono toccare attraverso le immagini. Tra queste la solitudine, l’isolamento la noia. La pandemia mondiale, ha il solo merito di aver offerto quel tempo che tutti i giorni ci neghiamo. Ha portato a galla quel malessere diffuso e tutto postmoderno, che nascondiamo da sempre sotto i nostri tappeti, le nostre tende e le lenzuola. La narrazione del disagio attraverso le immagini.
Fotografare le condizioni di vita degli ‘esclusi’, dei pazienti psichiatrici, degli emarginati al tempo del coronavirus. In un contesto dove assumono un significato ancora più profondo, rappresenta infatti, uno strumento di indagine e di denuncia di chi sente il bisogno di fermarsi. Ma soprattutto riflettere e condividere questa realtà.
L’inconoscibile negli scatti: la solitudine, l’isolamento dei pazienti psichiatrici
In un periodo in cui l’emergenza sanitaria ha stravolto la nostra quotidianità, costringendoci a sperimentare l’isolamento forzato, la nostra condizione si è avvicinata alla “normale” quotidianità vissuta dai pazienti dell’SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura).
Un limbo, dove il tempo svanisce. In cui il mezzo fotografico perde le sue index qualities. Non c’è altro che quella stanza. Dove tutto e nulla accade. Dove la realtà si confonde con il sogno. In cui l’uomo si ritrova ad essere un animale chiuso in una tana oscura, colto nella sua totale pseudo intimità. Il non-luogo, che ingabbia creature che mostrano tutta la loro umanità. Tutto il loro animo profondamente animale.
L’osservatore vede un universo, che altrimenti sarebbe invisibile. E non può fare altro, quindi, che lasciarsi andare in liberi sentieri di sensazioni, invece che farsi imprigionare da narrazioni didascaliche.
I pazienti del SPDC vivono effettivamente la loro quotidianità nell’ emarginazione. La quarantena dunque, ha avuto maggiori ripercussioni sulle loro vulnerabilità. Gli “alienati”, come vennero chiamati da Théodore Géricault nei suoi ritratti di inizio Ottocento, disorientati dalla loro malattia, faticano ad accettare le nuove misure di sicurezza. Il distanziamento sociale, l’igiene e le mascherine, tutti provvedimenti inconcibiabili con le loro patologie.
L’isolamento, a volte “affollato”, con una intimità emotiva spesso obbligata, o, all’opposto, l’isolamento di per sé, possono contrastare con il carattere del singolo, e con il suo funzionamento emotivo.
Lasciati nel silenzio, ulteriormente isolati, argomento “borderline” ancora oggi. I malati psichiatrici trascorrono le giornate non solo combattendo contro un nemico invisibile, ma anche contro l’indifferenza di chi dovrebbe tutelarli.
E pensare che un tempo la follia era ammantata di sacralità. Basti pensare alla furia orgiastica delle Baccanti, devote a Dioniso, o alle sacerdotesse di Apollo.