Proseguono gli scontri in Yemen. Nonostante la proposta di un cessate il fuoco da parte della coalizione saudita, si combatte ancora nel governatorato di Ma’rib. Non solo. Perché gli Houthi si ritengono i responsabili degli attacchi ai quartieri residenziali a Hodeidah, nell’Ovest del Paese. Dal canto suo, l’esercito regolare yemenita avanza nella regione centro-meridionale di al-Bayda’. Cosa sta accadendo? Facciamo il punto.
Ancora scontri in Yemen?
Il 10 giugno scorso, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che combatte i ribelli Houthi nello Yemen, ha dichiarato che avrebbe sospeso le ostilità. Questo in vista di una risoluzione pacifica del conflitto. Una conseguenza diretta degli sforzi diplomatici per porre fine a una lotta armata che dura ormai da più di sei anni. E che ha devastato la Repubblica al limite della Penisola araba. L’annuncio era giunto a seguito di uno scacco da parte della stessa coalizione, che aveva colpito con successo una divisione corazzata Houthi vicino alla capitale Sana’a, controllata dai ribelli. Come riporta l’agenzia AFP, in città si erano sentite forti esplosioni. Mentre colonne di fumo salivano al cielo.
Smentita
Eppure, alla televisione di stato saudita lo stesso portavoce della coalizione, Turki al-Maliki, aveva negato l’operazione. Piuttosto, assicurava che “nessuna azione bellica è stata effettuata nelle vicinanze di Sanaa o di altre città yemenite nel recente passato“. Al contrario, al-Maliki aveva concentrato l’attenzione sulla riduzione dell’escalation, che mira a “preparare il terreno politico per un processo di pace nello Yemen“. In effetti, appoggiata dagli Usa, la coalizione a guida saudita era intervenuta in Yemen nel 2015. L’obiettivo era quello di sostenere il governo dopo che le milizie Houthi, filoiraniane, avevano assunto il controllo della capitale, costringendo le autorità a fuggire.
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Scontri in Yemen: Marib
A ben vedere, i commenti di Al-Maliki giungono nel mezzo di un’offensiva Houthi volta a impadronirsi della città di Marib. Nonché dei suoi giacimenti petroliferi. Si tratta dell’ultima porzione di territorio a Nord che è controllata dal governo. Pertanto, la perdita di Marib a favore delle milizie pro Iran significherebbe un duro colpo per le autorità dello Yemen. Come delle loro speranze di ritornare al potere. Senza contare che, se ciò accadesse, tale evenienza aggraverebbe una crisi umanitaria già devastante. Per scongiurare una simile possibilità, ad aprile la comunità internazionale aveva intensificato gli sforzi diplomatici.
Chi vuole la tregua?
Ad esempio, l’inviato delle Nazioni Unite Martin Griffiths aveva incontrato il ministro degli Esteri iraniano per discutere delle prossime mosse. Dal canto suo, l’Iran si era detto favorevole a un cessate il fuoco. Questi due giorni di visita hanno significato la ripresa dei rapporti bilateri tra i due atavici rivali. Un dialogo che si era inaridito nel 2016, quando Riad aveva interrotto le relazioni con Teheran. Non solo. I colloqui hanno rappresentato la seconda occasione di confronto nel 2021 sulla questione yemenita. Già ai primi di giugno, infatti, i funzionari dell’Oman avevano visitato Sana’a, al fine di convincere i ribelli ad accettare una tregua. Lo confermano alcune fonti Houthi. Per lo stesso motivo, anche il ministro degli Esteri dell’Oman, Badr Albusaidi, si era recato a Riad.
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In bilico
Tuttavia, questo fragile equilibrio si è incrinato una prima volta il 2 luglio. Cioè quando l’esercito yemenita ha avviato una campagna militare nel governatorato centro-meridionale di al-Bayda’, affiancato dagli alleati internazionali e qualche tribù locale. Tra cui le “Forze dei giganti”. L’11 luglio, il governatore Nasser al-Sawadi aveva confermato che gli scontri in Yemen si erano trasferiti in questo distretto centro-meridionale, che si trova a circa sei chilometri dal centro del capoluogo della regione. Il tutto a seguito della liberazione, parte delle truppe governative, dell’area di al-Somaa. Un successo che allunga l’elenco dei distretti sottratti ai ribelli. Come quello di Zahir, dove il giorno prima, il 10 luglio, uno dei capi militari Houthi era rimasto ucciso in un attentato. Ancora. Il 9 luglio, almeno 100 ribelli sono morti a causa dell’escalation scoppiata al fronte di Hamziah, nel Sud-Est di al-Bayda’.
Scontri in Yemen: nervi scoperti
Secondo le stesse fonti antigovernative, nell’attacco sono morti circa 20 leader sciiti. In particolare, il governatorato al-Bayda’ è di importanza strategica, se si considera la sua geolocalizzazione. Difatti, si colloca a Sud-Est di Sana’a, la capitale. Al momento in mano alle truppe filoiraniane. Non solo. Al-Bayda’ è il fulcro tra otto governatorati: Ma’rib, Shabwa, Abyan, Lahj, Al-Dhale’, Ibb, Dhamar e Sana’a. Di questi, l’esercito regolare ne ha liberati cinque. Per gli altri tre, le forze filogovernative dovranno occupare dapprima al-Bayda’. La porta d’accesso per Sana’a e Dhamar. L’area che viene considerata il “cuore pulsante” dello Yemen. Un totale di 19 distretti e, sin dal 2015, i gruppi di resistenza locale si oppongono alla presenza dei ribelli Houthi.
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Scontri in Yemen: una situazione difficile
In effetti, una delle condizioni poste dai ribelli per la tregua è il ripristino dell’aeroporto dell’aeroporto di Sana’a, duramente colpito dai bombardamenti della coalizione saudita. La quale controlla lo spazio aereo della piccola Repubblica dal 2015. Se in un primo momento i progressi di pace sembravano agevolati dagli stessi funzionari Houthi che, secondo fonti locali di AFP, avevano iniziato i lavori per riparare le strade adiacenti alla struttura, gli scontri sono ripresi. Più precisamente, il 10 sia l’11 luglio. Quando gli Houthi hanno preso di mira Hays, a Sud della città costiera di Hodeidah, capoluogo dell’omonimo governatorato. Lì, i ribelli hanno lanciato colpi di mortaio sui quartieri residenziali nella parte settentrionale del centro urbano.
Qualche dettaglio in più
Stando a quanto riporta il quotidiano al-Arabiya, i bombardamenti hanno interessato anche l’area di al-Jabaliya, dove hanno centrato oggetti civili. Sebbene non si registrino vittime, come confermano i media locali, si tratta dell’ennesima violazione dell’accordo siglato il 13 dicembre 2018, noto come Accordo di Stoccolma. Proprio per la sua rilevanza Hodeidah, uno dei porti principali sul Mar Rosso attraverso cui lo Yemen riceve la stragrande maggioranza degli aiuti umanitari, come tutto il governatorato, erano stati inclusi in quella che rappresenta una delle poche intese raggiunte. Almeno finora. Difatti, costituisce uno dei rari incontri al tavolo dei negoziati tra le due parti belligeranti: da una parte i ribelli Houthi; dall’altra, il governo legittimo yemenita del presidente Rabbo Mansour Hadi.
Scontri in Yemen: l’accordo del 2018
In forza di tale accordo, i ribelli avevano accettato di cessare le ostilità. Oltre che di ritirarsi dai tre porti principali dello Yemen: Hodeidah, Saleef e Ras Isa. Inoltre, gli Houthi avrebbero acconsentito a una delegazione delle Nazioni Unite di compiere le attività di monitoraggio e gestione dell’area contesa. In un primo momento, ossia nell’ottobre 2019, ciò aveva permesso alla Missione Onu di istituire alcuni posti di blocco nel governatorato, allo scopo di presidiare sul rispetto del cessate il fuoco. In cambio, le milizie sciite avrebbero guadagnato il controllo del polo strategico di Hodeidah. Non solo del porto, ma anche dell’intero capoluogo nell’omonimo governatorato. Dal canto loro, le forze governative si sarebbero concentrate nel Centro e nel Sud del Paese.
Tradimenti
Nonostante l’accordo sembrasse accontentare entrambe le parti, in realtà questo non è mai stato rispettato. Soprattutto nell’ultimo periodo. Al contrario, la coalizione saudita ha attribuito agli Houthi la responsabilità di una serie di attacchi ai danni del regno, effettuati tramite droni e artiglieria pesante. I bersagli avrebbero interessato anche aree residenziali, provocando vittime civili. Com’è accaduto, ad esempio, a inizio di questo mese. Quando la coalizione ha dichiarato di aver intercettato e distrutto un drone carico di bombe lanciato dai ribelli Houthi verso il regno. Sarebbe stato il terzo attacco in 48 ore. Operazioni che i ribelli non hanno mai rivendicato, a differenza dei sabotaggi agli impianti petroliferi sauditi. In particolare quelli di Aramco.
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La dichiarazione
Una nota citata dall’agenzia di stampa saudita SPA riferiva che un drone diretto verso la regione sudoccidentale di Khamis Mushait è stato abbattuto dalla difesa aerea saudita. Si legge: “La milizia Houthi continua a prendere di mira civili e obiettivi civili, e la coalizione sta adottando misure operative per proteggere i civili e affrontare la minaccia imminente“. In ragione di ciò, l’esercito yemenita ha lanciato la sua “controffensiva” ai danni degli avamposti degli Houthi. In particolare nella parte Nord-Ovest della regione. Dal canto loro, le forze filogovernative sembrano soddisfatte per aver bloccato l’espansione dei ribelli verso al-Jadafar e Wadi Halhlan.
Dove sta la ragione?
In proposito Liz Throssell, portavoce dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha riferito che gli Houthi hanno lanciato 128 raid di droni e 31 attacchi di missili balistici contro l’Arabia Saudita dall’inizio di quest’anno. Dal canto loro, i ribelli sostenuti dall’Iran insistono che i loro attacchi siano una conseguenza delle aggressioni de compiute dalla coalizione saudita. Intanto, la situazione in Yemen resta difficile. Secondo i dati delle Nazioni Unite, la guerra per procura che è seguita al golpe dei ribelli Houthi del 21 settembre 2014, e che ha gettato il Paese nel caos, ha provocato la peggiore crisi umanitaria del mondo. Con più di 230 mila morti e milioni di sfollati. Senza contare che, sei anni dopo, i due terzi dei suoi 30 milioni di abitanti dipendono dagli aiuti internazionali.
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Una soluzione?
Eppure, a marzo c’era una timida aspettativa sostenuta dalla ripresa del dialogo. “La buona notizia è che c’è chiaramente più attenzione sui negoziati diretti con la leadership degli Houthi a Sana’a“, commentava ad Al Jazeera Peter Salisbury. Un analista senior dello Yemen dell’International Crisis Group. Secondo l’esperto, “La cattiva notizia è che questo non ha ancora colmato il divario tra le posizioni degli Houthi e quelle dei sauditi“. “Fino a quando ciò non accadrà, non vedremo molto movimento“, aggiungeva Salisbury. E ancora. “Per ora i sauditi hanno voluto garanzie ferree sulla sicurezza delle frontiere e sull’influenza iraniana nello Yemen, e hanno voluto avere un alleato che svolgesse un ruolo influente nella politica futura“.
Il punto
Sulla scorta degli eventi recenti, sarebbe illusorio ritenere che “la grande scommessa” della fine della guerra in Yemen sia vinta. Piuttosto, la fine delle ostilità rimane ancora un’utopia. Nonostante gli Stati Uniti ribadiscano che la crisi yemenita debba finire, ad oggi sono stati fatti pochi progressi in tal senso. Ammattendo che ci siano stati. Di certo, è lampante il fatto che la situazione non potrà protrarsi a lungo. Non solo in rispetto delle migliaia di vittime civili, che stanno pagando con la vita il prezzo di una lotta per il potere. Ma soprattutto perché questa guerra sta devastando il futuro di centinaia di migliaia di individui. Soprattutto quello dei bambini.