mercoledì, Aprile 16, 2025

Sarebbe una leggenda di un vulcano il più antico racconto tramandato del mondo

Pare essere stato accertato l’antico mito aborigeno di un vulcano, considerato dagli studiosi che hanno riscontrato la veridicità, l’attinenza con la realtà e la storia della leggenda la più antica storia tramandata al mondo mai pervenuta fino ai giorni nostri. Secondo le conclusioni dello studio effettuato, risalenti a circa un mese fa, ricerca pubblicata dalla GSA (Geological Society of America) in rapporto con la GSW (Geological Society of Washington) e diffusa sul portale della stessa GeoScienceWorld per mezzo di un articolo scientifico intitolato Early human occupation of southeastern Australia: New insights from 40Ar/39Ar dating of young volcanoes (Prima occupazione umana nell’Australia sud orientale: nuove intuizioni sulla datazione 40Ar / 39Ar di giovani vulcani) nonché realizzata a otto mani da Erin L. Matchan, David Phillips, Fred Jourdan e Korien Oostingh, rispettivamente, i primi due, appartenenti alla School of Earth Sciences della Università di Melbourne, e i secondi del dipartimento di geologia applicata della Western Australian Argon Isotope Facility del JDL (John de Laeter) Research Centre della Curtin University di Bentley, Australia occidentale, la leggenda avrebbe specifiche attribuzioni e reali legami con un passato geologico antico e davvero esistente.

Logo della GSA

Il vulcano descritto e raccontato dalla mitologia Gunditjmara, o Gunditjamara, popolo aborigeno autoctono conosciuto anche con il nome di Dhauwurd Wurrung, anticamente collocato nei territori del sud ovest dello stato di Victoria, il più piccolo settore governativo dello Stato situato nella punta sud orientale dell’isola australiana al di sotto del Nuovo Galles del Sud, i cui appartenenti in periodo arcaico vivevano e occupavano le aree incontaminate che ora comprendono gli insediamento urbani di Warrnambool, Port Fairy, Woolsthorpe e Portland, è stato valutato ed è stato infine verificato essere davvero esistito in lontani tempi passati. Il popolo dei Gunditjamara, sostantivo composto dai termini “gunditj”, ossia un affisso che significa “appartenenza”, e “mara”, parola locale di questo popolo per classificare un componente aborigeno della comunità nonché nome di un’altra tribù di aborigeni australiani, era diviso in diversi clan, fra cui i più famosi risalgono ai Kerrupjmara e ai Koroitgundidj, gruppi non molto conosciuti dall’opinione pubblica se non da esperti del settore e non troppo dissimili fra loro per cultura, tradizioni e stile di vita che possono assumere nomi leggermente diversi.

Mappa della regione di Victoria

La lingua dei Gunditjamara, complesso vernacolare a cui ci si riferisce come lingua Kiriwurrung o Warrnambool, è classificata dai glottologi e dai linguisti come una delle parlate della lingua Kuurn Kopan Noot, sottogruppo di lingue vittoriane Bungandeik, consisteva in cinque sottodialetti. Caratterizzato dal cosiddetto discorso di elusione o di evitamento, tipico dei linguaggi indigeni ancestrali legati alla terra e a rapporti di tipo naturale e magico per cui elementi di sintassi, di grammatica o specifici lemmi si adattavano nella costruzione dei periodi al ruolo della persona a cui ci si rivolgeva, il dialetto Wurrung dei Gunditjamara, con tutti i suoi sottogeneri, aspetti e varianti è ormai lingua morta, in quanto l’ultimo esponente di questo volgare visse alla fine dell’Ottocento.

Un gruppo di Gunditjamara

Secondo le credenze religiose di questi popoli, fede legata alle forze della natura che si ripercosse inevitabilmente sulle modalità di organizzazione sociale degli stessi i cui capi clan, ruolo trasmesso in forma ereditaria, possedevano una funzione totalizzante e coesiva del gruppo in quanto capi politici, religiosi e culturali, la vita umana era strettamente legata e per molti versi dipendente alle forze della natura. Si pensi che l’esploratore, antropologo e naturalista britannico Alfred William Howitt constatò che le discendenze Gunditjamara avevano il culto di quattro sezioni, largamente paragonabili ai quattro elementi di tradizione occidentale di retaggio filosofico presocratico e mistico rinascimentale e teonaturale, si tratta di Kerup, cioè l’acqua, Boom, la montagna, Direk, ovvero la palude, e Gilger, il fiume.

Alfred William Howitt

Queste quattro componenti naturali, venerate come divinità pseudomagiche che influenzavano la vita, il lavoro e il destino umano, che a differenza dei quattro elementi occidentali si caratterizzavano per essere localizzabili e unici in quanto aspetti naturali geografici e non solamente o semplicemente esistenze universali come potevano essere gli elementi, dimostrano quanto la cultura Gunditjamara fosse legata e interamente connessa con la terra che imponeva una mentalità non astratta ma al contrario focalizzata su componenti e su dinamiche prettamente consolidate sull’esperienza e soprattutto sulla concretezza. Ulteriore riprova di quanto questi nostri progenitori fossero interamente assorbiti dagli aspetti naturalistici e fisiologici apprezzabili come eventi ciclici di vita e di morte nonché di esistenze in via di continuità, di persistenza e di sviluppo si assoggetta al fatto che questi popoli nativi consolidassero la loro organizzazione su fondamenta matriarcali. Gli universali della religiosità Gunditjamara si devono trovare e assumere dalla deificazione magico mitologica della natura e di particolari aspetti di essa, avente molti punti di contatto con i popoli indiani delle grandi pianure americane.

Aborigeni australiani

Popolo prevalentemente fluviale e lacustre, la cui vita si svolgeva fra pianure, paludi e foreste, come perfettamente dimostrato dal loro culto e dai resti di insediamenti che costruirono, villaggi caratterizzati da capanne in legno o in basalto, erba e rami, i Gunditjamara, costretti a vivere in territori dal clima più freddo e rigido rispetto ai loro più prossimi parenti di altre zone australiane in generale e di Victoria in particolare, credevano, come ancora fanno benché con modifiche di culto i loro discendenti indigeni, che le caratteristiche del paesaggio segnassero le tracce di un creatore, il potente Budj Bim, o Testa Alta, in quanto mente divina e insuperabile.

Area del Budj Bim

Secondo la leggenda, il Budj Bim, trasfigurazione terrena della più elevata divinità rappresentato dal Monte Eccles, vulcano spento ubicato vicino alla cittadina di Macarthur all’interno del Parco Naturale Budj Bim di Victoria il cui picco, dell’altezza di circa 178 metri, è composto da una collina di scoria lavica di basalto o andesia di origine eruttiva e che si è formato accanto a un gruppo di tre crateri sovrapposti che ora contengono il bacino del Lake Surprise, in una ondata di eruzione la montagna fece scorrere la lava che andò a costituire il sangue e i denti della divinità suprema e che si riversò sul paesaggio modellandone le forme, le caratteristiche e le zone umide. Il monte o vulcano sacro fu dunque omologato in tutto e per tutto, sia nel nome che mediante caratteristiche e capacità, al dio Budj Bim. Solo agli eletti, ai superiori e agli uomini di questo popolo che indossano speciali calzature di piume di emù è possibile scalare il vulcano e giungere sulla sommità sacra del cratere, fonte della vita sulla Terra e più prossima manifestazione della più grande e alta divinità del pantheon Gunditjamara.

Parco del Budj Bim, o Parco Nazionale del Monte Eccles

Si ritiene che la prosperità dei villaggi aborigeni che abitavano le regioni circostanti la montagna ebbe inizio proprio con la nascita del vulcano Budj Bim, il quale trasformò la loro terra, il panorama ma soprattutto il drenaggio del flusso delle acque conformando diversamente l’ambiente e producendo nell’intelletto dei locali notevoli soggezioni e impressioni. Sorsero paludi e territori umidi e verdeggianti che gli abitanti impararono a sfruttare e bonificare creando uno dei più antichi esempi di acquacoltura e itticoltura nella storia dell’umanità, con canali e pozze in cui le anguille venivano incanalate per poi essere catturate e poi affumicate. Questi esempi di primitiva progettazione di canali dedicati alla gestione del territorio, alla coltura e all’allevamento del pesce nei pressi del Budj Bim è entrata recentemente, soltanto l’anno scorso, assieme alla storia e alle scoperte degli aborigeni qui vissuti, aggiunta alla lista dei siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Altro importante luogo santo è l’isola, localizzata in prossimità della costa, Deen Maar o Dhinmar, conosciuta attualmente come Lady Julia Percy Island, anch’essa strettamente connessa alle credenze religiose in quanto aveva un valore speciale per le sepolture e come percorso e dimora spirituale. Sebbene da sempre si sappia che il monte Budj Bim è un vulcano, la recente ricerca, coordinata dallo stesso Matchan, uno degli autori dell’articolo della GSA, è stato fondamentale per comprendere le dinamiche dei racconti tramandati per via orale, la loro persistenza in modi più o meno espressi ed espliciti durante il corso e il flusso della storia e nella mente umana, nonché le caratteristiche universali delle leggende che abbiano attinenze con lo sviluppo cognitivo e il senso di universalità e sopravvivenza, specificità che permettono ai miti di essere intramontabili e inesauribili. Perciò oltre ad avere importanza e valenza archeologica, i risultati dell’ultimo studio sui popoli aborigeni del meridione dell’Australia e in particolar modo sul raggruppamento dei Gunditjamara svolgono anche una sicura e solida base in termini di critica psicologica.

Lady Julia Percy Island

La ricerca geologica e in sinergia con essa lo studio chimico fisico delle rocce appartenenti al vulcano Budj Bim che ha prodotto incontestabili prove a sostegno dell’età millenaria della montagna attraverso la radiazione radiometrica o al radioisotopo condotta dal centro JDL mediante la procedura di applicazione geocronologica e archeologica che prevede l’analisi del decadimento dell’argon del settore WAAIF (Western Australian Argon Isotope Facility) grazie alla quale si è riusciti a datare le pietre vulcaniche con estrema precisione considerando i tempi geologici, si sono unificati e integrati alle ricerche antropologiche, linguistiche e teosofiche sui culti antichi in modo assolutamente determinante per aiutare queste ultime branche scientifiche a riuscire a comprendere meglio i popoli in questione.

Logo della WAAIF

Tale metodo di datazione delle rocce viene utilizzato per misurare l’età e i tempi di una grande varietà di processi geologici, dalle conformazioni geografiche, ai campioni di meteorite, sino a una grande quantità di processi geografici e geologici specifici che sono sostanziali per comprendere eventi storici più o meno recenti, perfino millenari. Grazie a questa tecnica estremamente precisa avente un margine di errore di soli 3mila anni, pochissimo se si considera con quale portata temporale si sta lavorando, gli scienziati sono riusciti a dimostrare che sia il vulcano di Budj Bim che quelli di Tower Hill sono scoppiati e si sono disinnescati cessando la loro attività tra i 37mila e i 34mila anni fa almeno. Questa scoperta ha suggerito, insieme ad alcuni indizi come un’ascia ritrovata sotto il materiale vulcanico del Tower Hill nel lontano 1947, l’ipotesi altamente possibile che la zona dei vulcani dell’area di Victoria fosse già abitata quando il vulcano maggiore Budj Bim esplose.

Vulcano Tower Hill

Considerata la mitologia strettamente connessa al Budj Bim e ai vulcani, è molto probabile quindi che la società di aborigeni dei Gunditjamara fosse già presente e sviluppata quando il vulcano era ancora attivo e che alcuni individui che a quel tempo vivevano avessero perciò assistito in prima persona al cataclisma. Per di più, il fatto che l’Australia sia un’isola ormai da milioni di anni ha permesso agli aborigeni di questi territori di svilupparsi autonomamente e formare culti, benché aventi caratteri universali e generali e simili ad altre credenze, del tutto unici e particolari, oltre a ciò la separazione dell’Australia dal continente asiatico ha fatto sì che i popoli autoctoni potessero sopravvivere per moltissimi secoli, perfino millenni, mantenendo inalterate condizioni sociali e tribali tradizionali.

Tower Hill, dipinto di Eugen von Guerard, datato 1855

Sembra perfino possibile che gli antenati degli odierni Gunditjamara abbiano assistito, nell’arco di generazioni e generazioni, all’evoluzione del vulcano Budj Bim e alla sua elevazione dal suolo, anche per questo si pensa che il motivo della divinazione della montagna sacra sia attestabile all’assoluta longevità di questo popolo aborigeno che, in base alla conformazione mentale e alle strutture logiche del tempo doveva valutare l’ascesa del vulcano come qualcosa di inspiegabile di cui avere timore e rispetto, avvenne forse così che cominciò il culto della montagna. Ma non sono solo i Gunditjamara a essere talmente spettacolari e straordinari, in quanto diverse comunità aborigene australiane hanno tramandato in modo indipendente le une dalle altre antichi avvenimenti di carattere geologico come per esempio l’innalzamento del livello dei mari di 7mila anni fa. Come riporta un elaborato articolo di Angelo Petrone, giornalista per Scienze Notizie, Matchan afferma che entrambi i vulcani, ossia il Budj Bim e quello di Tower Hill, conformazione distante dal primo soltanto una quarantina di chilometri, sarebbero potuti crescere dal nulla fino a raggiungere picchi di decine di metri in pochi giorni o mesi.

I canali e le paludi del Budj Bim

Le improvvise doppie eruzioni avrebbero destato una grande impressione sugli antichissimi umani che vivevano nell’area in quel momento, forse scatenando la storia dei quattro giganti, leggendario racconto che ancora oggi viene raccontata dagli aborigeni. A sostenere la teoria dell’esperto è l’assenza di altre grandi eruzioni vulcaniche nell’area nel periodo successivo, eventi che avrebbero potuto fornire l’ispirazione per altre storie, certamente più recenti. Sembra sensazionale e quasi paradossale o impossibile che queste popolazioni siano vissute per tutti questi millenni senza alterare sostanzialmente granché degli antichi culti e di arcaiche tradizioni, ma pare assolutamente accreditato.

Disegno del Budj bim

Sebbene la certezza assoluta che queste antiche popolazioni siano rimaste stanziali per tutti questi millenni non ci sia, inquantoché le migrazioni sono sempre esistite, è però assai probabile che questa immutabilità intrinseca dei popoli indigeni australiani corrisponda al vero per motivazioni legate una tramandabilità di storie e leggende grossomodo rimasta inalterata, alla circostanza dell’isolamento del territorio australiano e ad un’analisi del genoma esposta in uno scritto pubblicato su Nature e intitolato Aboriginal mitogenomes reveal 50,000 years of regionalism in Australia (Genoma mitocondriale aborigeno rivela una permanenza di 50mila anni in Australia) dove si dimostrerebbe quanto gli aborigeni australiani siano antichi e estremamente stabili nel loro territorio e siano un ramo della specie umana relativamente non troppo meticciato.

Gruppo di aborigeni australiani

Dopotutto la Terra è in continuo cambiamento ed evoluzione, il pianeta non smette mai di modificarsi, si può dire perciò che, salvo impedimenti o oscurantismo occidentali che hanno già provocato grossi danni mettendo in pericolo ed estirpando grosse fette di culti locali con la colonizzazione che ha portato speculazione finanziaria, monetaria e paesaggistica annientando e distruggendo indiscriminatamente oltre che in Australia anche in molte altre parti del mondo ambienti, culture e popoli, gli aborigeni australiani abbiano saputo crearsi una religiosità che si bilancia tra il divenire e l’eterna immutabilità. A questo punto non ci resta che constatare quanto queste società siano antiche, possibilmente le più antiche riconosciute al mondo, oltre che venerande e venerabili, e prendere spunto e insegnamento dai Gunditjamara per imparare a rispettare il luogo che abitiamo perché portatore di un senso si comunità e protettore della nostra stessa esistenza, se infatti capiamo come comportarci con la natura essa non si ribellerà e diverrà la nostra dimora, educatrice di conoscenze spirituali di cui il mondo contemporaneo assolutamente necessita, e sarà madre genuina della nostra vita che ci accompagnerà sempre e per sempre nelle esperienze più sublimi del vivere.

Alessandro Pallara
Alessandro Pallara
Nasce a Ferrara nel marzo del 1996. Ha studiato sceneggiatura presso la Scuola Internazionale di Comics di Padova. Tuttora collabora come volontario supervisore del patrimonio artistico culturale con l'associazione Touring Club Italiano nella città di Bologna.

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