Samuel Beckett, cenni biografici
Samuel Beckett nacque il 13 aprile 1906 in Irlanda da una famiglia protestante, appartenente alla Chiesa d’Irlanda. Studiò francese, italiano e inglese al Trinity College di Dublino tra il 1923 e 1927 e si laureò con un Bachelor of Art ricevendo la medaglia d’oro per i suoi eccellenti risultati. Qualche anno più tardi, Beckett assunse la carica di Lecteur d’anglais alla Ècole normale supérieure di Parigi e in questo periodo conobbe James Joyce con cui instaurò un profondo rapporto di amicizia.

Le opere di Beckett e gli ultimi anni
Tra le prime opere di Samuel Beckett, il romanzo Murphy ebbe grande notorietà. Lo scrittore nel 1938 si trasferì definitivamente in Francia e si unì alla resistenza antinazista. Dalla fine della guerra adottò il francese come lingua d’elezione e in francese scrisse la sua grande trilogia narrativa: Molloy (1951), Malone muore (1951) e L’innominabile (1953). Il successo arrivò soprattutto con i testi teatrali: Aspettando Godot (1952), Finale di partita (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1957), Giorni felici (1961). Beckett sposò Suzanne Dechevaux – Dumesnil nel 1961 e nel 1969 fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura «per la sua scrittura che – nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma – nell’abbandono dell’uomo moderno acquista la sua altezza». Il drammaturgo visse sino al 22 dicembre 1989.
L’assurdo di Beckett
I romanzi di Samuel Beckett potrebbero apparire non tanto difficili quanto informi, dilagati, assurdi. Inesistente l’intreccio, soppressa la linea di narrazione; la bellezza di Beckett però si ritrova nella non-indicazione del tempo e dello spazio. La bellezza forse la si trova anche nella scomparsa del punto a capo; il lettore sfoglia le pagine di un’opera di Beckett ma non viene sorpreso da colpi di scena o da nuovi argomenti, affonda nella successione di colonne di un identico grigiore. Sì, il lettore precipita tra le righe dei libri di Samuel Beckett, viene travolto dall’esplosione del non senso, quel non senso che però viene presentato in maniera schietta e naturale. Il drammaturgo ci insegna che quel non senso non cela altri significati ma è proprio il non senso che diventa l’orizzonte della letteratura beckettiana. La scena e gli accadimenti sono assurdamente ridotti allo zero per “distruggere” le situazioni; non si può entrare nè interpretare il pensiero dei personaggi perchè il pensiero è stato già a lungo pensato, ora bisogna solo osservarlo.
Samuel Beckett e i suoi personaggi
I personaggi di Samuel Beckett non hanno la cognizione di quello che accade; rispetto al contingente, a ciò che accade accidentalmente, mostrano indifferenza ma sono guardinghi e attenti rispetto ai non accadimenti. Qui tutto l’assurdo dei personaggi, assurdo espresso perfettamente in una frase di Beckett: «bisogna scegliere tra le cose che non vale la pena menzionare e tra quelle che valgono ancora meno di essere menzionate». Questo è il dilemma in cui si imbattono tutti i personaggi, anzi il personaggio del drammaturgo, perchè si tratta sempre di un’unica voce eternamente impegnata, sotto nomi diversi, a confessarci cataste particolari senza senso. L’uomo di Beckett non solo non riesce a trovare se stesso, ma addirittura non si cerca più. Decrepito e infermo ha sempre dietro di sè “une existence interminable“, per la semplice ragione che per lui ogni azione, ogni pensiero ha lo stesso valore.
Il mondo teatrale di Beckett
Il mondo teatrale di Beckett è una caotica desolazione; le ombre, le incertezze, i dubbi hanno sul palcoscenico volti definiti. Sulla scena il drammaturgo ha portato fino in fondo l’operazione della sua vita: l’oggettivazione dell’assurdo. Lo scrittore e traduttore Carlo Fruttero, in una nota sull’opera Aspettando Godot, ha scritto: «le storie di Beckett hanno l’aria di simboli che non sanno più simboleggiare niente; di qui la piattezza e il senso di smarrimento dei personaggi, uomini postumi che annaspano in un deserto incomprensibile per loro come per noi, scegliendo a caso un fatterello, un’idea, un ragionamento, e subito tralasciandolo per un altro, contraddicendosi, esitando, ripetendo il già detto, rivedendo il già visto, dubitando di tutto, in primo luogo della propria identità. Hanno ogni tanto un sussulto di vita, rialzano la testa, ricordano un punto importante, sembrano avviati a una decisione, cominciano a metter ordine, a riannodare, con patetica buona volontà; ma subito tornano a stramazzare nel confuso e nell’infimo».