In un rapporto sulla libertà si legge che la più grande repressione si verifica nella regione Asia-Pacifico e che Cina, Myanmar e Corea del Nord sono elencati come “il peggio del peggio”. Il rapporto sottolinea inoltre il ruolo di primo piano della Cina.
Cosa afferma il rapporto sulla libertà nel mondo?
Freedom House, un think tank con sede a Washington, ha pubblicato un rapporto sulla libertà nel mondo. Nel rapporto si legge che il Partito Comunista cinese svolge un ruolo di primo piano nella promozione di norme autoritarie in tutto il mondo poiché alcuni leader mostrano la volontà di collaborare alla diffusione di nuove forme di repressione. Tra i 56 paesi elencati come “non liberi” in tutto il mondo, la Corea del Nord, la Cina e il Myanmar sono elencati come “il peggio del peggio”. Inoltre, su 39 paesi nella regione Asia-Pacifico, nove sono elencati come “non liberi” e 13 sono considerati solo “parzialmente liberi”.
“I diritti politici e le libertà civili sono diminuiti in tutta la regione mentre le forze autoritarie si sono mosse per consolidare il loro potere. La tendenza è stata più drammatica in Afghanistan e Myanmar, dove i leader civili eletti sono stati costretti a lasciare l’incarico“, afferma il rapporto. Il report afferma inoltre che le repressioni in Asia hanno colpito anche i giornalisti e i movimenti della società civile.
Il ruolo della Cina
Il rapporto sottolinea il ruolo di primo piano della Cina. “In tutto il mondo, i nemici della democrazia liberale stanno accelerando i loro attacchi poiché i regimi sono diventati più efficaci nel cooptare o aggirare le norme e le istituzioni intese a sostenere le libertà fondamentali e nel fornire aiuto ad altri che desiderano fare lo stesso”, afferma il rapporto, osservando che ci sono stati 16 anni consecutivi di declino della libertà globale. “I leader di Cina, Russia e altre dittature sono riusciti a spostare gli incentivi globali, mettendo a repentaglio il consenso sul fatto che la democrazia sia l’unica via praticabile per la prosperità e la sicurezza, incoraggiando al contempo approcci più autoritari alla governance”, prosegue il rapporto.
Il rapporto evidenzia inoltre che “il Partito Comunista Cinese offre un’alternativa alle democrazie come fonte di sostegno e investimenti internazionali, aiutando gli aspiranti autocrati a trincerarsi in carica, ad adottare aspetti del modello di governo del PCC e ad arricchire i loro regimi ignorando principi come la trasparenza e la concorrenza leale. Allo stesso tempo, il PCC ha usato la sua vasta influenza economica e persino le minacce militari per sopprimere le critiche internazionali alle sue stesse violazioni dei principi democratici e dei diritti umani, ad esempio punendo i governi e altre entità straniere che criticano la sua demolizione delle libertà civili in Hong Kong o mettere in discussione le sue estese rivendicazioni territoriali”.
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