Non possiamo leggere i dati relativi ai ricoveri e ai decessi prendendo in considerazione solo l’età delle persone e il fatto che siano vaccinate o meno (i contagi sono funzione dei tamponi effettuati e del campione, quindi non sono indicativi, se non per confermare la presenza del virus).
Non è sufficiente età e vaccinazione
Le variabili da analizzare per provare a dare ai numeri un significato sono almeno quattro (omettendo, per semplicità, la specifica di chi ha fatto una sola dose di vaccino).
Oltre alle due considerate – su cui si articolano commenti e inferenze spesso solo pregiudiziali in un senso o nell’altro – dobbiamo tenere conto della fragilità del soggetto, e se/come è stato curato.
Nessuna di queste dimensioni, svincolata dalle altre, può restituirci il significato di quanto sta accadendo. Oltre ad alcune considerazioni di ordine generale e statistico.
Tendenze
Il caso scolastico per eccellenza è quello delle strisce pedonali (effetto paradosso). Se noi affermiamo che la quasi totalità dei pedoni viene investita sulle strisce, potremmo concluderne che è meglio attraversare altrove, oppure, poiché quasi tutti lo fanno sulle strisce pedonali, il dato sia influenzato da questo fattore.
Se tutte le persone fossero vaccinate (o non lo fossero), avremmo il 100% dei casi di contagio (e di ricoveri e decessi) nell’uno o nell’altro gruppo, ma ciò non equivale a definire un nesso causa effetto tra vaccino (o assenza di vaccino) e malattia.
Al limite – come accade in effetti – la presenza di malati nel gruppo dei vaccinati potrebbe indicare che la copertura del vaccino non è totale, viceversa nel gruppo dei non vaccinati, che non è condizione necessaria e sufficiente per non ammalarsi (perché non tutti i non vaccinati si ammalano, fortunatamente).
Ma anche in questo caso, non avremo la controprova: nessuno, cioè può assicurarci che il soggetto X si sarebbe ammalato o sarebbe comunque guarito vaccinandosi o meno. Questi dati evidenziano solo tendenze che vanno analizzate attraverso altre variabili.
La condizione di fragilità
Se noi avessimo a disposizione le cartelle cliniche delle persone potremmo accedere a chiavi di lettura più aderenti alla realtà.
Poniamo, ad esempio, di scoprire che le persone decedute – sia tra quelle vaccinate che no – presentavano una o più patologie gravi; che il coronavirus, cioè, abbia aggravato situazioni di comorbidità. Il report dell’ISS sulla mortalità 2020 restituiva dati compatibili con questa ipotesi.
E se davvero gli esiti più gravi si determinano nelle persone fragili, potremmo dedurne che (sempre con un margine di approssimazione) sia questa la variabile determinante, non sia né l’età, né la vaccinazione.
E quindi magari pensare ad una strategia sanitaria di massa rivolta a tutelare le persone più esposte perché portatrici di patologie, per le quali – come è presumibile – il rapporto tra i rischi della vaccinazione (che ci sono, e restano da accertare nel tempo) e sono minori di quelli che corrono ammalandosi.
Evitando di esporre a tali potenziali rischi le persone che potenzialmente non hanno da temere contraendo il virus.
Le cure
Ma c’è un altro aspetto da considerare. La precocità della diagnosi (e quindi delle cure) è un fattore sul quale la medicina da anni punta per ridurre le conseguenze di malattie difficilmente curabili, come quelle oncologiche.
È evidente che anche la patologia più facilmente contrastabile, come una appendicite, ma anche una bronchite, possa aggravarsi sino alle estreme conseguenze, se non curata per tempo.
Potremmo pertanto a ragione chiederci se il protocollo che prevede la “vigile attesa” al domicilio per le persone che contraggono il covid non possa costituire in alcuni casi un fattore di aggravamento irreversibile delle condizioni del paziente.
Le cronache spesso parlano di persone anche giovani che sono decedute a seguito del contagio. Ma forse potrebbe non essere l’età, e neppure la vaccinazione, la variabile che determina queste tragedie.
Credo potrebbe anche essere utile dare voce ai medici che si stanno spendendo nelle cure domiciliari in tutta Italia, per fare tesoro della loro esperienza – oppure per confutarla in modo tale da convincere chi ripone in essi la loro fiducia.
https://www.terapiadomiciliarecovid19.org/comitato/
Considerazioni: ciò che sappiamo davvero
Sono decedute le persone più fragili; fragilità e età spesso vano di pari passo. Mettere in sicurezza queste persone dovrebbe ridurre sia i ricoveri che la mortalità.
La mortalità del virus (specialmente nella primavera del 2020) può ragionevolmente essere attribuita in parte anche all’inadeguatezza delle cure prestate e alla scelta di concentrare nella stessa struttura le persone positive – penso agli anziani delle RSA.
Il vaccino sembra offrire una copertura, anche se non totale – ma non evita né il contagio, né la diffusione del virus.
Ciò significa che il Green Pass (tamponi esclusi) non ne limita la circolazione, anzi rischia di essere un veicolo di contagio perché permette la concentrazione di persone in luoghi affollati.
Forse sarebbe più corretto ammettere che si tratta di uno strumento al servizio dell’economia, e di sottolineare con maggior forza la necessità di osservare le stesse cautele di chi non lo possiede nei contatti con gli altri.
Gioverebbe a tutti anche riconoscere che il vaccino espone a rischi che sono da verificare. All’attenzione dell’organismo di farmacovigilanza della UE (1 gennaio-4 settembre 2021) ci sono circa 22.600 decessi e quasi 900.000 casi di effetti avversi a seguito di somministrazione di soli vaccini Pfizer, moderna e Astra Zeneca.
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Rischi che, al netto del riscontro di una correlazione, devono essere valutati assieme ai possibili benefici; un saldo che pare positivo per le persone fragili, ma viceversa negativo per tutti gli altri.
Questo appare lo stato dell’arte. Al netto delle speculazioni della politica, dell’opaca comunicazione della scienza che ne fanno i media, della paura del virus e delle scelte sanitarie, contraddittorie e infine imposte.