Professioni chi vince e chi perde nell’era dell’industria 4.0

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Si espandono le professioni qualificate, dalla progettazione di software all’analisi finanziaria. Si riducono quelle più legate a lavori meccanici e di routine, come l’utilizzo di macchinari o l’immissione dati. È questo il verdetto dell’analisi su «L’impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale» presentata in un’audizione al Senato da Giorgio Alleva, presidente dell’Istat. L’indagine ha messo a confronto un campione di 27 professioni “vincenti” (in crescita di almeno 20mila unità) e “perdenti” (in calo dello stesso valore) nel mercato del lavoro 2011-2016.
A imporsi sono soprattutto le carriere ad alto tasso di qualifiche nel commercio e nei servizi (+403mila) e le professioni intellettuali e scientifiche a elevata specializzazione (+330mila), mentre diminuiscono le attività del gruppo di artigiani, operai specializzati e agricoltori (giù di 579mila unità) e dei profili «esecutivi di ufficio», come segreteria e contabilità: meno 109mila posizioni nell’arco di cinque anni. Nel mezzo, si fa largo la crescita delle carriere Ict (in rialzo a ritmi di quasi il 5%) e dei lavori classificati come «elementari» e a basso livello di istruzione: un incremento di 268mila unità, in favore di un segmento che già rappresenta la quota più robusta di attività lavorative in Italia (circa il 35%).

Chi sale e chi scende (e perché)
Nella sua analisi, Alleva utilizza le griglie interpretative delle indagini Isfol per rilevare la consistenza statistica di quattro macrocategorie: le specializzate tecniche (ad alto tasso di qualifiche, competenze tecnologiche e orientate a ruoli di analisi e problem solving), le specializzate non tecniche (intellettuali ma senza particolari competenze tecnologiche), le tecniche operative (manuali e indirizzate all’utilizzo di macchinari) e le elementari (a basso livello di qualifiche). Tra 2011 e 2016 sembrano aver sofferto soprattutto le carriere tecnico-operative, come gli operai specializzati (-222mila profili), mentre nello stesso periodo quelle molto qualificate o molto elementari hanno guadagnato una crescita simile (rispettivamente, +171mila posizioni e +215mila).

 

Entrando nel dettaglio, l’elenco offerto di professioni “vincenti” spazia da figure ad alto valore aggiunto per l’impresa come «addetti agli affari generali (a supporto di singoli aspetti delle procedure di pianificazione, progettazione, amministrazione e gestione di un’impresa o di un ente), i tecnici della produzione manifatturiera, gli analisti e i progettisti di software, gli specialisti nei rapporti con il mercato e nel marketing» ad «alcune professioni sanitarie riabilitative (podologi, fisioterapisti, etc.) e quelle qualificate nei servizi sanitari e sociali», per arrivare a un quadro di contorno abbastanza eterogeneo: la lista dell’indagine Istat parla di «addetti all’assistenza delle persone, il personale addetto all’imballaggio e al magazzino, i commessi alle vendite al minuto e diverse professioni legate alla ristorazione».
Più compatto il bilancio delle professioni in calo, trainato da trend congiunturali (la crisi del mattone) e strutturali: in primis, l’automatizzazione di funzioni già svolte da dipendenti umani e rese superflue da digitalizzazione e macchinari robotici. Come si legge nel documento Istat, il calo più brusco ha riguardato «costruzioni (muratori in pietra, manovali, personale non qualificato dell’edilizia civile e professioni assimilate) e professioni associate prevalentemente a mansioni di ufficio (ad esempio, i contabili, gli addetti alla funzione di segreteria, il personale addetto a compiti di controllo e verifica, gli addetti all’immissione di dati)».