“Niente è più piacevole o illuminante a Roma che partire senza una meta in mente; lascia che i piedi guidino e l’istinto sia la guida”. Così scrive Mark Todesco nel suo libro She Seduced Me: A Love Affair with Rome. E così ho fatto io in questi giorni a Roma. Lasciandomi guidare dai piedi, dall’istinto e dalla curiosità. Perdersi a Roma è un’emoziono da provare.
Perdersi a Roma vagando per le vie di Piazza Navona
Quando sono a Roma mi piace spostarmi con i mezzi pubblici, e poi senza meta tra le strade e le stradine. Ultimamente sono stata spesso Piazza Navona perché mi sembra giusto e mi riporta a quando ho iniziato questo lavoro. Ma non mi fermo, la piazza vuota è desolante e vado dietro la piazza e in Via dei Coronari: una bella strada prevalentemente pedonale fiancheggiata da negozi e caffè, purtroppo per la maggior parte vuoti ora. Dirigendomi verso il Vaticano, mi fermo a guardare in questi costosi negozi pieni di oggetti d’antiquariato unici, tra cui dipinti, busti di imperatori romani e vari bellissimi oggetti ben realizzati che non hanno scopo pratico. Il denominatore comune che noto in tutti questi negozi è che mancano tutti i clienti. Ora più di prima forse. Decido di tornare indietro verso piazza Farnese, così attraverso il Corso e prendo una strada secondaria uscendo davanti all’Ambasciata di Francia in piazza; all’angolo c’è una chiesa, porte spalancate, in cui entro.
Le suore
Due suore sono sedute in fondo alla chiesa con queste strane cinghie sui loro veli che fanno sembrare che indossino un elmo. Una volta a casa ho cercato cosa fosse quello strano copricapo e ho scoperto che rappresenta la corona di spine di Cristo. Si chiamano monache Bridgettine e furono fondate nel 1344. In quella zona hanno (avevano) una pensione. Mi sono fermata per godermi la pace. La chiesa era immacolata, in stile barocco classico, con una leggerezza che mi sollevava lo spirito. Non sono cattolica ma non ho potuto fare a meno di una preghiera di gratitudine per quello che stavo vedendo prima di andarmene.
Esplorando il quartiere ebraico
Ma la cosa fantastica di queti giorni a Roma è il quartiere in cui ho preso l’appartamento: il quartiere ebraico. Una zona piena di luce con ottimo cibo ma con una triste storia. La popolazione ebraica fu travolta dalle maree religiose della Riforma e della Controriforma quando Papa Paolo IV trasferì gli ebrei di Roma in un’area di sette acri soggetta a inondazioni nel 1555. Per tre secoli, gli abitanti ebrei vissero all’interno di queste mura, dovendo obbedire al coprifuoco e alle restrizioni occupazionali fino a quando le mura del Ghetto furono abbattute nel 1848. Ai residenti ebrei furono quindi concessi pieni diritti e cittadinanza e godettero di questo impulso di libertà fino alla Seconda guerra mondiale. Quando i nazisti occuparono Roma, chiesero alla comunità ebraica di pagare 50 chilogrammi d’oro come riscatto o di affrontare l’immediata deportazione. Il rabbino capo Israel Zolli andò in Vaticano per chiedere aiuto e ha ottenuto un prestito per l’intero importo, che sarebbe stato rimborsato dopo la guerra. Ma il prestito non fu necessario poiché tanti ebrei e non ebrei si fecero avanti per donare i loro orologi d’oro e gioielli per aiutare. Ma il pagamento in oro ritardò solo l’arresto e la deportazione di circa 2.000 ebrei, metà dei quali furono inviati ad Auschwitz. Pochi sono sopravvissuti: solo 16 tornarono a Roma.
Il Sentiero Trilussa è stato riconosciuto da RomaNatura
Perdersi a Roma e nel ricordo
Mentre percorro il quartiere ebraico, mi fermo a vedere la targa commemorativa in pietra alle vittime dello sterminio nazista del 16 ottobre 1943. Poi giro in una strada laterale dove, tra i ciottoli davanti alle case, ci sono i nomi incisi in bronzo di coloro che furono rimossi con la forza e mandati nei campi di concentramento. Mi fermo e guardo in basso per leggere il ciottolo di bronzo ai miei piedi: “Qui visse Silvia Sermoneta, classe 1897, arrestata il 10 ottobre 1943, deportata, Auschwitz, assassinata il 15 luglio 1944, in Via Salaria”. Mi sposto: “Qui visse Costanza Sonnino, classe 1909, arrestata il 4 ottobre 1943, deportata, Auschwitz, morta in un luogo sconosciuto in un tempo sconosciuto”. In altri momenti ristoranti festosi e le strade piene di negozi e gente sarebbero stati un contrasto drammatico con la tragedia che si svolse nell’ottobre del 1943. Ma in questi giorni di pandemia i ristoranti sono deserti e i negozi anche. Il cielo minaccia pioggia e questo aumenta il sneso della tragedia di quel giorno. Decido di risalire a casa, prima che piova e mi chiedo chi abitasse qui se ce l’ha fatta.