La ferocia razzista con la quale è stato ucciso George Floyd è sorretta da un sistemico regime di oppressione. Per contrastarlo non basta denunciarlo, occorre metterlo in discussione e scardinarlo, anche in Italia.
Occorre protestare contro l’omicidio di Floyd anche nel nostro Paese
In questa situazione il razzismo è la vera pandemia, il virus che contagia più di tutti. Il silenzio non può essere il vaccino. Non parlarne vuol dire essere vittime; vuol dire essere testimoni passivi. Ciò che è successo in America, infatti, riguarda tutti. In Italia, #BlackLivesMatter ha un significato importantissimo, tanto quello al quale si inneggia in America. Nel nostro Paese, lottare per la causa Floyd vuol dire innanzitutto dare voce alla realtà dell’integrazione per combattere il razzismo e tutte le forme di disuguaglianza sociale.
Non si tratta solo di razzismo
Il caso Floyd non è solo l’ennesima prova di quanto il razzismo sia profondamente e omertosamente radicato nella nostra società. L’omicidio dell’afroamericano per mano di un poliziotto, che le mani le teneva in tasca, riporta a tutte le vittime che lo Stato doveva proteggere e, invece, ha ucciso. “Non bisogna neanche fare razzismo alla rovescia: non deve indignare di più la morte di un afroamericano rispetto a quella di un bianco. Il tema del razzismo rischia di essere fuorviante, lo scandalo è il comportamento in sé, contro chiunque esso venga posto in essere. Quando si ferma una persona, a prescindere se l’arresto sia legittimo o meno, ne si diventa responsabili. E questo è un problema che riguarda tutti. Le morti che si verificano durante queste modalità del fermo, che io ritengo sconsiderate, sono conosciute in tutto il mondo. Da noi ci sono precedenti tristemente noti, ma anche altri meno noti. Parlo per esempio di Vincenzo Sapia, il cui procedimento pende a Castrovillari da anni ormai.” Queste le parole di Fabio Anselmo, l’avvocato del caso Aldrovandi e del caso Cucchi.