L’omicidio Fava risale ormai a trentasei anni fa. Anche Catania ebbe il suo “cadavere eccellente” ovvero il giornalista-scrittore Giuseppe Fava.
Omicidio Fava: la mafia a Catania
La sua uccisione aprì una fase nuova, inquietante e drammatica nella vita della città. Ormai era definitivamente tramontata la teoria, peraltro già in crisi dopo l’assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa avvenuto il 3 settembre del 1982 a Palermo, che a Catania non esisteva la mafia. Furono tantissimi i depistaggi e venne addirittura costituito un comitato per difendere l’onore di Catania.
Per tanti anni, nel luogo dell’assassinio, ci fu solo un cartello, frutto di un’assemblea studentesca, che denunciava il carattere mafioso dell’omicidio. Prima di scoprire che la mafia catanese non aveva nulla da “invidiare” a Cosa Nostra palermitana ci volle molto tempo.
Omicidio Fava: la mafia che divora lo stato
La morte di Fava squadernò davanti agli occhi di tutti di cosa era capace il sistema di potere dominante a Catania e in Sicilia. Metteva in evidenza di quali complicità e taciti consensi godeva e quali interessi economici esprimeva.
Si trattava di un sistema che, come scrisse Fava, aveva compiuto, soprattutto dopo il delitto dalla Chiesa, un “salto di qualità, diremmo di cultura criminale, fra le prede mafiose tradizionali di base e le nuove grandi prede che caratterizzano gli anni ottanta. Quest’ultime sono essenzialmente due: il denaro pubblico e la droga. E’ come se un grande corpo, un grande animale, lo stato italiano, mai morto e continuamente in agonia, fosse divorato ancora da vivo”.
Omicidio Fava: l’effetto “dalla Chiesa
Fava, con grande coraggio e senza farsi intimidire da minacce di ogni tipo, prima con il quotidiano “Il giornale del Sud” e poi con la rivista “I Siciliani”, squarciò le tenebre che avvolgevano soprattutto la parte orientale della Sicilia. Con determinazione fece riaprire il “caso Catania” poiché aveva compreso che “l’effetto dalla Chiesa” aveva provocato una scomposizione nel blocco di potere dominante. Tutto ciò anche grazie alle indagini di magistratura e guardia di finanza cui erano sottoposti i maggiori imprenditori catanesi.

Secondo Fava, da un lato “Esiste infatti una realtà innegabile: perché la mafia possa amministrare le sue migliaia di miliardi, debbono pur esserci imprese private ed istituti pubblici, uomini d’affari o di politici capaci di garantire l’impiego e la purificazione di quell’ininterrotto fiume di denaro”.
Dall’altro emergeva la specificità tutta catanese dei cosiddetti Cavalieri dell’apocalisse “Tutti e quattro (Rendo, Costanzo, Graci, Finocchiaro) hanno imprese, aziende, interessi in tutte le direzioni, industrie, agricoltura, edilizia, costruzioni […]”. I quattro cavalieri furono personaggi che hanno saputo perfettamente capire i vuoti della struttura sociale e politica italiana del nostro tempo. Sono stati più rapidi e decisi nel trarne i vantaggi.
Omicidio Fava: la rivista “I siciliani”
In particolare negli ultimi anni della sua vita, Fava si prefiggeva l’obiettivo di continuare la denuncia contro la mafia, la corruzione, il clientelismo. Il tutto era rafforzato dalla fondazione della rivista “I Siciliani”, con l’ausilio di giovani collaboratori molto combattivi.

Fava ha pagato con la vita il suo impegno e sarebbe importante non lasciare cadere il suo lavoro nel nulla. Il suo obiettivo era costruire una realtà veramente democratica, un’informazione libera e critica, una società civile e moderna.