Il 28 giugno del 1867 nasceva a Girgenti, attuale Agrigento, Luigi Pirandello – drammaturgo, scrittore e poeta italiano – il rivoluzionario dei generi della letteratura. Pirandello è uno degli autori più amati dal pubblico per la sua capacità di scrivere e mettere in scena opere che mai prima erano state scritte. Tutte le sue opere sono influenzate dal periodo Risorgimentale in cui cresce, poiché anche i genitori erano stati sostenitori. Dopo aver studiato prima a Roma e poi in Germania, entra a far parte del mondo letterario, collaborando con alcune riviste. In questo stesso periodo pubblica le prime novelle e i primi romanzi.

Il 1903 è un anno di svolta per Pirandello. Avviene un dissesto economico a causa di un allagamento nella miniera di zolfo dei suoi genitori e, contemporaneamente, inizia a manifestarsi la malattia mentale della moglie. Queste difficoltà lo portano ad aumentare la sua attività di scrittore traendo spunto proprio da ciò che ha vissuto. Da qui nasceranno le opere più importanti e amate: Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani, Suo marito, Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Inoltre inizia anche la sua attività teatrale, scrivendo opere sia in italiano che in siciliano.
È però il teatro a portarlo al successo internazionale. Nel 1921 ripropone a Milano – dopo il fiasco della prima presentazione a Roma – Sei personaggi in cerca d’autore che ottiene un successo inaspettato. Il suo talento e tutto il successo ottenuto con il teatro, lo porta ad ottenere nel ’34 il Premio Nobel. Muore a Roma due anni dopo. Il suo ultimo romanzo, divenuto popolare fino ai giorni nostri, è Uno, nessuno e centomila (1926).
La follia come unica via d’uscita
Per racchiudere il genio di Pirandello è necessario comprendere diversi aspetti fondamentali del suo pensiero. Uno fra tutti, il problema delle “maschere”. Secondo il pensiero pirandelliano, l’uomo vive all’interno della società in continua lotta contro le maschere che la società stessa gli impone, rendendolo estraneo a sé stesso e agli altri. L’uomo è chiamato a superare questo conflitto perché altrimenti è destinato alla sconfitta. Una lotta continua dunque tra la vita e la forma.
È proprio questa lotta che fa scaturire in Pirandello l’esigenza di scrivere, perché la letteratura ha una “funzione consolatoria” e rappresenta proprio questa lotta continua. Ma anche la letteratura è finzione e, proprio da questo concetto, Pirandello inizia a fare metaletteratura, ovvero una letteratura che parla della letteratura stessa, analizzando i processi dello scrivere.

Questa lotta continua con le forme della società fa nascere di conseguenza diversi “io” all’interno di una sola persona. Un io nel mondo lavorativo, un io nel mondo familiare, un io per ogni ambito. Un modo di presentarsi al mondo in base al contesto che si vive in un determinato momento. Tutti questi io portano inevitabilmente l’uomo all’incapacità di riconoscere sé stesso, a scoprire realmente quali fra questi lo identifica veramente, senza finzioni.
Questo dramma personale è presente in tutte le opere pirandelliane. L’uomo che, stanco della finzione, tenta più volte di fuggire, di liberarsi da ogni maschera. Tutto questo caos interiore ha come unica soluzione possibile la “follia”. Nel mondo pirandelliano sono tutti in cerca di un’identità. L’uomo dopo essersi guardato allo specchio non sa riconoscersi, si vede estraneo anche a sé stesso. È un mondo fatto di trappole, dove la realtà si confonde fino a perdersi.
È quest’analisi che Pirandello fa sull’uomo ad averlo reso negli anni un autore intramontabile e amato. Un’analisi sempre vera e attuale. Soprattutto nella società odierna dove viene quasi imposto uno sdoppiamento del proprio essere davanti ai vari aspetti della vita. L’uomo è “costretto” a sviluppare più io, ad avere un “abito” giusto per ogni situazione che vive. L’unico modo per conoscere veramente sé stessi è abbandonare ogni maschera, avere il coraggio di andare controcorrente, anche a costo di “diventare folli”.
Ma non è sempre stata la follia a generare bellezza?
Leggi anche: Pirandello torna a teatro con Il piacere dell’onestà. Maschere e verità nella rivisitazione di Cavani