giovedì, Aprile 17, 2025

Midterm 2018: prima prova elettorale dell’America di Trump

Si torna al voto negli USA per eleggere, oggi 6 novembre, tutti i 435 nuovi membri della Camera dei Rappresentanti e per rinnovare 35 dei 100 senatori. Ad oggi il Partito Repubblicano di Trump controlla sia Camera che Senato: per quanto riguarda la Camera dei Rappresentati il GOP la guida con una maggioranza di 235 seggi contro i 193 rappresentanti democratici (7 seggi sono vacanti); al Senato invece la maggioranza e più risicata, con 51 seggi in mano ai Repubblicani contro i 49 che di fatto appoggiano i Democratici (oltre ai 47 senatori Dem propriamente detti il Partito Democratico può infatti contare su due indipendenti di Sinistra, tra cui il socialdemocratico senatore del Vermont Bernie Sanders).

Immagine: Il Campidoglio, sede ufficiale dei due rami del Congresso

Certo è che nemmeno oggi, con la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, la Concordia Augusti regna tra i ranghi del GOP. Trump si è più volte scontrato con la Vieille Garde del Partito e in modo particolare con i pretoriani del fu senatore dell’Arizona John McCain. Dopo la morte di quest’ultimo la situazione non è più quella guerresca fomentata dal vecchio gerarca repubblicano ma permane una certa ostilità di fondo per il nuovo modo di porsi che Trump sta da due anni cercando di innestare nel GOP.

Immagine: I funerali di John McCain, Trump non fu presente per volontà dello stesso Senatore

Le prospettive dei sondaggisti americani si sono più di una volta rivelate fallaci ma meritano in ogni caso di essere citate, quantomeno per dovere di cronaca. I rotocalchi Dem (o comunque allineati) prospettano per Trump il paradigma dell’anatra zoppa, ovvero sperano e proclamano che il POTUS perderà la maggioranza al Congresso e gli toccherà governare con quest’ultimo contro per gli ultimi due anni del suo mandato.

Trump si presenta alle elezioni forte di una politica economica di estremo successo agli occhi della classe media, suo elettorato primario, ma anche, purtroppo, di una politica estera non sempre riuscita. L’approccio muscolare che ha portato a una (a nostro avviso temporanea) soluzione in Corea non poteva invece essere applicata in Siria e nel Medioriente più generalmente inteso. A dispetto delle prospettive iniziali di rinnovamento le alleanze dell’amministrazione Trump si sono rivelate essere quelle classiche degli USA imperialisti, Sionismo israeliano e Dinastia Saudita, e il nemico è stato questa volta individuato nell’Iran Islamico e Rivoluzionario, bersaglio delle sanzioni americane.

Immagine: Trump firma le sanzioni alla Cina

Tuttavia, malgrado queste macroscopiche mancanze in politica estera e le classiche manovre turboliberiste in patria, la presidenza di Trump ha un significato da non sottovalutare, quello della rivolta del popolo, in particolare di quello dell’Hinterland, contro l’establishment, sia esso repubblicano o democratico. Il declino dell’ancient régime del GOP va di pari passo a quello della nomenklatura democratica, sempre più insidiata dall’ingombrante figura dei socialdemocratici (ritenuti, a torto, socialisti da qualche analista amante del pittoresque in politica), con Sanders in prima fila.

In definitiva, non ci resta che attendere il verdetto dei cittadini, ben consci che, come storicamente è avvenuto più volte, potrebbe ribaltare completamente le nostre previsioni.

Immagine: il Senatore indipendente del Vermont Bernie Sanders

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