Mario, affetto da tetraparesi spastica, dimenticato dalle istituzioni competenti

Nessun diritto riconosciuto al ventottenne disabile

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A causa di una grave ischemia subita alla nascita, Mario, oggi soffre di tetraparesi spastica.
Sono 28 gli anni del giovane ragazzo costretto a dover essere assistito ogni giorno e in ogni singolo momento. Adulto ma non autonomo e , vista la scarsa, o quasi nulla, assistenza riconosciutagli, la forza della mamma sta battendosi per ottenere i diritti che gli spettano.

Di conseguenza a ciò, si chiede ufficialmente il sacrosanto diritto di far trascorrere del tempo, a Mario, in un centro Diurno che possa permettergli di ascoltare musica, giocare, imparare e disegnare. Passare le sue giornate con altre persone, avere modo di socializzare così come fa tutto il resto della gente. Una cosa semplice, insomma. O almeno così dovrebbe essere.
‘Permesso’ che , però , non viene concesso dalla Regione Lazio che, anzi, continua a rimandare e ancora rimandare senza garantire nulla di fatto alla famiglia di Mario.

Tenetevelo a casa, è troppo complicato per noi, non abbiamo operatori disponibili a stare con lui’. Queste le orribili parole esternate da chi, invece, dovrebbe prendersi cura di Mario, cercando in ogni modo di farlo sentire capace di poter svolgere le azioni più basilari, i piccoli gesti quotidiani che riempiono le giornate.
Una vergogna senza fine che ha indotto la signora Elena, madre di Mario, ad iniziare lo sciopero della fame appositamente per attirare l’attenzione di chi di dovere, sull’assurdo quanto ingiustificabile episodio verificatosi in una delle tante famiglie che necessitano di servizi validi.

Da pochi giorni è stato, dunque, dato il via ad una vera e propria petizione che con l’aiuto e il massimo supporto, si spera, di tutto il resto della popolazione, le persone in questione possano usufruire di servizi adeguati affinché si possa porre fine a obbrobri come quelli appena decritti.

Lasciare un disabile al proprio destino, lasciare che le varie patologie annientino quel poco che resta, quella gioia negli occhi. Restare indifferenti davanti alla stessa voglia di lottare, non avere la benché minima pietà per il dolore, la sofferenza e gli sforzi estremi di un genitore. Nessun aiuto. Nessun tipo di cortesia. Nulla. Neanche i diritti.
Ma noi altri? Noi siamo come chi non osa muovere un solo dito?