giovedì, Aprile 17, 2025

I sensi del benessere: il gusto

Completiamo questo viaggio nei cinque sensi del benessere fisico e psichico approdando sull’organo del gusto. Attraverso il gusto riceviamo sensazioni da ciò che mangiamo. Nella bocca ci sono piccoli organi sensoriali specializzati, i bottoni gustativi, che riconoscono le proprietà chimiche di cibi e bevande e, attraverso una serie di tappe, le comunicano al cervello. Le sensazioni gustative spesso forniscono indicazioni su ciò di cui abbiamo bisogno oppure ci avvertono di sostanze nocive.

Un po’ di anatomia?

Il gusto si basa sulle proprietà chimiche di ciò che introduciamo in bocca. La lingua e altre parti della bocca contengono cellule specializzate, i recettori per il gusto, capaci di rispondere alla presenza di sostanze disciolte nei liquidi. Il gusto, combinato con l’olfatto, permette la scelta del cibo a seconda delle proprie preferenze e a volte anche a seconda delle necessità del proprio organismo.

L’ organo del gusto è costituito da corpuscoli (o bottoni) gustativi. Questi sono formati da cellule epiteliali modificate (gli epiteli sono i tessuti di rivestimento, come la pelle e le mucose) provviste di sottili espansioni verso l’esterno, i microvilli. I corpuscoli gustativi sono inoltre provvisti di un poro che mette in comunicazione la cavità interna con l’ambiente esterno. In questo modo le sostanze in soluzione possono arrivare a contatto con le cellule sensoriali, vale a dire le cellule che hanno la capacità di ricevere gli stimoli esterni. Solo le sostanze in soluzione o comunque liquide stimolano gli organi del gusto. Alla base delle cellule sensoriali abbiamo le fibre nervose sensitive specializzate che sono in grado di rispondere ai cambiamenti delle attività elettriche di membrana del recettore indotte dalla presenza di determinate molecole presenti nel cibo.

I gusti fondamentali

Sono stati riconosciuti tradizionalmente quattro gusti fondamentali: acido, salato, dolce e amaro. I gusti più complessi derivano dalla loro combinazione. Occorre però distinguere tra gusto e sapore. Il sapore in realtà è una combinazione di gusto e odorato; infatti tutti hanno provato la perdita dei sapori come conseguenza di un forte raffreddore. In questa condizione il senso del gusto non è alterato, quella che manca è la componente olfattiva che completa la sensazione. I recettori gustativi dei vertebrati acquatici, oltre a queste molecole, rispondono anche a numerosi amminoacidi che costituiscono le proteine. Sembra che anche nei Mammiferi e quindi nell’uomo, esistano recettori sensibili agli amminoacidi, in particolare al glutammato. Questi sarebbero responsabili di un quinto gusto denominato “carnaceo”. Il glutammato viene usato per esaltare il gusto di tanti piatti dell’Oriente ed è presente anche nei comuni estratti di carne (o vegetali) per il brodo.

I corpuscoli gustativi

I corpuscoli gustativi sono in larga parte localizzati nella lingua. In questo organo i bottoni gustativi si trovano raggruppati lungo le pareti di particolari protuberanze denominate papille linguali. Nell’uomo essi sono presenti in gran numero sulle papille circumvallate (disposte in forma di V nella porzione posteriore della lingua) ma sono anche presenti sulle papille fungiformi della porzione anteriore della lingua e sulle papille fogliate, disposte lungo i margini laterali della lingua. Circa il 10% dei bottoni gustativi si trova al di fuori della lingua, sul palato o in altre localizzazioni.

Nell’uomo adulto esistono circa 10.000 corpuscoli gustativi; essi sono più numerosi nel bambino e diminuiscono di numero tra i 45 e i 50 anni.

I meccanismi cellulari di riconoscimento dei gusti

Le sostanze chimiche presenti nel cibo si disciolgono nella saliva e giungono a contatto con le cellule gustative. Qui interagiscono con le proteine presenti sulla membrana dei microvilli, le quali funzionano da recettori e da canali attraverso cui passano gli ioni (come quelli di sodio, potassio, cloro, calcio). In particolare, il salato e l’acido attivano i cosiddetti canali ionici, cambiando così direttamente le attività elettriche della membrana. Viceversa, il dolce e l’amaro sono riconosciuti da appositi recettori, che a loro volta attivano una molecola, chiamata gustducina. Questo ‘messaggero’ interno modifica le attività della cellula e permette la liberazione di molecole di segnalazione, i neurotrasmettitori (neuroni e glia), che vanno a eccitare le fibre nervose vicine.

La lingua

Studi di un secolo fa, ampiamente citati nei libri di scuola, suggerivano che nella lingua esistessero territori per le diverse sensibilità. Secondo questo schema il dolce verrebbe segnalato dalla punta della lingua, il salato dalle porzioni laterali anteriori, l’acido dalle porzioni laterali posteriori e l’amaro nella parte più posteriore. In realtà oggi si ritiene che tutti i diversi tipi di gusto possano essere percepiti da tutte le regioni della lingua che contengono i corpuscoli gustativi.

Il gusto arriva al cervello

Le fibre nervose che registrano le attività delle cellule gustative sono i prolungamenti periferici di cellule poste in tre masserelle (gangli) associate a tre nervi che originano nel sistema nervoso centrale. Queste stesse cellule inviano un altro prolungamento verso un gruppo di cellule, il cosiddetto nucleo solitario, che è situato alla base del sistema nervoso centrale (cervello e sistema nervoso). Qui le informazioni giunte dalla periferia vengono riorganizzate e trasmesse alla corteccia cerebrale, dopo essere passate da un’ulteriore stazione intermedia situata alla base della corteccia, il talamo.

Gusto e apprendimento

Nella società attuale, l’attenzione per il gusto e per la qualità del cibo è diventata una moda, oltre che una significativa attività economica. Le informazioni gustative sono peraltro molto importanti perché ci aiutano ad assumere le sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno. I segnali gustativi preparano anche risposte fisiologiche, come la liberazione dell’ormone insulina, che consentono di utilizzare in modo efficiente le sostanze nutritive. L’uomo e alcuni animali, se hanno carenze di sodio, cercano attivamente cibi salati che ne sono ricchi.

Disgusto e apprendimento

Ma anche il diffuso disgusto verso sostanze molto amare ha un significato importante. Infatti in molte piante che contengono composti tossici il sapore amaro è un segnale di avvertimento. In questo modo, rifiutare cibi troppo amari può aiutare a evitare sostanze nocive. Il forte legame fra gusto e piacere ‒ o dispiacere ‒ rappresenta la base dell’apprendimento gustativo. Pensando di nuovo al cioccolato verrà l’acquolina in bocca, perché abbiamo imparato ad associare a quel gusto una sensazione piacevole.

I sensi del benessere: benessere con gusto

Tutte le cose buone fanno ingrassare o fanno male! Quante volte abbiamo sentito questa affermazione magari davanti a un piatto di patatine fritte o a una bella porzione di dolce? Eppure c’è chi ritiene che non sia tanto vera. Tutti i sostenitori della cucina wellness, per esempio, affermano che ci si può sedere a tavola dimenticandosi della dieta e gustando ogni tipo di pietanza, buona da mangiare e salutare.

Cucina wellness è il primo progetto in Italia che porta la scienza della nutrizione in cucina. Questo è stato ideato da Chiara Manzi, presidente dell’Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina (ASSIC).

Di cosa si tratta?

Il motto è “vietato vietare”. Infatti nella cucina wellness tutti gli alimenti sono concessi, se scelti con attenzione, preparati con i metodi di cottura più sani e consumati in modo adeguato. Dunque quantità ridotte e eliminazione di grassi o di elementi pericolosi per la salute. La novità è nei metodi di cottura e nell’ abbinamento tra alimenti in grado di esaltare componenti anti ossidanti dei cibi.

«Il segreto è quello di non affidarsi a una sola sostanza, ma di assortire ogni giorno gli alimenti per massimizzare le azioni protettive di queste sostanze» dice Chiara Manzi. Coinvolgendo anche grandi chef, Chiara Manzi ha messo a punto numerose ricette anti-aging rivisitando in chiave salutista anche piatti tradizionali o della cucina regionale italiana.

Il benessere a tavola

Il benessere a tavola è importante, ma non esistono ricette miracolose in grado di trasformare un piatto di patatine fritte in una pietanza salutare e anti-aging. E’ bene porre attenzione alle quantità, è bene usare prodotti di qualità e genuini, abbinare con intelligenza i cibi e variarli, cucinare con alcune accortezze. Se ogni tanto vogliamo concederci un fritto o dei dolci, facciamolo pure, ma con la consapevolezza che una volta ogni tanto fa bene all’umore e non rovina la salute (una volta ogni tanto però).

I sensi del benessere: siamo quello che mangiamo

Già nell’antica Grecia, Ippocrate, il Padre della medicina, insegnava che in un’alimentazione equilibrata stanno le basi della salute e della felicità umana (“sia il cibo la vostra medicina e la medicina il vostro cibo”). Nella società moderna invece, è stata negata questa relazione tra il cibo e le malattie. Dopo diversi secoli di farmaci e di interventi chirurgici, la scienza e la medicina riscoprono, oggi, la possibilità di mantenere uno stato di salute ottimale e la felicità per mezzo del cibo. Tramite questo possiamo prevenire e curare le malattie e raggiungere il proprio peso ideale.

Tantissimi sono i siti internet, le trasmissioni, i libri sui vari stili aliementari per il calo di peso ma soprattutto per riprendere un sano rapporto con il cibo per 365 giorni all’anno.

Vediamo in dettaglio solo alcuni di questi:

1. Dieta a Zona

La dieta a Zona è una dieta low-carb e iperproteica che ruota intorno alla regola del 40-30-30: si basa, cioè, su un preciso bilanciamento tra i macronutrienti, che prevede che, sia durante i pasti principali che negli spuntini, il 40% delle calorie provenga dai carboidrati, il 30% dalle proteine e il 30% dai grassi. Questa proporzione è finalizzata a mantenere un preciso equilibrio ormonale e alla modulazione della glicemia per favorire la salute, il controllo del peso e la riduzione dei livelli di infiammazione dell’organismo.

Storia

La dieta a Zona è stata ideata dal biochimico americano Barry Sears, studioso di lipidi, che attraverso ricerche sugli eicosanoidi, ormoni che sovrintendono a moltissime funzioni dell’organismo, ha scoperto che il loro corretto equilibrio può essere determinante per il benessere e la salute. Questo l’ha portato a elaborare una strategia nutrizionale in grado di modularne la produzione. I primi su cui Sears ha testato il suo metodo alimentare sono stati proprio dei grandi atleti.
A partire dagli studi di Sears, sono state elaborate rivisitazioni della dieta a Zona. E’ nata così la Zona Italiana, che segue i criteri 40/30/30 di quella originaria americana, ma introduce nelle sue tabelle nutrizionali anche alimenti tipicamente mediterranei. Un esempio è la dieta a zona di stampo mediterraneo elaborata dal dottor Gabriele Buracchi. Evoluzioni ulteriori sono la dieta a Zona vegetariana e vegana.

La dieta a Zona per l’equilibrio ormonale

La dieta a zona parte dal presupposto che l’organismo sia un complesso congegno metabolico che risponde in modo attivo al cibo che ingerisce. In particolare, le nostre scelte alimentari permettono di modulare ormoni che giocano un ruolo cruciale su benessere e peso. Tra questi, insulina, glucagone ed eicosanoidi. La dieta a Zona, attraverso una precisa ripartizione dei nutrienti, punta a mantenere i livelli di questi ormoni entro valori fisiologici ottimali. Questo produce come conseguenza la riduzione dell’infiammazione nell’organismo, la prevenzione di malattie croniche come diabete e cardiopatie, il controllo del peso.


Le calorie non contano

La dieta a Zona mette quindi l’accento sulla risposta ormonale dell’organismo agli alimenti e ai diversi nutrienti, in contrasto con tutte le teorie che assegnano alle calorie un posto centrale all’interno di una strategia finalizzata alla salute e alla perdita di peso. Secondo i principi della dieta a Zona le calorie, che rappresentano lo strumento più utilizzato per stabilire quanto mangiare, per scegliere gli alimenti, per comporre le ricette e i pasti, non sono il modo migliore per valutare il cibo.

Un esempio tra calorie e risposta ormonale

Dal punto di vista calorico carboidrati e proteine sono equivalenti, perché entrambi apportano 4,1 calorie per grammo. Ma la risposta ormonale che inducono è opposta: i carboidrati stimolano la produzione di insulina, le proteine agiscono sul glucagone. Questo non significa che per dimagrire si debbano mangiare solo proteine, vuol dire però che le calorie non sono gli unici parametri da considerare per impostare una corretta alimentazione.

Dieta a Zona: i benefici

Ecco i principali benefici che la dieta a Zona permette di ottenere:

-Ridotta incidenza delle patologie croniche correlate alla sindrome metabolica, come malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, obesità, Alzheimer.
-Migliori prestazioni cognitive.
-Aumento dei livelli di energia e miglioramento delle performance fisiche, perché la stabilizzazione dei livelli di insulina e glucagone mette l’organismo nella condizione di utilizzare i grassi immagazzinati nel tessuto adiposo come fonte di energia.
-Riduzione degli attacchi di fame, conseguenza dei picchi glicemici dopo i pasti.
-Significativo calo di peso.

2. Dieta Montignac

La dieta Montignac, o metodo Montignac, è una variante della dieta dissociata e prende il nome dal suo inventore, Michel Montignac. Il metodo alimentare si basa sulla limitazione dei cosiddetti zuccheri cattivi (glucidi che determinano picchi glicemici in breve tempo), come zucchero, riso brillato e pane bianco.

Un piatto tipo della dieta Montignac non trova mai associati glucidi e alimenti lipidici, va gustato masticando lentamente ed evitando di bere durante l’assunzione del cibo.La dieta Montignac non prevede menù fissi né quantità massime per gli alimenti, ma prevede una prima fase di dimagrimento in cui si preferiscono alimenti con indice glicemico inferiore a quello del glucosio. A questa prima fase ne segue una seconda di mantenimento dove si assumono alimenti con indice superiore del 20%.

La dieta Montignac vieta severamente di saltare i pasti ed esclude alimenti come zucchero industriale, farina bianca, riso bianco, patate, alcolici, caffé forte. Dopo un pasto glucidico si devono aspettare 3 ore prima di consumare lipidi e 4 ore dopo un pasto lipidico prima di consumare glucidi.

Gli alimenti principali

Una colazione tipo della prima fase di dimagrimento sarà con pane integrale e marmellata senza zucchero, mentre il pranzo comprenderà insalata, pesce azzurro, verdura cotta, per cena una zuppa di cipolle, del formaggio e dell’insalata.La seconda fase è di reinserimento di alcuni alimenti: a colazione si potrà aggiungere del burro sulla fetta di pane integrale da accompagnare con del latte, a  pranzo un bicchiere di vino e dei fagiolini da usare come contorno per una bistecca, e così via.

Benefici e controindicazioni

Seguire la dieta Montignac è una cura ottima per chi ha problemi di funzionamento del pancreas o ha avuto a che fare con episodi di intolleranze alimentari. Il lato positivo di questa dieta è che può essere seguita ovunque, perché non include alimenti difficili da reperire né calcoli improbabili da eseguire prima di poter mangiare. D’atra parte, questa dieta include alimenti ad alto contenuto proteico ed è per questo che non può essere seguita per un periodo troppo lungo. Indubbiamente la dieta funziona, perché si mangia meno, e si riducono le calorie almeno del 20%.

La dieta Montignac è consigliata a coloro che accumulano peso in virtù di un metabolismo che lavora con lentezza e va riattivato. 

La dieta Montignac è controindicata per chi ha problemi al cuore o ai reni. La riduzione dei carboidrati non è il massimo per gli ipoglicemici.   

3. Dieta Gruppi Sanguigni

La dieta del gruppo sanguigno è stata proposta dal naturopata Peter J. D’Adamo in un libro uscito nel 1996 intitolato “Eat Right For Your Type”, un libro che è divenuto un vero e proprio caso editoriale ed è stato pubblicato in oltre 60 paesi.

La dieta del gruppo sanguigno di D’Adamo

Secondo D’Adamo i gruppi sanguigni riflettono la nostra storia evolutiva e la nostra dieta per cui i cibi che consumiamo ogni giorno, dovrebbero essere accuratamente selezionati in base al nostro gruppo sanguigno.

Il gruppo O

è quello ancestrale, il primo a comparire, tipico dei cacciatori-raccoglitori, per cui la dieta più indicata per questi oggetti prevede un elevato consumo di carne, pesce, pollame e certi tipi di verdura e frutta, con limitazioni importanti nel consumo di latticini, legumi e cereali.

Il gruppo A

è quello dei coltivatori e si sarebbe evoluto di pari passo con lo sviluppo di una società basata sull’agricoltura. La dieta consigliata è in pratica quella vegetariana, con l’esclusione della carne che sarebbe addirittura tossica.

Il gruppo B

è il gruppo dei nomadi, che si è evoluto tra le tribù girovaghe delle steppe: la loro dieta ottimale sarebbe basata su carne — con l’eccezione di pollame e suini — verdure e latticini. Da escludere invece frumento e mais, lenticchie e pomodori.

Il gruppo AB

è un enigma per D’Adamo, un gruppo evolutosi di recente che dovrebbe consumare pesce, tofu, latticini legumi e cereali, evitando però alcuni tipi di fagioli, mais, carne bovina e pollame.

La dieta del gruppo sanguigno del dottor Mozzi

Come ogni dieta di successo, anche quella di D’Adamo ha generato una serie di varianti più o meno di successo, più o meno note. Dalle nostre parti è particolarmente celebre la Dieta del Dottor Mozzi, “medico secondo natura“, che si è spinto un poco più in là di D’Adamo.

Secondo Mozzi infatti ci sono alcuni alimenti il cui consumo dovrebbe essere limitato o evitato indipendentemente dal proprio gruppo sanguigno. Si tratta del glutine, specialmente quando arrivi dal frumento, e del latte e di tutti i suoi derivati, alimenti problematici per il sistema immunitario e potenziali causa di diverse patologie, dall’osteoporosi ad alcuni tipi di cancro. Mozzi suggerisce anche di controllare il consumo di frutta che, se eccessivo, porta all’accumulo di zuccheri nel sangue.

Gli alimenti benefici e nocivi per ogni gruppo

Mozzi definisce quindi una rosa di alimenti benefici o nocivi per ogni gruppo, indicando anche alimenti neutri che non determinano alcun tipo di effetto, positivo o negativo:

I soggetti del gruppo O

devono evitare il glutine, alcuni legumi, latte e formaggi, preferendo invece carne, pesce e verdure;

I soggetti del gruppo A

devono evitare carne, salumi, insaccati e formaggi, con un consumo limitato di cereali;

I soggetti del gruppo B

devono evitare sono grano saraceno, arachidi e cibi a base di frumento, mentre carne e verdure possono essere tranquillamente consumate, specie a cena;

I soggetti del gruppo AB

devono evitare carne rossa e pollame sono da evitare, assieme a mais, grano saraceno, frumento e fagioli. Cibi da consumare sono invece pesce, tofu, verdure a foglia, alghe e ananas.

I difetti di questa dieta

Alla fine, sia che la proposta sia quella di D’Adamo sia che si tratti di quella di Mozzi, ci troviamo davanti a diete restrittive, che  eliminano una grande quantità di alimenti preconfezionati e lavorati, privilegiando cibi freschi e poco manipolati. Il tutto condito da una serie di indicazioni su come  e quando consumare certi alimenti, sulle combinazioni da fare e quelle assolutamente da evitare, sulla preparazione e sulla cottura dei cibi da consumare. Indicazioni e raccomandazioni che si basano su logiche fumose o arbitrarie, senza motivazioni sostenute da dati oggettivi.

La dieta del gruppo sanguigno secondo la scienza

In tutti questi anni, sono stati condotti diversi studi e meta-analisi che hanno indagato gli effetti reali della dieta del gruppo sanguigno, eliminando l’influenza di tutti quei fattori distorsivi, dall’effetto placebo al bias di conferma, che di solito condizionano pesantemente i report aneddotici che ogni soggetto fa della dieta che ha seguito.

Non esiste alcun razionale scientifico a supporto della dieta del gruppo sanguigno. Infatti i lavori scientifici e le meta-analisi hanno evidenziato che se i miglioramenti sono del tutto indipendenti dal gruppo sanguigno del soggetto che segue questo o quel tipo di specifica dieta.

Considerazioni finali

E allora perché tanti riferiscono miglioramenti impressionanti grazie alla dieta di D’Adamo o Mozzi? La risposta è semplice: si tratta in entrambe i casi di diete ipocaloriche, che riducono notevolmente il consumo di cibi trasformati ad alta densità energetica e poveri di nutrienti, aumentando invece il consumo di cibi freschi, poco trasformati, con densità energetica decisamente minore.

In parole povere: chi segue queste diete, indipendentemente dal gruppo sanguigno e dal tipo di dieta seguita, riduce il consumo di cibo spazzatura, riduce l’apporto energetico, aumenta probabilmente il consumo di alimenti freschi, carne, pesce, verdure, facendo attenzione anche a stagionalità, preparazione e cottura dei cibi. Il miglioramento è inevitabile.

4. Dieta PH o Acido-Base

La dieta del pH, nota anche come dieta alcalina o dieta acido-alcalina è basata sulla convinzione che alcuni alimenti, quando consumati, alternino l’acidità (il pH) dell’organismo. Secondo i sostenitori della dieta alcalina, il consumo di cibi acidi porterebbe, nel tempo, a un deterioramento della salute dell’organismo con la comparsa di svariate patologie croniche.

Le diete alcaline, visto che sono declinate in modo diverso da diversi autori, sono proposte soprattutto nell’ambiente della medicina alternativa, come possibile rimedio per patologie anche molto gravi come il cancro, la fatica cronica, l’obesità, le allergie, l’osteoporosi e altre patologie croniche.

Storia

La relazione tra l’equilibrio acibo-base dell’organismo, la dieta e la salute è stato oggetto di studio, e speculazione, per secoli. La prima dieta alcalina dei tempi moderni è probabilmente la cosiddetta dieta Hay, sviluppata dal medico americano William Howard Hay nel 1920, nel 1970 l’americano Gary A. Martin sviluppò una dieta chiamata nutripathy, gli altri sostenitori più famosi della dieta alcalina sono Christofer Vasey, Robert O. Young, Edgar Cayce, DC Jarvis, e Herman Aihara.

Come funziona la dieta del pH

Secondo i sostenitori della dieta alcalina, il consumo di cibi acidi porterebbe ad una lieve acidosi cronica che, alla lunga, comporterebbe un aumento della probabilità di insorgere di patologie croniche molto gravi. Dunque, per evitare questo rischio, bisognerebbe assumere il 70-80% di alimenti alcalini e solo il 20-30% di alimenti acidi. I cibi acidi, da evitare, sono i cereali, i latticini, la carne, lo zucchero, l’alcol, la caffeina e i funghi.

L’acidità di un cibo non si misura allo stato fresco, ma sulle ceneri (cioè i minerali) che rimangono dopo la sua combustione: tali sostanze, disciolte in acqua, possono coimportartsi come acidi o basi, alterando il pH dell’organismo.

La dieta del pH, dunque, è prevalentemente a base di pesce, verdura, frutta, legumi, semi oleosi, mentre i cibi elencati in precedenza devono essere fortemente limitati.

Analisi critica della dieta alcalina

Sono stati effettuati molti studi per verificare la valenza scientifica dei sostenitori della dieta del pH. C’è innanzitutto da dire che l’affermazione che l’acidità del sangue possa essere controllata con l’alimentazione è un falso. L’organismo possiede infatti dei meccanismi di compensazione che sono in grado di mantenere il pH del sangue entro limiti strettissimi, pena l’insorgenza di gravi problemi di salute potenzialmente letali. Le modificazioni del pH del sangue con la dieta sono solo transitorie e comunque di entità minima.

Rimane da verificare se l’utilizzo sistematico di tali sistemi di regolazione, sempre nella stessa direzione e cioè quella di limitare l’eccessiva acidità, possano comportare problemi di salute.

Studi sulla dieta alcalina

Ebbene, studi approfonditi hanno negato l’esistenza di una correlazione tra osteoporosi e dieta ricca di cibi acidificanti, lo stesso vale per il cancro. Esiste solo uno studio del 2006 di Vormann J. e Goedecke T. che ha evidenziato una possibile relazione tra l’acidità latente e le malattie reumatiche.

Questo non significa, tuttavia, che le proposte così radicali dei sostenitori della dieta del pH siano quelle ottimali. Se andiamo a vedere bene quali sono i cibi acidi e quelli alcalini, scopriamo che in una dieta corretta e variata, c’è un sostanziale equilibrio tra questi cibi. Un soggetto che mangia pesce 3-4 volte a settimana, legumi 1-2 volte, frutta e verdura in abbondanza, seguirà una dieta in cui le componenti alcaline sono maggiori di quelle acide. Un soggetto in peso forma non potrà di certo esagerare con gli zuccheri o i cereali.

Considerazioni finali

Dunque, una dieta naturalmente alcalina è diretta conseguenza di una sana e corretta alimentazione, mentre seguire pedissequamente i consigli dei fautori della dieta alcalina può di certo portare a carenze nutrizionali. Infatti nei cibi acidi sono contenuti molti elementi fondamentali come il ferro nella carne, e il calcio nei latticini, per fare qualche esempio. Come sempre, l’equilibrio è fondamentale ed è illusorio pensare che ottimizzando un solo parametro della nostra alimentazione possiamo ottenere vantaggi strabilianti o peggio, curare malattie molto gravi che non dipendono dall’alimentazione.

5. Metodo Kousmine

Molti di noi conoscono il metodo Kousmine, ideato dalla dottoressa Catherine Kousmine (1904-1992). E’ un medico che a metà del secolo scorso ha concentrato tutta la sua passione e i suoi studi nella comprensione dei sottili legami che uniscono il nostro modo di nutrirci e le malattie del mondo occidentale: obesità, diabete, cancro, patologie autoimmuni. Fu una pioniera nel capire che molte di queste sono dovute al nostro stile di vita e alla nostra incapacità di prenderci cura di noi stessi.

Comprese infatti che sempre più abbiamo industrializzato il nostro cibo, che per essere prodotto viene irrorato con battericidi, anticrittogamici, diserbanti e ogni altra sorta di fitosanitari che hanno lo scopo di rendere il prodotto inattaccabile dalle malattie ed esteticamente bello. Solo che quelle sostanze ce le ritroviamo poi nel piatto e alla lunga aprono la strada alla malattia. Ma la dottoressa Kousmine andò oltre e intuì che non solo i fitofarmaci sono deleteri, ma che i trattamenti usati per lavorare il cibo lo sono altrettanto.

Cibo devitalizzato e farine “vecchie”

Ciò che nota la dottoressa Kousmine è il fatto che sono scomparsi progressivamente dalle nostre tavole i cibi integri, come i cereali integrali in chicco, i legumi, le verdure e la frutta che oggi definiremmo “a chilometro zero”. Al posto di questi sono comparsi gli alimenti lavorati: chicchi bianchi, pasta, pizza e pane preparati con farine ultra-raffinate e vecchie.

Sì, perché la farina, ci spiega la dottoressa, comincia ad “invecchiare” già dall’ottavo giorno dalla macinazione e al quindicesimo la possiamo considerare ormai priva di elementi preziosi per il nostro organismo. Questo prodotto dell’era moderna invece di nutrirci ci sottrae sostanze vitali, che vengono messe in moto nel nostro stesso corpo per poterla digerire.

Acidi grassi trans

Altri elementi che hanno iniziato ad essere carenti nella nostra dieta sono gli acidi grassi essenziali. Soprattutto sono venuti pian piano a mancare l’acido linoleico e l’alfa-linolenico (meglio conosciuti come omega-6 e omega-3), elementi fondamentali per le nostre cellule, e che sono stati sostituiti con margarine contenenti acidi grassi trans, deleteri per la nostra salute. Gli acidi grassi trans causano infiammazione cronica e disfunzioni nel corpo a livello cellulare. Anche la cottura dell’olio altera le sue proprietà, rendendolo tossico per il nostro organismo.

L’olio secondo il metodo

L’olio principe del metodo Kousmine è l’olio di semi di lino, rigorosamente “da frigo”, in modo che mantenga la catena del freddo. L’olio di lino ha un giusto rapporto tra omega-3 e omega-6 e viene utilizzato per preparare la crema Budwig, colazione da re ideata dalla dottoressa Budwig e consigliata dalla dottoressa Kousmine.

Naturalmente è possibile utilizzare, per condire le pietanze quotidiane, anche l’olio extravergine d’oliva, purché spremuto a freddo e usato sempre a crudo.

La crema Budwig

Iniziare la giornata con una colazione nutriente, come con la crema Budwig, ci permette di sentirci appagati, carichi di energia e di arrivare all’ora di pranzo senza soffrire di cali energetici.

La crema Budwig originale prevedeva l’uso del formaggio Quark associato all’olio di semi di lino. La dottoressa Kousmine cambiò questa base consigliando, al posto del Quark, lo yogurt magro. Nella versione vegana, si può utilizzare lo yogurt di soia o altre basi (crema di miglio, crema di legumi, latte vegetale), come approfondito nel libro “50 sfumature di Budwig”.

Oltre agli ingredienti suddetti nella crema si aggiungono:

  • mezzo limone spremuto,
  • un dolcificante naturale (es: uvetta, datteri),
  • un cucchiaio di cereale (o pseudo cereale) crudo appena macinato con un macina caffè (es: grano saraceno, avena, ecc.),
  • un cucchiaio di semi oleosi (es: semi di girasole, o di zucca o di lino- in quest’ultimo caso macinati al momento),
  • frutta fresca di stagione.

Cosa mangiare secondo la dottoressa Kousmine

Il principio base è: colazione da re, pranzo da principi e cena da poveri.

Anche per chi mangia prodotti animali, questi non vanno mai assunti nel pasto serale, che deve essere sobrio, ricco di verdure e con qualche cereale integrale in chicco e legume. Tra i cereali (e pseudo cereali) senza glutine si può scegliere tra: riso integrale in tutte le varietà, miglio, quinoa, teff, sorgo, grano saraceno, amaranto, quinoa, mais. Oppure si possono utilizzare anche gli altri con glutine, come il farro e l’orzo non perlati, il grano khorasan, l’avena, la segale e i vari grani antichi.

L’imperativo è

Utilizzare i cereali in chicco e provenienti da agricoltura biologica. Se si vogliono utilizzare le farine, bisogna provvedere con un macina cereali a pietra e autoprodursele, ricordando che la farina mantiene le sue proprietà per una decina di giorni. Tra gli altri consigli: iniziare sempre i pasti con abbondanti verdure crude, cercando di variarle e di utilizzare più colori possibili nella nostra insalatiera.

Gli altri pilastri del metodo

Oltre al pilastro dell’alimentazione, la dottoressa Kousmine ne ha inseriti altri.

-Una sana alimentazione, ricca di alimenti “vivi” e nutrienti;

-La supplementazione con vitamine e oligoelementi, soprattutto se per anni abbiamo avuto un comportamento alimentare errato che ha generato carenze di elementi fondamentali per il mantenimento della salute;

-L’igiene intestinale, che viene effettuata utilizzando clisteri a base di camomilla, con successiva instillazione di olio ricco di omega-3;

-L’equilibrio acido-base, che si ottiene combattendo l’anormale acidificazione dell’organismo, inizialmente con un deacidificante se necessario, ma aiutandoci soprattutto nel tempo con una dieta equilibrata.

6. Dieta macrobiotica

La dieta macrobiotica è un regime alimentare che fa parte di una filosofia più complessa, la macrobiotica appunto, termine il cui significato è grande vita. La macrobiotica è una filosofia che si basa sul mantenimento dell’equilibrio fra Yin e Yang, le due energie opposte, ma complementari che, secondo molte discipline orientali, governano l’armonia universale. E’ stata ideata dal giapponese Yukikazu Sakurazawa (1893-1967), più noto in Europa come George (o Georges) Ohsawa.

Storia

L’opera nella quale Sakurazawa ha delineato i principi del regime alimentare da lui ideato è Le Zen Macrobiotique ou l’art du rajeunissement et de la longévité.

Ogni alimento, secondo il regime alimentare macrobiotico, appartiene a una delle due energie opposte, Yin e Yang. Appartengono alla categoria Yin gli alimenti aciduli, amari, particolarmente aromatici o molto dolci, mentre fanno parte degli alimenti Yang i cibi salati, poco aciduli, poco dolci o poco piccanti.

Impostazione della dieta macrobiotica

I capisaldi della dieta macrobiotica standard sono cereali integrali in chicchi, verdure di stagione crude e cotte, legumi, frutta di stagione e carni bianche (o pesci a carne bianca).

L’alimentazione quotidiana è suddivisa a grandi linee nel seguente modo:

50%

cereali integrali a chicchi lunghi, riso dolce, riso basmati, orzo, miglio, farro frumento, grano saraceno, mais ecc. Fra i cereali sconsigliati c’è da segnalare il muesli. Occasionalmente i cereali possono essere sostituiti da cuscus, burghul o pasta integrale.

20-30%

verdure di stagione crude e cotte. Sono da prediligere i cavoli, i cavolini di Bruxelles e il cavolo rapa, le cime di rapa, il sedano rapa, le rape, i ravanelli, le carote, i finocchi, lo scalogno, i fagiolini, le zucche ecc. Vanno evitate invece tutte le verdure appartenenti alla famiglia delle Solanacee come, per esempio, melanzane, patate, peperoni, peperoncini, pomodori ecc. Fra gli alimenti proibiti dalla dieta macrobiotica vi sono anche i funghi.

10-20%

carne bianca o pesce (non quotidianamente) oppure legumi oppure seitan, crocchette di soia ecc. Per quanto riguarda la carne bianca, viene consigliato di scegliere tagli poco grassi. Mentre per quanto riguarda il pesce, si dovrebbero preferire i prodotti ittici di dimensione piccola o media. Proibiti i crostacei. Quando si consumano carni o pesci (massimo 4 volte alla settimana) va evitata l’assunzione di legumi. Fra i sostituti della carne consigliati vi sono il seitan o le crocchette a base di soia. Fra i legumi consigliati ricordiamo i ceci, le lenticchie, tutti i tipi di soia, tutti i tipi di fagioli, piselli ecc.

10%

frutta fresca (oppure secca) di stagione oppure alghe o anche dessert senza zucchero e senza latticini. La frutta dovrebbe essere preferibilmente consumata fuori pasto e deve essere evitato il consuma di frutta tropicale o esotica. Sono da preferire mele, albicocche, pesche, prugne, pere, uva, lamponi, mirtilli ecc. La frutta secca va consumata occasionalmente ed è consigliabile evitare le noci.

Il metodo di cottura delle verdure dovrebbe essere periodicamente variato (lessatura, saltatura, scottatura ecc.). Una piccola parte del pasto può essere rappresentata da alghe marine (per esempio, la kombu o la nori) che possono essere aggiunte alla cottura dei cereali o a quella dei legumi.

Dieta macrobiotica: gli alimenti da evitare

Oltre agli alimenti da non consumare già sopra-citati, secondo i dettami della dieta macrobiotica si dovrebbe evitare il consumo di insaccati, affettati, carni rosse e selvaggina; altro alimento da evitare, sia da solo sia come ingrediente, è l’uovo. Questo può essere consumato soltanto poche volte l’anno. Quando è possibile, si dovrebbe cercare di consumare alimenti provenienti da agricoltura biologica. Vanno inoltre esclusi dalla dieta lo zucchero bianco (a motivo della raffinazione) e tutti quei dolci che lo contengono; in linea generale andrebbero evitati tutti i cibi raffinati. Come sostituto dello zucchero sarebbe preferibile utilizzare in primis malto di cereale (per esempio quello di riso o di orzo) altrimenti sciroppo di riso o di frumento; nel caso nessuno di questi sia reperibile si può utilizzare zucchero di canna. Anche il miele o lo sciroppo d’acero sono sconsigliati.

Altri alimenti da evitare

Vanno esclusi dalla dieta persino il latte e tutti i suoi derivati, quindi burro, formaggi (grassi o magri che siano). Gli amanti del formaggio possono sostituirlo con il tofu, mentre coloro che amano il latte possono assumere, senza esagerare, quello di riso. Va evitato il surrogato vegetale del latte a base di soia.

Per quanto riguarda il pane, la scelta deve cadere su quello integrale. Chi ama la pizza può consumarla occasionalmente e deve considerare il fatto come uno “strappo alla regola”. Ovviamente vanno preferite pizze poco elaborate e con minime quantità di pomodoro e mozzarella.

Olio e sale vanno usati con molta moderazione, quest’ultimo solo in cottura. Come insaporitore a crudo, il sale può essere sostituito dal gomasio (una polvere composta da sale marino integrale e semi di sesamo tostati e tritati, a volte arricchita con alghe).

L’aceto di vino va evitato e può essere sostituito con l’umeboshi. Questo è un condimento ricavato da una varietà di albicocche (e non dalle prugne come molti scrivono) che crescono in Cina e Giappone.

Chi sceglie il regime alimentare macrobiotico non deve utilizzare gastronomia pronta né insaporitori come i dadi da cucina.

Bevande da evitare

Va eliminato dalla dieta anche il caffè. Al suo posto si possono utilizzare orzo o altri surrogati come, per esempio, quelli ottenuti dai cereali. Per esempio lo yannoh, una bevanda ottenuta da miscela di cereali tostati e che ha un contenuto nullo di caffeina, oppure il dendelio, una bevanda che si ottiene da radici torrefatte di tarassaco e di cicoria).

Anche il tè tradizionale deve essere sostituito con il tè bancha giapponese oppure il tè kukicha, prodotti il cui contenuto in caffeina è bassissimo, praticamente nullo.

Per quanto riguarda altre bevande, sì al vino, ma con molta moderazione. Da evitare sia i superalcolici sia le bevande gassate e zuccherate. Sempre con molta moderazione si possono consumare i succhi di frutta.

Curiosamente, al contrario di quanto raccomandato dalla maggior parte dei regimi alimentari, si raccomanda di non esagerare con il consumo di acqua.

Altri consigli

Altri consigli che vengono forniti dai sostenitori della dieta macrobiotica sono relativi agli utensili da cucina; per la cottura dovrebbero essere usati recipienti in acciaio inox, ferro smaltato o ghisa, mentre sono “out” i recipienti in alluminio o rame; proibiti anche quelli in teflon.

Un ultimo consiglio che arriva dai cultori della dieta macrobiotica è relativo all’ambiente e alle modalità di consumo dei pasti: ambiente tranquillo e atteggiamento rilassato, ricordandosi di masticare molto a lungo.

Dieta macrobiotica: un regime ortoressico

Il regime alimentare macrobiotico appare molto poco equilibrato e sicuramente molto monotono. Di fatto può ritenersi una forma di ortoressia salutistica, anche se la scelta di privilegiare particolari elementi (cereali e legumi in primis) porta con sé il rischio di carenze nutrizionali importanti sia dal punto di vista dei macronutrienti (in particolar modo si rischia una carenza proteica) sia da quello dei micronutrienti (carenza di calcio, ferro, zinco, vitamina B12 e vitamina D).

Fatto sta che, dopo il boom iniziale, la macrobiotica ha rivelato tutti i limiti delle diete puriste e, checché ne dicano i suoi sostenitori, ormai riguarda una fascia piuttosto esigua della popolazione.

Per concludere

Possiamo dunque mescolare stili alimentari differenti. Nessuno di essi da solo è perfetto. L’importante è mangiare in modo sano ed equilibrato. Dunque dobbiamo curarci con il cibo e non ammalarci con esso.

“Le ricette di cucina sono un bene universale estremamente democratico, un tesoro che appartiene a tutti e che come le sette note può essere combinato in migliaia e migliaia di modi e diventare personale, a volte unico”

(Paola Maugeri)

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