Non dobbiamo mai cascare nella retorica dei vecchi tempi; il passato appare mitico solo perché eravamo giovani, ed anche perché, nel ricordarlo, lo ricostruiamo addolcendo le spigolosità e inventandoci spiegazioni (alle quali finiamo per credere) per cercare di allentare la pressione dell’irrisolto.
Ma la verità è che spesso, è proprio da una cattiva analisi del passato che si consolida un presente insoddisfacente ed un futuro incerto.
L’appartenenza a Sinistra
I vecchi sistemi di appartenenza tradizionali sono in via di esaurimento, e questo è un bene, perché restituiscono potenziali orizzonti di libertà prima negati, e mettono in luce un equivoco di cui oggi paghiamo le conseguenze. Il problema, è che al loro posto non siamo stati capaci di creare niente.
Prima camminavamo sulle sabbie mobili credendo di aver edificato autostrade, oggi ne siamo consapevoli, ma continuiamo ad avanzare a fatica.
Case del popolo e feste dell’Unità hanno rappresentato un’importante agenzia di socializzazione, e surrettiziamente, restituito una appartenenza politica che, col tempo, è divenuta sempre più accessoria.
Gaber cantava che “qualcuno era comunista perché era nato in Emilia”, “perché il nonno lo zio il papà”, “perchè… si commuoveva alle feste popolari”. Gaber vedeva lungo.
Appartenenze legate al contesto, destinate ad essere travolte dalla modernità; ma il punto è che – in un modo o nell’altro – avevano l’effetto collaterale (positivo) di restituire un sentimento di solidarietà, di coesione sociale, di avere un destino comune.
L’eredità morale dell’antifascismo
E diciamoci anche che – sin dal primo dopoguerra – votare a Sinistra costituiva per molti non tanto la concretizzazione di un ideale, ma una sorta di eredità morale in parte figlia del fascismo rinnegato da tutti ma in realtà combattuto da pochi.
Una tendenza, che da un lato sovrapponeva il concetto di classe al partito che rappresentava i suoi interessi, dall’altro si faceva forte di una estetica per la quale l’industria aveva immediatamente creato prodotti specifici – un modo di vestire, di consumare, di identificarsi…
Dal ‘68 alla fine degli anni ‘80, la maggioranza dei giovani guardava a Sinistra, senza sforzo, anche se era già più lontana dal vivere i suoi ideali rispetto alla generazione precedente.
La stagione dell’individualismo
Poi è iniziata la stagione dell’individualismo, preparata ed accompagnata dai mass media – dalla TV commerciale ad internet. La scuola, smantellata dai governi che si si sono succeduti, ha sempre di più perso la sua forza propulsiva, sia come agenzia di socializzazione che come ascensore sociale.
La grande sfida della globalizzazione – culture, uomini, stili di vita – ci ha colti impreparati, e quello che prima sembrava un focolaio vivo di idee ed energie, si è rivelato cenere già fredda.
I nuovi partiti hanno abbandonato l’idea di promuovere valori, purtroppo anche a Sinistra. Hanno scelto di recidere le loro radici, o di costituirsi dal niente, provando ad intercettare il consenso necessario per governare facendo leva su pulsioni individuali non mediate, aldilà della loro inconciliabilità con l’interesse comune.
I giovani, privi di strumenti per interpretare la complessità del presente, hanno cominciato a guardare a destra, il regno del pensiero semplice.
L’inerzia delle masse
Alcuni storici pensano che sia stato così anche nel passato: che solo una minoranza abbia partecipato attivamente all’instaurarsi e al consolidarsi delle dittature del ‘900; ad essa si è contrapposto chi le ha resistito.
Ma quello che ha fatto la differenza è stata la stragrande maggioranza che semplicemente non ha fatto niente, né in un senso né nell’altro. Per questo, anche se questa tendenza di destra sembra essere poco più che un contenitore vuoto, è ugualmente molto pericolosa, perché può avere l’effetto di una massa critica.
Rincorrere le destre sul loro terreno
Quel che resta della Sinistra crede ancora di poter recuperare terreno con gli stessi mezzi della destra; fa autocritica, ma si ferma dicendo di aver sottovalutato problemi come la sicurezza: continua cioè a ragionare in termini di “consenso” e di “sondaggi”, a credere che governare “meno peggio” sia la strada per il meglio.
Non parla della società che vorrebbe realizzare, ma dei provvedimenti che – a suo dire – renderebbero tutti, se non più ricchi, meno poveri. Non riuscirà mai, così facendo, ad invertire questa tendenza, perché non ha ancora capito di averne beneficiato lei stessa, a suo tempo, continuando a credere che si trattasse di cultura.
Ma, se così fosse stato, non solo il PCI avrebbe avuto una reale chance di governo, ma soprattutto non ci sarebbero stati ieri Berlusconi-Fini-Bossi, poi Salvini-Di Maio, ma anche Renzi e i governi “tecnici”.
Guardare al futuro
La partita si gioca scommettendo sui giovani, e lavorando per invertire questa tendenza; riportandoli a guardare, naturalmente, a Sinistra, ma stavolta con consapevolezza.
Investendoli del compito sovrano di riportare al centro del dibattito gli ideali di una società in grado di accogliere le complessità del presente, ripensando il modello di sviluppo, la salvaguardia dell’ambiente, le esigenze dell’inevitabile multiculturalità.
È necessario costruire, e farlo su basi solide, e l’obiettivo non sono le prossime elezioni: ci vediamo, se tutto va bene, tra vent’anni. Nel frattempo, ognuno può cercare di fare del proprio meglio, attorno a sé: non basterà, ma sarà come preparare il terreno nella stagione più fredda per il nuovo raccolto di primavera. Propedeutico.
E non è un paradosso se, a provare ad incamminarsi su questa strada, sia un segretario che proviene dalle file della Democrazia Cristiana, peraltro non eletto da una base, ma investito come un demiurgo del compito improbo di salvare la Sinistra dalla sua estinzione.
È la conferma che qualcosa, nella trasmissione dell’eredità del maggiore (e migliore) Partito Comunista dell’Occidente, non ha funzionato.