mercoledì, Aprile 16, 2025

Libero Grassi: il coraggio di un cittadino “libero”

Simbolo della lotta contro la criminalità organizzata, Libero Grassi è stato un imprenditore italiano che preferì la libertà al pizzo, anche a costo della propria vita.

La vita di Libero Grassi

Nato a Catania, figlio di una famiglia antifascista, Libero Grassi mosse, sin da giovane, passi fermi e decisi nel piano politico e culturale. Così, negli anni ’50, il giovane imprenditore aprì uno stabilimento tessile a Palermo. Erano gli anni dell’egemonia della criminalità organizzata quando per essere “liberi” bisognava avere lo sfrontato coraggio di non assoggettarsi al potere mafioso. Tuttavia, la maggior parte dei commercianti siciliani erano inginocchiati ai “signori” che, in cambio di protezione, tassavano le loro vittime. Ma Libero Grassi non aveva intenzione di rimanere silenziosamente e passivamente una pedina di questo sistema. Ecco perché, dopo aver ricevuto svariate telefonate e minacce da parte del Clan dei Madonia, l’imprenditore decise di denunciare gli estorsori, affidandosi alla polizia.

La lettera di Libero

“Caro estortore, volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i cinquanta milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui”. Queste le parole con le quali Libero Grassi sferzò il colpo più duro al clan mafioso. Dopo la pubblicazione della lettera e la denuncia fatta alla polizia, a Libero Grassi venne offerta una scorta, che lui però rifiutò.

Il coraggio della libertà di Grassi

Quello di Libero fu un grido di libertà, coraggioso e rivoluzionario. Un tentativo di sommossa contro il clima di Palermo, ormai profondamente assopito dalle dinamiche mafiose. Tuttavia, in pochi lo appoggiarono. Salvatore Cozzo, presidente provinciale dell’Associazione industriali, aveva infatti accusato l’imprenditore di aver fatto troppo “rumore” per nulla. Ad accreditare questa versione, nel 1991, fu la sentenza del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo. Fu allora che venne stabilito che pagare la “protezione” ai boss non era reato. Un atto forte che sigillava alla mafia il controllo del territorio. Nonostante ciò, Libero Grassi continuò la sua lotta, partecipando a varie trasmissioni televisive e cercando di mandare forte e chiaro un unico messaggio: “pagare sarebbe una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore”.

L’omicidio mafioso del 29 agosto

Era la mattina del 29 agosto 1991 quando Libero uscì di casa per andare al lavoro. Ad aspettarlo, però, c’erano Salvino Madonia e Marco Favaloro, i quali lo uccisero con quattro colpi di pistola alle spalle. Erano davvero bastati quattro colpi di pistola per mettere a tacere la voce di un cittadino libero? No. La dimostrazione è il volto disteso del figlio Davide al funerale, quando sostenendo la bara del padre, alzò la mano in senso di vittoria. Libero, solo, poteva anche aver perso la battaglia, ma la guerra era appena iniziata.

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