Epatite B, terribile infezione che colpisce il fegato e che, ad oggi, conta più di due miliardi di persone contagiate in tutto il mondo.
I vaccini e le cure sono efficaci, ma il virus è ben lontano dall’essere debellato. L’Epatite B è uno dei virus più infettivi al mondo ed è causa di epidemie in alcune zone dell’Africa e dell’Asia, secondo quanto riportano le pagine di Nature.
Essa è una malattia silenziosa e, spesso, dimenticata; è difficile da combattere perchè spesso si rivela asintomatica.
Cos’è l’Epatite B
L’Epatite B è un virus che colpisce il fegato, esso viene trasmesso tramite il sangue o altri liquidi corporei infetti. Il contagio può avvenire per via sessuale, tramite il contatto delle mucose con liquidi infetti e attraverso il riutilizzo di lamette, rasoi o siringhe infette. In alcuni Paesi sottosviluppati si sono manifestati contagi anche madre-figlio, durante la nascita, e tra bambini, durante piccole ferite riportate durante i giochi.
Il virus, generalmente, nella popolazione adulta, diventa cronico in meno del 5% dei casi, mentre per quanto riguarda i bambini è piuttosto comune.
Il virus può sopravvivere fino a sette giorni fuori dal corpo, quindi è possibile contrarlo anche dopo questo arco di tempo.
I sintomi, specie nella fase acuta della malattia, sono spesso silenti; a volte, però, si possono verificare ittero, nausea, stanchezza e dolori addominali. La maggior parte degli adulti guarisce senza subire trattamenti specifici, diventando così immuni al virus dell’Epatite B.
Quando il contagio avviene durante l’infanzia è probabile che diventi cronico, tale problema può agevolare la comparsa di cirrosi epatica e cancro al fegato.
L’Epatite B nel mondo
Le zone del mondo più critiche, per quanto riguarda la trasmissione del virus dell’Epatite B, sono quelle subsahariane: sia per una scarsa conoscenza dei metodi di contagio, sia per le situazioni di estrema povertà.
A complicare la lotta al virus in questi Paesi è anche la difficile somministrazione del vaccino: in caso di mamma positiva, l’Oms consiglierebbe di iniettarne una dose già nelle prime 24 ore di vita del neonato, cosa putroppo non sempre possibile.