A differenza degli altri animali, l’essere umano ha sempre avuto bisogno di misurare il proprio fluire su questa Terra. Egli ha diviso la vita in anni, mesi, settimane, giorni, ore, minuti, secondi. Siamo talmente tanto influenzati dai numeri che ci sembra impossibile pensare a una vita senza di essi. Cosa ne sarebbe delle nostre giornate, se non fossero scandite dal tic-toc dell’orologio?
C’è però una cifra che, più di qualsiasi altra, influenza ogni singola persona: l’età anagrafica. Che siano uno, due, cinque, dieci o venti, ogni compleanno segna un passo i più. Il punto però è: un passo in più verso che cosa? E qui casca l’asino.
Qualcuno l’ha definita come una scala. Qualcun altro come un percorso o in mille altri modi. Fatto sta che ognuno vede la vita come un susseguirsi di eventi, fasi, obiettivi da raggiungere. Ogni essere vivente è soggetto, col passare del tempo, a una crescita fisiologica: essa, in teoria, è quel processo che dovrebbe comportare una serie di cambiamenti di varia natura. Quelli fisici: aumentare in altezza, sviluppare una certa massa ossea, ottenere dei lineamenti del viso più marcati. Quelli caratteriali: diventare più maturi, assumersi determinate responsabilità, aprirsi agli altri. Quelli sociali: laurearsi, fare carriera, metter su famiglia.
Il tempo non va misurato in ore e minuti, ma in trasformazioni.
(Fabrizio Caramagna)
Perché facciamo questo? Perché siamo esseri umani. E in quanto tali, come riportato sopra, misuriamo il tempo. E non solo: pretendiamo che esso stia al nostro passo. Ecco, abbiamo trovato il nostro punto focale: il problema non è lo scorrere del tempo, bensì la visione che noi abbiamo di esso.
Perché accade ciò? Sicuramente siamo tutti influenzati dalla nostra società. Fin dalla tenera età, osserviamo il fratellino di otto anni andare a scuola, la cugina di vent’anni frequentare l’università o la madre di trenta lavorare. Probabilmente già da qui si instilla nella nostra mente una certa suddivisione del tempo: sappiamo che a otto anni andremo a scuola, a venti all’università e a trenta a lavoro.
La vita è però, se da una parte la possiamo definire inevitabilmente un susseguirsi di eventi, d’altra parte non possiamo negare che essa sia anche colma di ostacoli. I cosiddetti imprevisti non mancano mai. Non sempre le cose vanno come le avevamo programmate o come le avremmo desiderate.
I venticinque anni sono un’età strana: sono il confine tra la vita da ragazzini e quella adulta. La soglia tra i venti e i trenta. Se sentirsi smarriti in qualsiasi altra fase vitale può essere considerato comune, raggiunto il quarto di secolo tutto questo carico comincia a pesare di più. Si scrolla la home di Facebook o di Instagram e ovunque si trovano foto delle amiche del liceo tenere in braccio i loro bambini, le immagini di quel neonato che voi stessi tenevate in braccio che adesso si è laureato, una serie di frasi romantiche che il vicino di casa a malapena maggiorenne dedica alla futura sposa. E magari, voi non avete ancora ottenuto nulla di tutto ciò.
In fondo, però, cosa importa? Innanzitutto, i desideri i sono uguale. L’ideale di felicità è diverso per qualsiasi individuo.
Nulla è obbligatorio. Chi lo ha detto che laurearsi, mettere al monto un bebè o sposarsi debbano per forza far parte della vita di ognuno di noi.
E soprattutto: davvero è così di vitale importanza laurearsi, fare carriera o mettere su famiglia entro un determinato anno?
Non dimentichiamolo: siamo esseri umani, certo, ma prima di tutto siamo esseri viventi. E in quanto tali, abbiamo un’unica occasione di abitare questa Terra.
Impegniamoci. Studiamo. Lavoriamo. Viviamo, però, in tutto questo.
I traguardi, non arriveranno senza impegno. Il tempo non ci verrà restituito, senza essere stato vissuto.
Concludo con una frase di Meredith Grey, tratta dalla serie “Grey’s Anatomy”:
L’hai mai detto? Ti amo. Non posso più vivere senza di te. Hai cambiato la mia vita. L’hai mai detto? Fai dei progetti. Scegli un obiettivo. Lavora per raggiungerlo, ma di tanto in tanto, guardati attorno… Goditi ogni cosa. È tutto qui. E domani potrebbe non esserci più.
(Meredith grey)