La più potente eruzione vulcanica ultimi 100 anni raffreddò il Clima. Spesso sottovalutiamo la gravità delle eruzioni vulcaniche, i danni all’atmosfera, e la loro influenza sul clima.
L’eruzione vulcanica di cui vi parliamo, ebbe un temporaneo impatto sul clima mondiale che si protrasse per circa due anni. La più potente eruzioni vulcanica negli ultimi 100 anni. Si ebbero in alcune aree del Globo, inverni freddi più del solito, ma anche estati fresche. Rammentiamo che stiamo uscendo dalla Piccola Era Glaciale, e che quindi gli osservatori dell’epoca, non percepirono il cambio di clima.
I vulcani sono da sempre ammirati e temuti dall’uomo, soprattutto quando danno vita a eruzioni di elevata intensità, in grado di distruggere intere civiltà come successo in passato. Tuttavia, le eruzioni di alta intensità non sono solo un ricordo del passato: negli ultimi cento anni si sono verificate numerose eruzioni di elevata potenza, come quella del Novarupta, vulcano dell’Alaska che all’inizio del Novecento ha dato vita alla più potente eruzione dell’ultimo secolo.
Una data da ricordare: 6 giugno 1912. Agli inizi del Novecento le conoscenze scientifiche sui vulcani erano molto meno profonde di quelle di oggi: si può infatti dire che la vulcanologia come scienza stava muovendo i suoi primi passi. Ecco perché quando si è verificata l’eruzione del Novarupta il mondo era completamente impreparato alla comprensione e gestione di un evento di tal portata. Oggi, infatti, i vulcani sono monitorati continuamente, in situ e da remoto, per la valutazione del loro stato, ossia per la misura di parametri fondamentali come emissioni di gas, eventi sismici e innalzamenti sospetti del suolo.
All’epoca la tecnologia oggi in uso era inimmaginabile e proprio per questo era abbastanza difficile poter prevedere un’eruzione vulcanica. Quando questa si verificò, l’esplosione fu sentita dagli abitanti di Juneau, un paese a oltre settecento miglia di distanza dal vulcano. Inoltre, dopo poche ore e per diversi giorni, l’eruzione ha dato vita a elevate colonne di fumo, materiali gassosi, ceneri e piroclasti coprendo tutte le aree circondanti il vulcano per un raggio di cento chilometri. Per la sua intensità e violenza l’eruzione è stata classificata, nella scala di esplosività vulcanica VEI, pari a 6, superiore quindi alla storica eruzione del Vesuvio che distrusse le città di Ercolano, Pompei e Stabia.
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Flusso piroclastico e cenere. Una delle caratteristiche di questa imponente eruzione fu il rilascio di un elevato volume di materiali vulcanici, in particolare di flusso piroclastico e cenere. Il flusso piroclastico è probabilmente uno dei prodotti più pericolosi di un’eruzione: si tratta infatti di un fluido ad elevata velocità e temperatura, ricco di materiali piroclasitici, ceneri e gas e con un’altissima potenza devastatrice. Travolge tutto quello che incontra, senza lasciare possibilità di scampo.
Al termine dell’eruzione il flusso piroclastico prodotto aveva coperto oltre cento chilometri quadrati nei dintorni del vulcano producendo uno spessore di più di duecento metri di altezza nelle aree più prossime al cratere. Anche la produzione di cenere vulcanica fu molto elevata: l’altezza raggiunta dalle ceneri fu di oltre venti miglia. Queste furono poi trasportate dal vento depositandosi non solo in Alaska, ma anche nella parte più occidentale del Canada e in diverse aree degli Stati Uniti. Il 17 giugno in Africa furono rinvenute ceneri originatesi dall’eruzione del Novarupta.
Uno studio accurato. Come già anticipano all’inizio del Novecento la vulcanologia non disponeva di mezzi e strumenti tecnologici avanzati: proprio per questo motivo per diverso non si riuscì a comprendere quale dei numerosi vulcani dell’Alaska fosse stato il responsabile di questa tremenda eruzione. A lungo, infatti, fu ritenuto responsabile il monte Karmai, antico vulcano già noto per le sue eruzioni. Solo nel 1916 durante un’esplorazione della National Geographic Society, un gruppo di esploratori si addentrò alla scoperta dell’entroterra dell’Alaska, scoprendo una valle sterile, piena di ceneri vulcaniche e scorie in alcuni casi ancora calde e soprattutto tantissime fumarole, che portarono a battezzare l’area la Valle dei 10 mila fumi.
Fonte: National Geographic Society