“La Guerra delle materie prime e lo scudo ucraino” è il libro in formato eBook pubblicato da Rubettino editore, scritto dal prof. Giuseppe Sabella. Direttore di Oikonova, think thank specializzato in economia e lavoro, collabora con diverse testate tra cui Tgcom24, IlSole24Ore, RaiNews e Il Sussidiario. Il libro offre in 5 capitoli un focus sulle dinamiche che hanno condotto, all’odierno conflitto in Ucraina. La più importante crisi politico-militare sul suolo europeo del XXI secolo. Un testo per comprendere meglio le tensioni tra Occidente e Russia, la crisi Ucraina, e perché il territorio ucraino sia oggetto di contesa da anni. L’eBook è acquistabile online su tutte le piattaforme. E i diritti di vendita saranno devoluti all’associazione Eskenosen (Como) per attività di sostegno all’emergenza della guerra in Ucraina.
La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino: ecco perchè l’Europa è nel mirino di Putin
La guerra in Ucraina, rappresenta una prova determinante per il nostro continente. Il libro esplora gli interessi e le dinamiche in atto nel conflitto, in una prospettiva in cui, le forze disegnano oggi il proprio avvenire, in un mondo in cui riemergono antichi protagonisti, come la Cina, e nuove configurazioni, come l’Unione Europea. Il testo è anche uno stimolo a ripensare l’identità europea e le forme della sua organizzazione.
Nell’intervista l’autore ci spiega il suo punto di vista.
La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino. Secondo la sua analisi professore, le motivazioni del conflitto, non possono essere ascritte solo al desiderio dell’Ucraina di entrare a far parte della NATO e, in generale, di avvicinarsi all’influenza statunitense e occidentale. Allora, perché Putin sente il bisogno di espandere in questo modo la sua presenza politica e militare? Cosa teme?
Non credo che Putin abbia scatenato questa guerra perché – come ha detto nel suo messaggio alla nazione del 24 febbraio scorso – la Russia è accerchiata e gli Occidentali sono un pericolo per la Russia. E non credo nemmeno al suo desiderio imperialista e revanscista. Lui non ha intenzione di riprendersi quei Paesi dell’Est Europa che hanno aderito all’UE, vuole più che altro fare azioni di disturbo al suo vicino di casa. E le motivazioni che hanno originato questo conflitto non c’entrano nulla con la Nato. Basta interrogarsi sul futuro dei fossili e, in particolare, del petrolio e del gas – la Russia ne è un grande esportatore – ed è tutto più semplice per capire il perché di questa guerra.
Parliamo del Green Deeal. Il mercato europeo del gas era già in crisi prima del conflitto ucraino per l’adozione della politica “green” dell’UE. Ponendo de facto fine alla maggior parte dei contratti a medio e lungo termine di gas naturale. Il nuovo orientamento europeo, quali dinamiche ha innescato?
Il Green Deal per l’Europa significa autonomia industriale ed energetica che, per il momento, è ahimè piuttosto lontana. Lo abbiamo drammaticamente sperimentato in tempo di pandemia quando, all’inizio, eravamo senza mascherine. E siamo ancora oggi l’unico grande Paese a non avere un proprio vaccino: gli USA ne hanno tre (Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson), la Cina ha Sinopharm, la Russia ha Sputnik, la Gran Bretagna ha AstraZeneca. Ma, per tornare alla sua domanda, ora che l’Europa punta alla sua indipendenza industriale ed energetica (quantomeno dal 2019), a chi lo vende il gas? Già in tempo di pandemia, i più importanti studiosi del mondo – da Slavoj Žižek a Joseph Stiglitz, Jeremy Rifkin, Thomas Piketty, Romano Prodi, Giulio Tremonti, etc. – parlavano di fine della globalizzazione se non della crisi definitiva del palinsesto mondiale. E con la fine del mercato globale – in questi 20 anni i russi hanno guadagnato come mai prima – l’economia russa rischia il crollo.
Da sempre Mosca ha utilizzato i suoi interessi eurasiatici per essere un attore presente e determinante. Secondo l’ultimo report del Centre for Economics and Business Research, la Cina strapperà agli Stati Uniti lo scettro di prima economia al mondo nel 2030. In questo scenario, secondo lei, come si colloca la Russia?
Proprio per ciò che dicevo prima, Putin vuole avvicinare Mosca a Pechino. Obiettivo del capo del Cremlino è fare della Russia il più importante fornitore di materie prime della “fabbrica del mondo”, la Cina. E per questo vuole l’Ucraina che, in termini di potenziale di risorse minerarie generali, non ha praticamente parità in Europa e, forse, nemmeno nel mondo. Al di là dell’area del cosiddetto “scudo ucraino” – quella Terra di mezzo che va dal confine con la Bielorussia a sud del Donbas – che è ricchissimo di Terre Rare, di Litio, di uranio, titanio e minerali di ferro, anche i territori già occupati siano strategici in questo senso: l’Ucraina orientale è la seconda più grande riserva d’Europa di gasnaturale; in Luhansk e Donetsk vi sono enormi giacimenti di shale gas; in Crimea, già annessa dal 2014, vi sono
rari giacimenti energetici offshore. Non è solo la mappa dell’invasione, è una mappa dei giacimenti.
Il nuovo ordine mondiale. La guerra in Ucraina ha scosso anche l’Indo-Pacifico, costringendo le varie potenze regionali a prendere posizione e a ricalibrare i propri interessi strategici. Il consolidamento del concetto di Indo-Pacifico, potrebbe portare ad una trasformazione del peso specifico del continente asiatico all’interno del sistema di governance globale?
Credo di si. Di per sé non è un male che i Paesi che fino a ieri chiamavamo emergenti diventino delle potenze. Il problema è che ciò che sta emergendo è, più che altro, il blocco delle autocrazie che si contrappongono alle democrazie liberali. E che la politica estera di questi paesi è piuttosto aggressiva, come abbiamo sperimentato nell’ultimo decennio. Diciamo che è l’occasione giusta per il risveglio dell’Occidente che tuttavia, a differenza di quel che prevedeva Spengler, non è affatto tramontato. Anzi, la coesione con cui sta affrontando la crisi ucraina mi pare un segnale interessante.
Le terre rare e il lato B dell’innovazione. La guerra non è più per interi territori ma per una manciata di terre rare. Cosa sono, e perché sono così importanti?
Si, le Terre Rare sono la nuova frontiera dell’industria 4.0 e dell’economia. Non avrei mai immaginato che potessimo ritrovarci dentro una guerra per le materie prime che non riguarda chiaramente solo Russia e Ucraina ma coinvolge anche l’Europa. E, capiremo in quale misura, anche la Cina e gli USA. A ogni modo, le Terre Rare – dall’inglese Rare Earth Elements (REE) – sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (scandio, ittrio e i lantanoidi). L’Europa le importa per il 98% dalla Cina che, per il momento, ne possiede il 40% delle riserve mondiali. Possiedono Terre Rare anche USA, Vietnam, Brasile, Russia, India, Australia, e Groenlandia. E si stima che anche il canale di Sicilia sia ricco di Terre Rare. Le Terre Rare in questo momento più ambite sono quelle del gruppo dei “supermagneti”, ovvero il neodimio, il lantanio, il praseodimio, etc. Sono importantissimi per la produzione dei nuovi motori dell’auto elettrica, così come per smartphone e televisori, ma anche per tutta la filiera eolica, per la fibra ottica e per quella della diagnostica medica. Come si comprende, sono il cuore dell’innovazione tecnologica e digitale, motore a sua volta – insieme alle fonti energetiche rinnovabili – dello sviluppo sostenibile.