Negli ultimi mesi, i regolatori cinesi hanno rafforzato ulteriormente il controllo del partito sulla società e sul nuovo ambiente digitale. Ossia sul cyberspazio. Solo in Cina i cosiddetti netizen, le persone che partecipano attivamente alla vita di Internet, sono circa un miliardo. L’ultimo a farne le spese dell’irrobustito controllo statale cinese è uno dei media investigativi più famosi nel paese: Caixin.
Come funzionano le fonti nel cyberspazio cinese?
In Cina, l’Ente regolatore amministrativo del cyberspazio, il CAC, ha recentemente aggiornato la lista delle fonti approvate dal governo. Ossia quella lista di media da cui gli altri mezzi di informazione possono attingere per la pubblicazione di notizie. Attualmente, la lista 2021 del CAC comprende 1358 siti approvati, un numero quattro volte più grande rispetto la lista del 2016. Inoltre, per la prima volta, include le app mobili e gli account dei social media, quali Weibo e WeChat. Mentre, l’esclusione dalla lista di alcune fonti tra cui Caixin, The Economic Observer, Caijing magazine e il 21st Century Business Herald ha destato molto clamore sia in Cina che all’estero.
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Cos’è Caixin?
Caixin è un gruppo mediatico cinese fondato nel 2009 dalla redattrice Hu Shuli. Negli anni Caixin si è guadagnato la reputazione di uno dei più approfonditi organi di stampa cinesi per il giornalismo investigativo. Il giornale ha riportato innumerevoli inchieste sulla corruzione governativa e l’inquinamento ambientale. Ed ha avuto un’impennata di vendite dopo che il Covid 19 è emerso per la prima volta a Wuhan. Finora, Caixin ha sempre goduto dell’appoggio governativo. Dal 2016, infatti, faceva parte delle fonti ufficiali del governo e su twitter è ancora considerato come un media affiliato al governo cinese.
Perché Caixin non è più un media statale?
Nonostante la strenua difesa delle policies cinesi, anche sui media più nazionalistici alcuni segnali di poco gradimento per le scelte della dirigenza hanno cominciato a trovare spazio sui quotidiani e sui social. Così anche nel giornale di Hu Shuli il quale è tra i pochi organi di informazione che critica apertamente i funzionari del governo per le carenze percepite. Inoltre, Caixin aveva segnalato negli anni la corruzione endemica della Cina di Xi Jinping, i diversi problemi di inquinamento e la rabbia pubblica verso il governo.
La critica di Caixin al partito
Caixin ha ospitato di recente un articolo nel quale viene ricordato il numero crescente di casi di persone che devono affrontare procedimenti penali per aver violato le normative: chi è letteralmente scappato dal proprio compound, chi ha riattaccato il telefono agli operatori delle indagini epidemiologiche, chi ha reagito violentemente ai controlli. Per questo, conclude l’articolo della testata investigativa: “ciò di cui abbiamo bisogno sono politiche più attente e scientificamente fondate, anziché improvvisazioni. Inoltre, dovremmo diffidare delle politiche che sembrano esaurienti, ma non realizzano nulla di pratico. Se la politica è inefficace, i responsabili dovrebbero assumersi la responsabilità. Altrimenti prima o poi arriverà la piccola falla che affonda la grande nave”. Perciò l’esclusione di Caixin dalla lista di fonti ufficiali può essere una logica conseguenza delle critiche alla politica del partito.
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Qual’è l’obiettivo del Partito comunista?
Pechino punta, come detto, a rafforzare il controllo statale anche sull’ambiente online. Difatti, secondo il direttore della CAC, Xie Dengke, il controllo dei media e delle fonti di informazioni da parte della autorità cinesi è volto a correggere una “caotica diffusione” di notizie. La Cina, già a maggio 2021, aveva rinsaldato la guida e il controllo delle fonti d’informazione delle applicazioni mobili limitando i volumi di notifica come parte di una “guerra popolare” volta a portare ordine nell’ambiente online. Il piano dell’Ente Amministrativo del Cyberspazio cinese è dunque quello di conseguire una migliore gestione delle notizie in rete per mantenere un “cyberspazio pulito”.
La pulizia delle fonti
Secondo la trascrizione ufficiale del briefing tenutesi ieri, il direttore Xie Dengke ha dichiarato che ci sono stati “rapporti e modifiche non qualificate” e “ristampe al di là delle proprie competenze”, senza però fare nomi. La CAC aveva aggiornato la sua lista di fonti di notizie approvate il mese scorso in mezzo a un giro di vite normativo su una serie di industrie. Xie Dengke non ha commentato l’esclusione di Caixin dalla lista di quest’anno. Così anche il gruppo media non ha ancora commentato propria l’esclusione.
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La pulizia di Xi Jinping
Il partito comunista cinese al potere ha rafforzato il suo controllo sui media da quando Xi Jinping è divenuto presidente nel 2012. E il mese scorso, il capo della CAC ha detto che la Cina rafforzerà ulteriormente i suoi sforzi per costruire un internet “civilizzato”, il cui ruolo sarà quello di promuovere i valori socialisti. Xie, nel briefing, ha anche fatto menzione ad un discorso di Xi Jingping del 2019. Secondo cui: “i media dovrebbero trasmettere energia positiva, essere facili da gestire e servire uno scopo utile.”
L’internet civilizzato al profumo di comunismo
La Cina rinsalderà, così, i suoi sforzi per costruire un internet “civilizzato” con un occhio al rimodellamento del comportamento online. Con l’obiettivo di usarlo come piattaforma per diffondere nuove teorie di partito e promuovere i valori socialisti. Il mese scorso, il Consiglio di Stato ha pubblicato delle linee guida per costruire un internet “civilizzato”, dicendo che il cyberspazio dovrebbe essere usato (solo) per promuovere l’educazione sul Partito Comunista al potere e le sue conquiste.