Con la morte di James Joyce , il 13 gennaio 1941 alle due del mattino, passa la figura più strana e originale che l’Irlanda abbia regalato all’Europa in quella generazione. Il divieto imposto per anni al suo “Ulisse” diede una notorietà al suo nome senza rivelare la sua vera statura e forza. Che fosse un artista genuino, sincero, integrato e profondo è chiaro dalla semplicità dei suoi primi racconti “Dubliners” e dalla ben definita narrazione autobiografica di “Portrait of the Artist”.
L’Ulisse
In “Ulisse” ha tentato il difficile compito di presentare un quadro completo della vita dell’individuo nel nostro tempo, sia conscio che subconscio, l’uomo singolo, peccaminoso, si orienta a tentoni nell’ universo duro e implacabile che lo circonda.
La Veglia di Finnegan
In “Finnegan’s Wake” ovvero “ la Veglia di Finnegan” è andato oltre, in una strana lingua intuitiva sembrava aver sfondato le barriere del tempo, anche se il mezzo è così complesso che senza commenti, pochi possono seguirne il significato. Nel suo passato c’erano le antiche tradizioni di Dublino e della Chiesa cattolica romana. Ha rotto con entrambi, per quanto un uomo possa mai rompere con un passato così profondamente radicato, e ha interpretato il caos di un mondo disorganizzato. “Ulisse” è stato cercato da alcuni lettori perché le sue pagine contengono parole che raramente trovano la loro strada nella stampa. Se quello fosse l’unico risultato di Joyce, molti dei suoi connazionali, di pretese intellettuali più umili, potrebbero superarlo tranquillamente.
L’originalità di Joyce
La sua originalità risiedeva nella scoperta di una forma letteraria per esprimere la complessità insignificante della mente umana. Ha annichilito l’ordinario e il normale e ha rivelato un mondo nella giungla delle reazioni mentali ed emotive che possono colpire gli uomini in un solo giorno. Lungo quella strada il suo genio percorse il più lontano possibile. Se gli altri non avessero lottato per la tradizione o avessero combattuto per un’illusione almeno nell’ordine, il nichilismo di Joyce sarebbe stato impossibile. L’Europa lo apprezzava, eppure alla fine fu bloccato fuori dall’Europa, come dall’Irlanda, in un tempio segreto della sua stessa mente, rimosso dal grande passaggio di eventi come lo sono oggi i suoi stessi connazionali. “Ulisse” deve essere prima un libro per Dublino, dove le grazie e le disgrazie della loro piccola vita, delimitate dalle colline di Howth, Dargle e le strade circolari, trovano una grandezza capitale.