Israele riprende la campagna militare ai danni dei territori sostenuti da Teheran. A dimostrarlo sono gli innumerevoli raid aerei compiuti dall’inizio di gennaio, l’ultimo dei quali ha provocato quasi 60 vittime tra l’Est e il Sud della Siria. Anche in questo caso le forze speciali israeliane hanno colpito centri iraniani. Per di più col beneplacito degli USA. Mentre da Israele le autorità hanno assicurato di essere disposte a tutto pur di impedire al suo acerrimo nemico, l’Iran, e ai suoi alleati di proseguire il programma nucleare. Ecco cosa è accaduto.
Perché Israele riprende le armi?
Israele riprende la più grande offensiva contro i suoi nemici, per altro senza incontrare troppe resistenze dai territori coinvolti. In queste settimane, infatti, raid aerei e operazioni speciali israeliane hanno interessato simultaneamente Siria, Libano e Iraq. Ieri, ad esempio, aerei da guerra israeliani hanno sorvolato a bassa quota su alcune aree residenziali libanesi spaventando la popolazione. Ma il vero attacco è stato compiuto nella notte tra martedì e mercoledì, quando i caccia delle forze speciali hanno abbattuto diversi obiettivi legati alle milizie iraniane nella Siria orientale al confine con l’Iraq. Soprattutto, l’intento era provocare perdite al regime di Bashar al Assad. Le principali agenzie locali hanno riportato la notizia che è stata confermata dall’Osservatorio Siriano per i Diritti umani (SOHR). Ecco cos’è accaduto.
I raid israeliani
L’agenzia nazionale SANA ha riferito: “All’1 e 10 di notte il nemico israeliano ha compiuto una serie di attacchi sulla città di Deir Ezzor e la regione di Boukamal”. Poi citando una fonte militare ha precisato che “il risultato dell’aggressione è oggetto di valutazione”. Secondo le prime ricostruzioni gli aerei ostili giunti dall’Iraq avrebbero colpito alcuni depositi di armi e missili iraniani e componenti necessarie a sviluppare il programma nucleare di Teheran. Infine, avrebbero distrutto alcuni centri di addestramento e preparazione dei militanti.
Israele riprende le armi grazie agli USA?
Secondo Associated Press i raid avrebbero avuto successo grazie a informazioni sensibili fornite dagli USA. L’indiscrezione sembra essere confermata da un alto funzionario dell’intelligence statunitense che ha preferito mantenere l’anonimato. Inoltre, la stessa fonte ha rivelato che l’11 gennaio il segretario di Stato Mike Pompeo avrebbe discusso dell’attacco in Siria con Yossi Cohen, capo del Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana. Anche se Israele non ha rilasciato alcun commento al riguardo.
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Contro quali obiettivi Israele riprende l’offensiva?
Ad ogni modo, i recenti attacchi hanno interessato le località di Deir Ezzor e Aboukamal fino all’area desertica di Boukamal al confine iracheno. Poi i velivoli si sarebbero diretti verso la Siria meridionale e il Golan, che ultimamente offrono frequenti occasioni di contrasto tra forze siriane e israeliane. In effetti, la Siria orientale è priva della difesa aerea sulla quale può contare il settore occidentale. Pertanto, qui le milizie israeliane possono colpire del tutto indisturbate dal momento che la regione è totalmente “sguarnita” da sistemi di difesa e, dunque, non rappresenti una reale controffensiva militare. A confermarlo è anche l’Osservatorio Siriano per i Diritti umani (SOHR) da anni impegnato a monitorare l’andamento del conflitto.
Cosa riferisce il SOHR?
L’organizzazione ha parlato di “intensi raid israeliani” per un totale di 18 attacchi. Più precisamente, le esplosioni di Deir Ezzor (udite in tutta la regione) hanno provocato la morte di almeno 26 persone in dieci bombardamenti ai magazzini di Ayyash, all’accampamento di Sa’ka, alla 137esima Brigata e ad altre aree periferiche. Per adesso non è stato confermato se il bilancio delle vittime includa o meno i soldati iraniani dell’IRGC e le milizie filo-iraniane di Hezbollah. Ciò che è certo è che i caccia hanno centrato anche sei obiettivi nell’area desertica di Ad al-Bukamal, dove 16 miliziani iracheni sostenuti da Teheran hanno perso la vita. Mentre sono rimasti uccisi anche 15 combattenti non siriani nel deserto di Al-Mayadeen, tra cui 11 membri afghani filo-iraniani della Brigata Fatemiyoun. L’unità era stata creata nel 2014 per il conflitto in Siria.
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La replica di Israele
Come di consueto Israele non ha né confermato né smentito gli attentati. Al contrario, negli ultimi anni ha continuato a beneficiare del “lasciapassare” accordato dagli Stati Uniti per distruggere poco per volta i suoi nemici, specialmente l’Iran. Da tempo, infatti, Israele accusa Teheran di espandere la sua influenza in Siria per rifornire di armi i militanti di Hezbollah, il gruppo radicale sciita libanese acerrimo oppositore degli israeliani. Difatti, grazie alla (stretta) alleanza suggellata con l’ex presidente Trump, Israele ha potuto compiere numerosi attacchi in Siria e Libano. Basti considerare che solo nel 2020 le forze speciali israeliane hanno confermato 50 attacchi in Siria e 300 a Gaza. Mentre nello stesso periodo anche il SOHR ha registrato 39 attacchi nei territori siriani, la maggior parte dei quali aerei. Gli obiettivi preferiti? Le città di Deir Ezzor, Damasco, Daraa, Quneitra, Homs, Hama e Aleppo.
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Israele riprende le armi: le dichiarazioni
In effetti, quella della notte scorsa è stata la seconda operazione militare israeliana in Siria in meno di una settimana. E la quarta dall’inizio del 2021. Mentre il SOHR ha definito l’attacco del 13 gennaio il più violento e intensivo dal 2018. Dal canto suo, le autorità israeliane hanno confermato che la dimostrazione di forza sia un disincentivo per Teheran a proseguire i programma nucleare. In proposito, Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana e direttore dell’Institute for National Security Studies, ha confermato che Israele cercherà in tutti i modi di fermare l’attività militare iraniana in Siria. E ha spiegato: “Lasciare mano libera agli iraniani in Siria comporta un caro prezzo”. Ma tale monito potrebbe essere esteso a tutti i partner dell’Iran. Anche perché la città di Deir Ezzor, ha spiegato l’Osservatorio, è sotto il controllo dell’esercito russo che sostiene le milizie di Damasco dal 30 settembre 2015.
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Israele riprende le armi contro l’Iran
Il Jerusalem Post ha osservato come gli attacchi israeliani ai danni dell’Iran siano sempre più “mirati e concreti”. Per di più, di fronte a tale scenario alcune fonti diplomatiche occidentali hanno riferito che i raid multipli del 13 gennaio significhino una sola cosa. Ossia che Israele si stia preparando a un’offensiva su larga scala volta non solo a distruggere i depositi di missili iraniani oltre confine. Ma soprattutto a “sradicare” Teheran dal territorio siriano a partire dalle più “deboli” regioni della Siria meridionale e Iraq. A dimostrarlo sarebbe anche l’attacco perpetrato nella notte tra il 6 e 7 gennaio a Sud della capitale Damasco. Infine, diversi opinionisti ritengono che Israele stia approfittando delle agitazioni insorte negli Stati Uniti in prossimità del cambio nella conduzione del Paese.
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Israele contro il nucleare iraniano
A Kan News Tzachi Hanegbi, alto esponente del Likud nonché alleato del primo ministro Netanyahu, ha avvertito che Israele è pronto a contrastare con ogni mezzo il programma nucleare di Teheran. Ma i raid israeliani potrebbero rappresentare anche un monito alla prossima amministrazione Biden, specialmente qualora gli USA riaprano le trattative con l’Iran come ha ventilato il neoeletto presidente. Tale disponibilità si porrebbe in netto contrasto con la brusca interruzione dei negoziati, a suo tempo decisa unilateralmente da Trump. Nello specifico, Hanegbi ha dichiarato: “Se il governo degli Stati Uniti ritorna all’accordo sul nucleare (e questa sembra essere la politica attuale) il risultato pratico sarà che Israele sarà di nuovo sola contro l’Iran, che alla fine dell’accordo avrà ricevuto il via libera dal mondo, compresi gli Stati Uniti, per continuare con il suo programma di armi nucleari”.
Israele riprende l’offensiva: qual è l’opinione degli analisti?
Ad ogni modo, gli osservatori hanno concordato sul fatto che il Tycoon non sia riuscito a coprire le falle dell’amministrazione Obama. Ma come ha osservato un’analista arabo il problema è in parte dovuto a un certo opportunismo di Israele nonostante (o a ragione di) “tutte le possibili concessioni di Donald Trump”. Quanto al futuro, le previsioni non sono tra le più rosee, perché si ritiene che nella Mezzaluna fertile la guerra per procura sarà destinata a proseguire. Intanto, resta solo attendere le prossime scelte politiche della nuova amministrazione democratica statunitense. Soprattutto, dopo che Joe Biden ha mostrato timidamente una certa disponibilità a riaprire le relazioni con l’Iran che potrebbe stravolgere gli equilibri in Medio Oriente.
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Che interessi ha Israele?
Come mostra il video, Israele aveva intensificato la propria presenza militare in Siria già nell’estate del 2020, inviando contingenti alle frontiere per prevenire eventuali offensive di Hezbollah. Durante una visita alle milizie al confine, infatti, il ministro degli Esteri israeliano Benny Gantz aveva assicurato che il Paese non avesse interessi in Siria o in Libano diversi dalla propria sicurezza nazionale. Eppure alle parole del ministro non sono seguiti i fatti, dato che appena una settimana dopo le forze speciali israeliane hanno compiuto l’ennesimo raid a Damasco. L’attacco aveva provocato la morte di cinque Foreign Fighters tra cui un militante di Hezbollah.
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