Israele si prepara ad affrontare la prossima amministrazione democratica statunitense. Secondo quanto trapelato dai media locali, lo Stato ebraico starebbe studiando la controffensiva a Teheran nel caso in cui Washington modificasse gli equilibri in Medio Oriente. Del resto, l’elezione di Joe Biden non è stata accolta con grande entusiasmo dal governo sionista, malgrado le parole del premier Netanyahu. Nel frattempo, anche la comunità internazionale attende di conoscere quali saranno le politiche dell’era Biden.
Israele si prepara?
Oggi Israele prepara la sua controffensiva in Medio Oriente, secondo quanto riferiscono alcune agenzie di stampa locali. Infatti, lo Stato ebraico “Sta spostando armi di difesa aerea, artiglieria a lungo raggio, elicotteri e caccia F-15 a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno per una guerra più ampia contro Iraq e Iran”. A confermarlo sono fonti dell’intelligence russa e iraniana. Secondo alcune indiscrezioni, dette manovre sarebbero una risposta alla nuova amministrazione statunitense. Com’è noto, i rapporti tra il partito dei democratici USA e Netanyahu sono stati sempre sul filo del rasoio. A maggior ragione dopo che il nuovo presidente ha ventilato l’ipotesi di riprendere l’accordo sul nucleare iraniano nel punto in cui s’era interrotto. Pertanto, alcuni esperti ritengono che Israele stia “forzando la mano” per garantirsi l’appoggio statunitense rispetto a un probabile conflitto in Libano e Iraq.
Le motivazioni
A ben vedere, ciò che preoccupa Israele non è soltanto la guida democratica negli USA. Anche se potrebbe potrebbe significare la ripresa dei rapporti tra Washington e palestinesi, raffreddatisi a seguito del riconoscimento di Gerusalemme capitale. Piuttosto, i servizi segreti israeliani temono un’ingerenza più marcata dell’Iran qualora gli Stati Uniti si ritirino dall’Iraq. Specialmente quando il Pentagono ha dimezzato il contingente statunitense in Afghanistan e in Iraq. E dopo che Biden ha riaperto al nucleare iraniano. Ma la questione comprende anche il rafforzamento della presenza iraniana al margine siriano-iracheno, dove Teheran sta concentrando i propri missili da crociera (come l’Hoveyzeh) e preparando l’attacco con i droni. Tanto che secondo alcuni analisti proprio queste mosse giustificherebbero l’intensificarsi dei raid aerei israeliani ai confini di Siria e Iraq.
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Il commento degli esperti
Nello specifico, analisti israeliani credono che tale subbuglio potrebbe determinare i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione islamica, a una raffica di attacchi contro lo Stato ebraico. Se così fosse, Israele non sarebbe l’unico a rimetterci. Soprattutto dopo gli sforzi profusi dalle autorità per normalizzare i rapporti diplomatici con i Paesi affacciati sul Golfo Persico. Dal canto suo, Teheran è intenzionato a portare a termine il proprio programma nucleare. Come a fermare Tel Aviv e le sue mire espansionistiche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Colonie a cui Israele non vuole rinunciare, come hanno riferito le autorità sioniste. Soprattutto perché saranno il fondamento per qualsiasi accordo futuro con i palestinesi.
La nuova amministrazione USA
“Ripareremo le nostre alleanze e ci impegneremo ancora una volta con il mondo non per affrontare le sfide di ieri, ma le sfide di oggi e di domani“. Queste le parole pronunciate dal 46° presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel discorso inaugurante la presidenza. Parole che di certo non hanno rassicurato Israele. Al contrario, il suo governo aveva temuto la soluzione di continuità con la precedente politica trumpista già all’indomani degli esiti elettorali. In effetti, nei quattro anni di governo dei repubblicani a Israele era sempre stato riconosciuto un ruolo primario nello scacchiere mediorientale. Ora, però, lo stesso potrebbe essere minato dalla nuova squadra alla Casa Bianca. Anche visti i trascorsi (per nulla affabili) tra Netanyahu e il partito dei democratici.
Le precedenti dichiarazioni
Durante un intervento all’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), Biden aveva chiarito con franchezza la sua posizione su Israele: “Il processo costante e sistematico del governo israeliano di espandere gli insediamenti, legalizzare gli avamposti, sequestrare i territori, a mio avviso sta erodendo la prospettiva di una soluzione per i due Stati“. Il discorso aveva entusiasmato il governo palestinese ancor prima della nomina del democratico. In particolare Abu Mazen, capo dell’Autorità palestinese, aveva dichiarato di voler “lavorare con l’amministrazione del presidente eletto per rafforzare le relazioni palestinesi-americane e per ottenere libertà, indipendenza, giustizia e dignità per il popolo palestinese e pace, stabilità e sicurezza“. Mentre il leader di Hamas, Ismael Haniyeh, ha auspicato che Biden “corregga le ingiuste politiche americane che hanno reso gli Stati Uniti complici d’ingiustizia e di aggressione“.
La “ricetta” Biden
“Abbiamo sottolineato a entrambe le parti la necessità di adottare misure significative per dimostrare il loro impegno per una soluzione a due Stati che vada oltre le semplici parole“, ha detto domenica scorsa il neoeletto presidente Biden. Per il democratico una soluzione di pace tra Israele e Palestina sarebbe possibile solo qualora i due Paesi siano disposti a collaborare sul serio. Per questo il nuovo presidente ha chiesto allo Stato ebraico di mostrare collaborazione. A maggior ragione ora che Washington ha aperto un tavolo per un generoso accordo di assistenza militare. Secondo il democratico: “Sarà senza dubbio il pacchetto di assistenza alla sicurezza più generoso nella storia degli Stati Uniti“. E che dovrebbe significare alcuni miliardi di dollari l’anno per Israele.
Il tweet di Netanyahu
Da parte sua, il premier israeliano s’è congratulato con il nuovo presidente dal suo account Twitter. Seppur a denti stretti, Netanyahu ha definito Biden “un grande amico di Israele”. E ha aggiunto: “Grazie per l’amicizia che hai dimostrato allo Stato di Israele e a me personalmente per aver riconosciuto Gerusalemme e il Golan, per aver fatto fronte all’Iran, per gli storici Accordi di pace e per aver portato l’alleanza israelo-americana a livelli senza precedenti“. “Joe, abbiamo avuto per quasi 40 anni un rapporto personale lungo e caloroso”, ha concluso. Anche se il ritardo di tale riconoscimento non è sfuggito alla stampa. In effetti, tra Netanyahu e democratici aleggiano ancora quelle tensioni nate durante l’amministrazione Obama e mai dimenticate.
La vecchia nuova coalizione
Soprattutto se si considera che nella “nuova” squadra di governo di Biden 11 funzionari dell’amministrazione Obama svolgeranno ruoli chiave. Gli stessi che avevano collaborato alla prima stesura dell’accordo sul nucleare iraniano, tra cui il vice segretario di stato entrante Wendy Sherman. Ex capo negoziatore al JCPOA e prossimo numero 2 di Washington, Sherman sarà affiancato da Tony Blinken, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden mentre era vicepresidente. Team che Israele si prepara ad affrontare.
Israele si prepara a Biden?
Come anticipato, l’unico vero alleato di Benjamin Netanyahu sembra essere stato proprio Donald Trump. Difatti, il repubblicano ha sempre mostrato di prediligere un ruolo di “mediatore” degli equilibri mediorientali, specialmente nei confronti della elite di potere sionista. A tal proposito, il Tycoon aveva “viziato” lo Stato ebraico esaudendo ogni sua richiesta. Ad esempio, aveva riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele e abbandonato l’accordo sul nucleare iraniano nel 2018. In più, aveva concesso a Tel Aviv di annettere la regione del Golan, alcune aree della Cisgiordania e le colonie ebraiche in Palestina. Ma soprattutto aveva ordinato l’eliminazione del generale iracheno Qassem Soleimani e del suo vice Abu M. al-Muhandis, rimasti uccisi in un raid statunitense all’aeroporto di Baghdad. Parallelamente, Trump ha sempre evitato di contrapporsi all’Iran, sperando in una sua rielezione a novembre.
Un sogno infranto
A tal proposito, negli ultimi mesi della sua presidenza il repubblicano si era limitato a inasprire le sanzioni economiche a Teheran. Nonostante tali misure si siano sempre rivelate inefficaci e controproducenti. Tuttavia, la crisi pandemica e il “Deep State” hanno infranto il sogno di un secondo mandato e vanificato la sua strategia politica in Medio Oriente. In effetti non sembra un caso che pochi giorni prima della nomina di Biden, il Campidoglio abbia approvato la risoluzione congiunta proposta dal senatore repubblicano Lindsey Graham e dal democratico Robert Menéndez. Il provvedimento enfatizzava il fatto che “se Israele è costretto a difendersi e ad agire (contro l’Iran), gli Stati Uniti saranno al suo fianco per sostenere Israele militarmente e diplomaticamente”.
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I timori degli israeliani
Al momento, sono due gli scenari che lo Stato ebraico vorrebbe evitare. Da una parte, non vuole perdere il supporto (economico e militare) statunitense, sul quale conta per alimentare le proprie ambizioni espansionistiche. Dall’altra, detesta che Teheran prosegua con il suo programma nucleare con il rischio di sviluppare armi nucleari che sarebbero puntate contro Israele. Timori questi affatto infondati, anzi. Come ha anticipato il nuovo inquilino della Casa Bianca, Washington ha intenzione di rispolverare il Piano d’azione globale congiunto del 2015. A riguardo, Biden ha sostenuto che la campagna di “massima pressione” del suo predecessore è stata “un vantaggio per il regime in Iran e un fallimento per gli interessi dell’America“. Ancor prima degli esiti elettorali l’allora candidato democratico aveva annunciato alla CNN che avrebbe “offerto a Teheran un percorso credibile per tornare alla diplomazia”.
Israele prepara un ricatto?
Ad ogni modo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembra avere una certa urgenza di aprire le ostilità prima che i suoi “guai” con l’opinione pubblica interna gli guastino i piani. Specialmente finché potrà sfruttare documenti “scottanti” in mano al Mossad per ricattare Biden e famiglia. A tal fine, le forze di difesa israeliane avrebbero ripreso le proprie operazioni militari attaccando le basi statunitensi nel tentativo di far ricadere le responsabilità. In questo modo avrebbero “provocato” il Pentagono a intervenire contro l’Iran, acerrimo nemico di Israele. In effetti, l‘AIPAC che riunisce una lobby sionista negli USA sta cercando di distruggere l’Iran con ogni mezzo. Armi nucleari incluse.
Una precisazione
Dal canto suo, Biden aveva precisato: “Se l’Iran tornasse a rispettare rigorosamente l’accordo nucleare, gli Stati Uniti si riunirebbero all’accordo come punto di partenza per i negoziati successivi“. Israele ha sempre osteggiato tale risoluzione. Ad esempio, al Times of Israel un funzionario dello Stato ebraico aveva chiarito: “L’accordo JCPOA del 2015 è viziato dalle fondamenta“. “Non pensiamo che possa essere modificato e sarebbe un errore tornarci“. Comunque sia, Israele mostra di avere un’enorme influenza decisionale alla Casa Bianca, com’era accaduto durante la presidenza Bush e Obama.
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La questione del nucleare
Insomma, la questione nucleare iraniana sarà l’ago della bilancia che regolerà tutti i futuri rapporti tra Washington e Tel Aviv. Pertanto, i democratici dovranno studiare con attenzione il giusto approccio in Medio Oriente, nella consapevolezza che potranno contare su pochi “amici”. Anche per non perdere la faccia sul piano internazionale. Se da una parte dovranno gestire le mire espansionistiche di Tel Aviv, dall’altra si troveranno per le mani la patata bollente delle ambizioni nucleari di Teheran. Sebbene il premier israeliano si sia limitato alla fredda diplomazia, le cose potrebbero cambiare. Intanto, Netanyahu ha assicurato: “Non vedo l’ora di lavorare con voi per rafforzare ulteriormente l’alleanza USA-Israele per continuare a espandere la pace tra Israele e il mondo arabo”.“E per affrontare sfide comuni, prima fra tutte la minaccia rappresentata dall’Iran“, ha ricordato.
Una scusa contro Teheran?
D’altra parte, già il fatto che Israele voglia impossessarsi del Kurdistan iracheno suggerisce che sia la nuova strategia di Tel Aviv per “fiaccare” Baghdad. Da parecchio tempo lo Stato ebraico sta addestrando i curdi del PKK e li sta rifornendo di armi e attrezzature militari. In questo modo Israele supporta le istanze indipendentistiche curde a scapito dell’Iran. Di certo, la strategia di Tel Aviv mira a concretizzare il piano sionista della “Grande Israele” (Eretz Israel) per recuperare i “territori promessi” al popolo ebraico. Secondo il primo libro della Torah (Genesi 15:18), infatti, “4.000 anni fa, il titolo di tutta la terra, tra il fiume Nilo d’Egitto e il fiume Eufrate, fu lasciato in eredità al patriarca ebraico Abramo e successivamente trasferito ai suoi discendenti”.
Israele si prepara Mosca risponde
Comunque sia, quello che sta accadendo in Medio Oriente non potrà lasciare la Russia indifferente. Non solo perché Mosca appoggia militarmente Siria e Iran. Ma anche perché l’Iran rappresenta l’ultima roccaforte nel Golfo Persico per il Cremlino. Inoltre, se la strategia israeliana andasse a segno, la Russia si ritroverebbe sicuramente il prossimo obiettivo del Pentagono. Infine, anche la Cina ne sarebbe coinvolta, dato che l’Iran ha appena siglato con Pechino un accordo di cooperazione pluriennale sulla fornitura di energia. Un bene estremamente prezioso per il gigante asiatico.
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