mercoledì, Aprile 16, 2025

Iran nucleare da bluff a realtà: sale l’allarme internazionale

Il nucleare in Iran è realtà. Lo conferma il recente rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che dimostra come Teheran abbia continuato ad arricchire uranio nonostante i divieti internazionali. A ben vedere, le nuove trasgressioni potrebbero compromettere (se non silurare) gli sforzi per raggiungere un’intesa sul nucleare iraniano, ripresi qualche mese fa nella capitale austriaca. L’analisi.

Iran nucleare: incubo o realtà?

La comunità internazionale affronta un Iran nucleare. Né le sanzioni statunitensi né tantomeno quelle europee, dunque, sono riuscite a dissuadere le autorità sciite dai loro propositi. Anzi. La forte opposizione mondiale, in primis israeliana, ha offerto la scusa ideale alla Repubblica islamica per sviluppare il suo programma. Chiunque considerasse gli ultimatum di Teheran alla stregua di un capriccio infantile, quindi, dovrà ricredersi. Se non altro lo dimostra il fatto che, per l’Iran, la questione del nucleare è passata in breve tempo da minaccia a pericolosa merce di scambio. Insomma, da bluff a realtà. A confermarlo è (involontariamente) l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica).

Il report

Nel rapporto presentato lunedì, il watchdog delle Nazioni Unite ha riferito che Teheran ha fatto progressi nell’arricchire le sue riserve di uranio metallico. Il tutto in barba agli avvertimenti occidentali, secondo cui tali operazioni avrebbero compromesso i colloqui sul Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA): l’accordo sul nucleare dell’Iran del 2015, rilanciato a Vienna ad aprile scorso. “Il 14 agosto 2021, l’Agenzia ha verificato che l’Iran aveva utilizzato 257 g di uranio arricchito fino al 20% di U-235 sotto forma di UF4 (tetrafluoruro di uranio) per produrre 200 g di uranio metallico arricchito fino al 20% di U -235“. Questo è quanto afferma il rapporto dell’AIEA, rilevando una palese violazione delle restrizioni imposte a Teheran dalla comunità internazionale.


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Il programma nucleare in Iran

Come precisa l’Agenzia, ciò costituirebbe la terza e penultima fase di un programma più ampio, che culminerebbe nella produzione di una piastra di combustibile per un reattore di ricerca. Tuttavia, queste operazioni hanno attirato le critiche degli Stati Uniti, che le definiscono uno “sfortunato passo indietro”. “L’Iran non ha alcun bisogno credibile di produrre uranio metallico, che ha una rilevanza diretta per lo sviluppo di armi nucleari“. Così ha commentato il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price. E ancora. “L’Iran dovrebbe cessare le sue escalation nucleari e tornare ai negoziati verso la piena attuazione (dell’accordo nucleare, ndr)“. Nel frattempo Gran Bretagna, Francia e Germania hanno espresso “gravi preoccupazioni” per la decisione dell’Iran.

Tensioni

In passato, proprio l’arricchimento dell’uranio metallico aveva allertato Washington e le tre principali potenze europee, consapevoli che quella tecnologia, unita alla conoscenza di come produrla, sarebbe servita a creare il nucleo di una bomba nucleare. Dal canto suo, la Repubblica islamica ribadisce che i suoi scopi siano del tutto pacifici. Oltre che limitati a sviluppare un nuovo tipo di combustibile a fini di ricerca. “L’Iran non ha alcun bisogno civile credibile di ricerca e sviluppo e produzione di uranio metallico, che sono un passo fondamentale nello sviluppo di un’arma nucleare“. Lo afferma una dichiarazione congiunta dei funzionari europei, rilasciata dal ministero degli Esteri britannico.


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Merce di scambio?

Sulla scorta del trattato originario, infatti, le potenze occidentali avevano imposto limiti stringenti al programma nucleare iraniano. Soprattutto allo scopo di rendere più difficoltoso all’Iran lo sviluppo di materiale fissile per la creazione di armi nucleari. In cambio, la Repubblica islamica avrebbe ottenuto la revoca delle sanzioni economiche, per il momento solo allentate. Al contrario, il continuo pressing delle autorità sciite sta mettendo in crisi la revisione del JCPOA, che era stato abbandonato nel 2018 dall’allora presidente statunitense Donald Trump. “Con i suoi ultimi passi, l’Iran sta minacciando un esito positivo dei colloqui di Vienna nonostante i progressi compiuti in sei tornate di negoziati“, avvertono i funzionari europei. Aggiornati al 20 giugno, i colloqui nella capitale austriaca sono sospesi, non essendo fissata alcuna data certa per un prossimo round.

Una voce fuori dal coro

L’ambasciatore russo presso l’AIEA, Mikhail Ulyanov, ha preso atto del rapporto dell’agenzia sull’ultima violazione dell’accordo del 2015 da parte dell’Iran. Come della decisione dell’amministrazione Biden di mantenere le sanzioni iraniane reintrodotte da Trump, anch’esse violazioni dell’accordo. Eppure, il diplomatico ritiene che “L’unica via d’uscita da questo circolo vizioso sia la ripresa immediata dei #ViennaTalks e il pieno ripristino del #JCPOA“. Lo conferma un suo post di Twitter.


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L’Iran viola i limiti sul nucleare

A questo punto valgano alcune considerazioni. Nonostante siano ripresi ad aprile, principalmente grazie all’impegno profuso dal governo francese, i negoziati con Teheran non hanno mai seguito un percorso lineare. Ad esempio, il 13 aprile scorso l’Iran aveva annunciato l’intenzione di arricchire l’uranio al 60% di U-235. A detta delle autorità sciite, si trattava della risposta al sabotaggio del suoi impianti di arricchimento sotterranei di Natanz, compiuto due giorni prima dalle forze di difesa israeliane. Una scusa poco credibile. Soprattutto perché la Repubblica islamica stava già producendo uranio arricchito a poco meno del 20% (circa il 19.5%) nel dicembre 2020. Fino a raggiungere e superare, di recente, la soglia del 60 per cento. Sebbene non sia ancora passibile di impiego bellico, nulla esclude che le centrifughe iraniane possano spingere l’arricchimento al 90 per cento. Un valore più che sufficiente.

Questione di percentuali

In ogni caso, una volta che viene arricchito oltre il 20% l’uranio entra in una diversa categoria: quella dell’uranio altamente arricchito (HEU). Sebbene ogni altro Paese possa produrre legalmente HEU ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare (NPT), nel caso dell’Iran il JCPOA limita l’arricchimento dell’uranio al 3.67 per cento. Anche supponendo che l’uranio arricchito al 60% venga immagazzinato sotto forma di gas esafluoruro di uranio (UF6) – non avrebbe senso che Teheran lo convertisse in altra forma chimica – il passaggio all’uso militare è breve.


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Strategia di “massima pressione”

Il che avvalora l’ipotesi secondo cui lo scopo delle autorità sciite sia soprattutto quello di inviare un messaggio politico. Come a dire: “Siamo andati il ​​più lontano possibile in risposta alle provocazioni senza produrre uranio per armi“. Senza superare il limite, quindi, ma dimostrando di essere in grado di farlo in qualunque momento. D’altronde, Teheran ha costantemente ampliato le sue scorte di uranio arricchito, aumentato i tassi di arricchimento e intensificato la ricerca e lo sviluppo. Il tutto rimarcando la sua volontà di invertire tutte quelle che chiamava “misure correttive”. Questo se e quando l’accordo del 2015 sarebbe stato rilanciato.

Nucleare e Iran: provocazioni

Di recente, tali violazioni sono solo state legittimate da una legge iraniana, emanata in seguito all’uccisione del famoso scienziato nucleare iraniano nel novembre 2020, che Teheran attribuisce a Israele. Tra le altre cose, il provvedimento ammette la produzione di uranio metallico. Nonostante il JCPOA vieti operazione simili fino al 2031.

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