Il mondo che crediamo di conoscere non è quello in cui abitiamo. Mentre viviamo in un’illusione minacciata dal futuro, ci aggiriamo ciechi tra le rovine che già ci circondano. Ma come strappare il velo che ci copre la vista e intuire la dimensione della catastrofe?
Siamo al sicuro dalle catastrofi di domani?
L’Amazzonia scomparirà nel 2064, nel 2100 gli atolli del pacifico saranno inghiottiti dall’oceano ed entro il 2050 il 92% dei ghiacciai alpini spariranno. Quasi tutte le catastrofi per nostra fortuna accadono in un futuro più o meno lontano. Per ora possiamo stare tranquilli, ce ne vuole ancora prima che diventino condizioni reali con cui fare i conti. Se il 2050 è lontano, figurarsi il 2150, quando le Maldive saranno inabitabili. Per allora un qualche escamotage per cavarci d’impaccio l’avremo già trovato. Non è stato sempre così? Il buco dell’ozono sembrava enorme e minaccioso, ma alla fine anche lui si è chiuso, e Yokuba Sawadogo non è forse riuscito a strappare al deserto ettari ed ettari di terreno in Burkina Faso? Stiamo sicuri: il futuro è minaccioso, ma le catastrofi sono abbastanza lontane. Per allora saremo ben pronti e avremo già rimediato… oppure no?
Storie di natura rovinata. L’uomo rispetta troppo poco l’ambiente
Nel 2064 perderemo la Foresta amazzonica
Il mondo che crediamo di conoscere
In effetti forse no. Certo, qualche scienziato potrebbe uscire in qualsiasi momento dal suo laboratorio con dei fogli in mano e gridare “Eureka, ho la soluzione!”. Ma questa eventualità, invero più remota di quel che può sembrare, non porrebbe alcun rimedio ai danni fatti fino ad ora. Le catastrofi che ignoriamo crogiolandoci nella sicurezza che le grandi tragedie avverranno nel futuro, esistono nonostante tutto. La Terra che la scienza potrebbe riuscire a salvare un domani, non sarà quella che conosciamo. E d’altronde, il mondo che crediamo di conoscere già non è come quello in cui viviamo davvero. Le foreste sono sempre più piccole e vuote, i ghiacciai sempre meno imponenti, i deserti sempre più grandi. Ma queste rimangono parole vuote perché nessuna di loro ci desta una chiara immagine che ci dia il senso della catastrofe.
Una nuova cartina
Per avere un’idea di quanto il mondo che crediamo di conoscere sia diverso dalla realtà, si può prendere una cartina geografica. Apriamola e facciamo scorrere il dito sul Mar Nero, poi sul Mar Caspio e arriviamo fino al lago d’Aral. Il quarto lago più grande del mondo. A questo punto prendiamo un pennarello rosso e cancelliamolo. Quell’enorme specchio d’acqua non esiste più già da alcuni anni. A sostituire i suoi 68.000 km² d’acqua ci sono due piccoli laghi separati da un deserto. Ora, prima di posare il pennarello, cancelliamo tutta la Turchia, Cipro e il Libano. oppure, se preferite, l’Italia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e metà della Danimarca. Quell’enorme chiazza rossa nel Medioriente o quel mare rosso nel cuore dell’Europa è l’equivalente della Foresta amazzonica persa dal 1970 fino ad oggi: 809.875 km².
Nuove terre da scoprire
Ora però basta cancellare. Il mondo che crediamo di conoscere necessita di alcune importanti integrazioni. Mettiamo via il pennarello rosso e prendiamone uno bianco. Adesso è il momento di aggiungere delle nuove terre scoperte di recente! Posiamo la punta a largo delle coste della California e tracciamo un’ellisse grande come la Cina, che si avvicini al Giappone e torni indietro. Poi ne facciamo una grande come l’Arabia Saudita nell’Oceano pacifico meridionale e una grande quasi il doppio nell’Oceano Atlantico settentrionale. Coloriamole tutte di bianco e avremo sotto gli occhi tre delle sei isole di detriti di plastica più grandi del mondo. Le altre sono nell’Oceano Indiano, nell’Atlantico meridionale e nel mare di Barents, nell’artico. Certo, forse non sono degli invitanti atolli tropicali su cui prendere il sole sorseggiando un cocktail da una noce di cocco, ma giacché loro presto scompariranno è meglio accontentarsi delle nuove sostitute.
Il mondo che crediamo di conoscere è colorato
Ma non sempre lo è nella realtà. La barriera corallina interna australiana già da tempo ha sostituito tutti i suoi colori con sfumature di grigio perché i suoi coralli sono morti. Grigio è il suolo arso del Pantanal in Sudamerica, e grigi sono anche i monti intorno a Queenstown in Tasmania, devastati dalle piogge acide. Nella sicurezza che le grandi catastrofi avverranno o avranno conseguenze solo nel futuro, quanto di ciò che ci è rimasto siamo ancora disposti a sacrificare prima di guardare la realtà dei fatti? Se parte del mondo che crediamo di conoscere già non esiste più, cosa ci rimarrà da salvare nel futuro?