giovedì, Aprile 17, 2025

Il circuito della violenza in Rete. Gruppi su Facebook che istigano allo stupro

Il fatto che manchi ancora una evidente cultura, competenza e consapevolezza digitale , anche in Italia, sul tema della Rete, il fatto che non sia ancora chiara la dimensione pubblica dei social e che, anche se ancora giuridicamente fragili, esistano delle regole di relazione e un’etica della comunicazione online, ce lo dimostrano gli ultimi fatti legati ai fenomeni d’odio e violenza verbale sui social (Facebook principalmente), rivolto in particolare alle donne.

Il circuito della violenza in Rete non sembra avere fine.

Un fenomeno recentemente  denunciato dalla Presidente Boldrini, attraverso la pubblicazione dei nomi di chi la insultava pesantemente sulla sua pagina social e del contenuto violento dei loro post mostrati al mondo intero: una mossa istituzionalmente coraggiosa, ma che ha alimentato altro odio, trasformando i suoi carnefici in nuove cybervittime.

Non ci sono però solo parole d’odio nei social, ma anche migliaia di gruppi e  pagine Facebook che istigano allo stupro.

A denunciare questo fenomeno, una giovane informatica, Arianna Drago: “Esistono gruppi su Facebook che raccolgono foto di normalissime ragazze, (..) messe alla mercè di uomini maniaci, costellate di commenti che inneggiano allo stupro e all’umiliazione delle stesse”.

I gruppi a cui si fa riferimento, hanno spesso più di 3000 iscritti, principalmente maschi, con spesso identità fasulle che si divertono ad insultare con insulti di natura verbale e sessuale. Inaccettabile il tono dei commenti: epiteti oltraggiosi, ogni genere di umiliazioni fisiche e sessuali, fantasie erotiche esplicite.

Quello che appare preoccupante e da non sottovalutare sono principalmente quattro aspetti.

Privacy: molte di queste donne non sono per nulla a conoscenza del fatto che  siano state rubate delle loro foto e inserite, senza oscurarne il volto, in dei gruppi violenti online. Secondo aspetto è che nella maggior parte dei casi, queste vittime sono minorenni che hanno pubblicato nel loro profili la loro quotidianità dai momenti a scuola ai selfie in casa o foto riguardanti feste, uscite tra amici e cosi via. Questo comportamento inoltre, alimenta una mancanza di empatia e analfabetizzazione emotiva-affettiva, che potrebbe avere conseguenze importanti anche nella realtà sociale, in quanto non slegata da quella virtuale.

Quarto punto, non per nulla scontato e meno grave, è la mancanza di una chiara posizione e azione da parte del team di  Facebook. Nessuna censura, nessuno strumento ancora concreto per cercare di monitorare e bloccare fenomeni di questo tipo in Rete. Sembra che i contenuti non vengano bloccati perchè il sistema automatico di rilevamento del social non legge queste immagini come pornografiche, in quanto non sempre le foto rubate, sono foto di nudo.

Non possiamo aspettare l’azione di denuncia da Facebook, il problema è prima di tutto antropologico, non facciamo l’errore di accusare la Rete come è stato più volte fatto nei casi di cyberbullismo o nel caso di Tiziana Cantone.

Bisogna imparare a conoscere l’ambiente digitale, essere consapevoli della sua natura pubblica, imparare ad essere maggiormente responsabili del nostro comportamento e delle nostre parole sui social perché tutto ciò che facciamo in Rete, si ripercuote anche sulla nostra vita quotidiana.

E serve a poco nascondersi creando decine di profili fake, anche se ci muoviamo con identità multiple, ognuno di noi lascia sempre delle tracce in Rete.

 

Giacomo Buoncompagni
Giacomo Buoncompagni
Buoncompagni Giacomo. Aspirante giornalista scientifico. Laureato e specializzato in comunicazione pubblica e scienze sociali -criminologiche. Collaboratore di Cattedra presso l'Università di Macerata. Presidente provinciale Aiart Macerata. E' autore di "Comunicazione criminologica" e "Analisi comunicazionale forense" (2017)

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