Il progetto di riqualificazione e rivalutazione storico urbanistica del centro storico di Piacenza finalizzato al proficuo ripristino e indirizzato ad un virtuoso mantenimento dell’antico nucleo urbano nonché ad un sano restauro dei resti monumentali di Piazza Duomo è un’iniziativa ideata e in via di attuazione da un protocollo di intesa tra Comune e Diocesi, alla firma del quale ha partecipato anche l’architetto nonché direttore dell’ufficio diocesano per i beni culturali Manuel Ferrari, la cui bozza ha ricevuto il via libera dalla giunta guidata da Patrizia Barbieri, sindaco di Piacenza in carica dal 27 giugno 2017 e presidente della provincia di Piacenza dal 31 ottobre 2018.

Oltre a strutturarsi come un rafforzamento dell’unità cittadina che con tale progetto di ristabilimento dell’antico sviluppo urbano il cui orgoglio principe è rappresentato senza dubbio dai reperti del vecchio battistero che saranno portati alla luce una volta intrapresi e conclusi i lavori di riassestamento dell’assetto della piazza, il ripristino delle antichità che saranno visibili al termine della rivalutazione sarà un modo per rendere attiva e partecipativa la cittadinanza che in questo modo può rieducarsi e così riscoprire le proprie radici che vengono rispecchiate dalla complicata e variegata composizione di Piazza Duomo, sia in riferimento agli edifici che su di essa si affacciano, sia per la differente stratificazione e la multieva diversificazione dei suoi complessi.

Sicuramente le critiche a una modificazione del complesso della piazza non si faranno attendere poiché sventrare un luogo così ricco e denso di elementi di interesse, benché con le dovute precauzioni e attenzioni nel rispetto dei beni culturali tutelati dal MIBACT e dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio delle province Parma e Piacenza, è compito e responsabilità difficile ed onerosa da sostenere sia economicamente che ideologicamente. Secondo, però, gli enti organizzatori e i capi del progetto, nonostante si intervenga sull’assetto della piazza i lavori di riqualificazione sono necessari sia per incentivare il turismo che per fungere da mezzo aggregante e per la comunità piacentina e per l’arte e l’architettura in sé che così facendo sono più facilmente fruibili in un contesto dialogante fra realtà storiche di epoche diverse che all’interno del nucleo della piazza possono implementare le loro influenze soltanto attraverso l’arduo e discusso compito del portare alla luce l’antico selciato e le vecchie fondamenta che secoli fa si trovavano esattamente nel luogo in cui, ad una quota superiore, ora giace la pavimentazione della piazza attuale.

Sicuramente l’Italia è il paese che a livello internazionale, per quanto errori in questo senso siano purtroppo all’ordine del giorno, sa valorizzare il suo patrimonio artistico e culturale riuscendo a movimentare anche importanti e complesse iniziative che, benché possano apparentemente prevedere un forte impatto sull’ambiente o proprio su quel patrimonio che per lasciare spazio ad altre scoperte o rivalutazioni archeologiche o di restauro si rischia di distruggere o rovinare, riescono a qualificarsi come il meno invasive possibili. L’eccellenza italiana in campo storico archeologico e di restauro è indubbia, perciò la fiducia al progetto di un riassemblamento non antiestetico e il meno strutturalmente modificante dello storico centro piacentino è assecondata.

Un tale prospetto professione delle autorità competenti elette alla riqualificazione della piazza forse non basterà a fermare le lamentele di residenti giustamente preoccupati e impauriti per il cambiamento di parte della piazza cittadina, bandiera della loro identità e sede di antichi o più recenti ricordi, anche se potrà frenare quantomeno le pulsioni conservative in favore di un approccio più visionario che spazia in verità proprio su quegli aspetti che magari si desiderano ardentemente non modificare i quali si annodano attorno al progresso e all’aggiornamento storico, anch’esso bisognoso di sviluppi e cambiamenti adeguati e controllati per essere revisionato e valorizzato.

Approfondendo le dichiarazione della delibera approvata che fanno sicuramente eco al pensiero della sindachessa Barbieri, si chiarisce ancora meglio quale siano le finalità del progetto il quale si inserisce all’interno di quello che si definisce come l’interdialogo storico e sociale nel contesto cittadino tra aspetti monumentali che con l’attuazione dell’iniziativa divengono parte integrante della piazza che, ospitando nuove strutture visibili, permette di mettere in relazione epoche e periodi di notevole rilievo culturale, architettonico ed artistico, e comunicazioni fra queste realtà con la cittadinanza stessa:
“Coerentemente con le linee programmatiche di mandato orientate alla valorizzazione delle eccellenze cittadine nell’ambito del progetto complessivo per il futuro della cultura a Piacenza, l’amministrazione persegue la promozione e lo sviluppo di un sistema culturale del territorio favorendo il confronto, la condivisione e il coordinamento con le diverse istituzioni interessate”
Il percorso verso una tale rivalutazione è ancora relativamente lungo, ma certamente come ben riferito nel rapporto di delibera comunale, ad oggi i fermenti associativi e istituzionali che su questa iniziativa si sono formati fanno ben sperare a una definitiva e veloce risoluzione del progetto. Senza diventare un museo a cielo aperto, e rimanendo come oggi luogo di aggregazione sociale in quanto una città oltre che essere oggetto di un elaborato percorso storico che ha portato alla struttura urbana presente soggetta a una meritevole tutela, allo studio multidisciplinare e attrattiva turistica, è e deve rimanere una rete viva e in continuo sviluppo, con il progetto della nuova pavimentazione che lascia intatte le strutture presenti e anzi permettendo al pubblico di osservarne di nuove, la città diventa ancora più profonda arricchendosi maggiormente di storia e di bellezza.

Piazza Duomo diviene così un libro aperto che racconta una storia dalle sfaccettature e dalle tinte magari sconosciute ai più, si trasforma quindi in una favola del popolo progenitore degli attuali abitanti di Piacenza che nel territorio padano appartenente ai possedimenti ubicati nel nord ovest dell’emilia fece di questi posti e di questa città un centro ricco e rinomato. Ad assumere un ruolo primario nell’iniziativa è la Diocesi di Piacenza Bobbio, la quale è stata la promotrice, assieme al Comune, della ridefinizione del piano di calpestio della piazza per la riemersione delle fondamenta e delle antiche strutture nascoste sotto la superficie, una fra tutte le murature del Battistero. Comune e parrocchia, entrambi attenti agli aspetti culturale, scientifici e didattici collegati al progetto, oltre che turistici ovviamente, lavorano in sinergia affinché anche nella riprogrammazione archeologica del centro urbano rimangano saldi i due pilastri sociali che, in maniera del tutto caratteristica nel nostro Paese, hanno reso unica la nostra cultura, si tratta della sfera religiosa e di quella politica le quali, innestate simbolicamente nell’architettura, si intersecano e integrano mantenendo al giorno d’oggi una certa distanza per formare da secoli in modi più o meno rinnovati, la mentalità italiana.

L’epoca paleocristiana, rappresentata dagli antichi resti del Battistero risalente al V-VI secolo d.C., rinvenuto nel 1857 durante gli scavi di fondazione della Colonna dell’Immacolata, unico possedimento interno di Piazza Duomo dipendente dalla Diocesi, attualmente condotta dal vescovo Gianni Ambrosio, e non possedimento del Comune, situata al centro della piazza e delimitata da una cancellata metallica ottagonale, può ritrovare quindi il meritato posto all’interno della città, proprio nel centro storico di essa dal quale è rimasta sottratta per tanti, troppi anni, come se fosse stata una parentesi buia e vergognosa da dimenticare e che invece ha dato tanto al nostro Paese ed è finalmente stata riscoperta in ogni senso. Durante i lavori di scavo venne alla luce un grandioso pavimento romano a mosaico attribuito al II secolo d.C. di forma rettangolare e avente i lati di 10 X 7 metri. A quanto pare sembra che il Battistero fosse ancora in piedi verso il 934 d.C. e che il tempio fosse consacrato a Sant’Apollinare vescovo di Ravenna, successivamente lo stesso edificio venne abbattuto per far posto all’attuale Duomo o Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, già sede vescovile intorno al 1120. Sebbene i piacentini possano ammirare un battistero paleocristiano a vasca in marmo tutt’oggi conservato nella parte sinistra del transetto all’interno della cattedrale, che qui fu collocato intorno all’anno 1544 e proveniente dalla chiesa di San Giovanni de Domo, edificio di culto distrutto in quell’anno per ordine del cardinale legato pontificio Marino Grimani per lasciare spazio alla piazza della Cattedrale, sicuramente il rapporto che hanno con l’architettura e l’arte paleocristiana non è così sviluppata come potrà esserlo se il progetto di rinnovamento archeologico avrà effetto. Dalle scoperte e dal progetto risulta allora evidente come Piacenza, come la definiva Leonardo da Vinci, terra di passo, secondo quanto riportato dal sito ufficiale della città, anche se all’apparenza riservata, nasconde un cuore tutto da scoprire. Perciò, per quanto riguarda l’attuabilità dell’iniziativa, come sostenuto ulteriormente dall’amministrazione:
“La realizzazione del progetto sarà altresì l’occasione per riqualificare la pavimentazione di Piazza Duomo restituendole l’aspetto originario compromesso dalle manomissioni susseguitesi nella seconda metà del Novecento, e realizzare nuovi servizi e attività per la cittadinanza e i turisti”
I finanziamenti pubblici e privati il cui ammontare sarà stabilito sulla base di un controllo di fattibilità tecnica ed economica che serviranno per la realizzazione del progetto di scavo e ricostituzione della pavimentazione, al fine di ottimizzare le tempistiche di attuazione trovano nella Chiesa un primo e consistente contributo in termini di appoggio all’amministrazione nella ricerca degli interlocutori pubblici e privati, in maniera tale da non onerare troppo la municipalità nel reperimento dei fondi stessi.