Il tema della riforma della giustizia è uno degli aspetti più interessanti del dibattito politico. Difatti la tensione è davvero alta tra le forze politiche della maggioranza extra-large, che sostiene questo governo. Ma come si traduce l’impeto giustizialista dei cinquestelle nel programma di riforma? E quello del suo leader in pectore? Il buono che diventa giustiziere?
Conte, il buono che diventa giustiziere?
Dunque il Governo si appresta a cambiare il Paese. Ponendo mano al mercato del lavoro, alla scuola e alla giustizia. Ma parliamo della questione della riforma della giustizia. Quanto il nostro sistema giudiziario sia messo male è notissimo. Ci trasciniamo decenni di immobilismo o di riforme fatte male. Eppure accelerare una riforma che fra il resto ci viene imposta come condizione per i fondi UE sembra un’impresa titanica. Non c’è solo il tema di evitare una figuraccia al povero Bonafede in tempi in cui le manchevolezze del grillismo emergono ogni giorno. Ma come dice Draghi c’è sempre il problema delle bandierine. Però la contaddizione più grossa consiste nel fatto che tutti vogliono avere ragione da vendere. Chi parla, chi tace, chi urla, chi rivendica, chi annuisce. Chi CONTEsta, chi protesta, chi comanda, e chi ubbidisce. Una sorta quindi di cavallo di Troia al cui interno finiscono per mascherarsi esigenze le più disparate e spesso contrapposte.
Un formicaio impazzito
La partita sulla riforma della giustizia si gioca sulla prescrizione. Da una parte, ci sono i relitti delle follie grilline. Con Conte che come Edmond Dantès, il Conte di Montecristo che pareva caduto in disgrazia, ora invece sembra pronto per vendicarsi. Il buono che diventa giustiziere, quindi? Perchè se da un lato assume un atteggiamento costruttivo, dall’altro leva gli scudi sul nodo della prescrizione che la riforma Bonafede sospendeva dopo il primo grado di giudizio. E che il testo di Cartabia conferma. Ma con il meccanismo dell’improcedibilità trascorsi due anni per l’Appello e di uno per la Cassazione. Pertanto il M5s annuncia l’intenzione di presentare profonde modifiche o in alternativa di non votare il testo originario della riforma.
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