Oggi ricorre la Giornata Internazionale dell’Educazione in Carcere. Per l’occasione, abbiamo avuto il privilegio di intervistare il professor Simone Zacchini, docente di Storia della Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena e da anni impegnato nel campo dell’insegnamento nelle carceri, argomento sul quale ha scritto diversi testi.
Chi è il professor Simone Zacchini
Laureato in pedagogia nel 1995, nel 2003 Simone Zacchini prende il Dottorato in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane. Dal 2007 è Ricercatore in Storia della Filosofia presso l’Università di Siena. Si dedica in modo speciale allo studio della figura di Friedrich Nietzsche. Tra i suoi molteplici interessi, oltre alla filosofia, figurano la storia dell’arte e la musica (si diploma in pianoforte nel 1993).

Abbiamo avuto l’opportunità di porgli alcune domande
Quanto e perché è importante la formazione all’interno di un carcere?
Il carcere è un sistema non solo punitivo per i trasgressori, ma anche riabilitativo. Il tempo della pena è commisurato non solo al danno, ma anche al tempo necessario alla riabilitazione per tornare in società. Così la funzione del carcere è sostanzialmente rieducativa, fin da quando, a fine Settecento, il supplizio di tradizione medievale è stato sostituito dall’Istituzione Carceraria.
Come si svolge l’attività didattica all’interno di un carcere?
In carcere, le due fondamentali attività rieducative sono la scolarizzazione e l’insegnamento di un lavoro. Io ho svolto attività integrativa, con un progetto di filosofia.
I corsi sono volontari? Vi è molta affluenza?
I miei corsi sono volontari, ma partecipano sempre tutti.
C’è una differenza nell’apertura ai nuovi apprendimenti tra i detenuti più giovani e quelli più anziani? E tra uomini e donne?
Naturalmente, in carcere uomini e donne sono separati, e spesso in istituti differenti. Io ho svolto attività in una casa circondariale maschile.
Il suo lavoro è incentrato in special modo sulla filosofia. Come influisce lo studio delle materie umanistiche sulla visione della legalità (e della vita in generale) di detenuti ed ex detenuti?
Ha un impatto importante perché permette di incontrare un modo di pensare e vedere che era totalmente estraneo ai detenuti. Nessuno di loro aveva mai avuto l’opportunità di confrontarsi con certe tematiche e quindi li hanno sia incuriositi che affascinati.
Quanto è difficile per il docente “farsi accettare” da una fascia di studenti così particolare?
Dipende da come il docente si pone. Non si sopporta tanto volentieri un docente autoritario o arrogante, in un ambiente di privazione di libertà e di sorveglianza totale. Ho cercato di entrare nella loro voglia di mettersi in gioco e di cambiare. La mia attività è stata così accettata benissimo.
Quali prospettive si aprono alla persona che esce dal carcere? Quanto e come influisce la formazione nel futuro di un ex detenuto?
Dipende. La società intera dovrebbe frequentare corsi di filosofia e invito alla tolleranza. C’è però un atteggiamento di forte chiusura nei confronti degli ex detenuti. Io li invito a non farsi schiacciare dagli stereotipi e a cominciare una vita dove si è sempre soggetto delle proprie scelte e non oggetto del pregiudizio.
Tra i suoi campi d’interesse, oltre a storia dell’arte e filosofia, anche la musica ha una grande rilevanza. Adopera la musica nell’approccio all’insegnamento con i detenuti? Quanto e come può influire?
Tutte le arti contribuiscono. Anzi, siamo noi a vederle come settorializzate: in realtà, l’arte è unica ed ha la funzione non solo di meravigliare e piacere, ma anche di orientare diversamente il nostro modo di pensare. Per questo è determinante in tutti i contesti.