Giordania e Israele sembrano desiderosi di porre fine ad anni di tensioni, manifestatisi in incidenti diplomatici altrimenti evitabili. Eppure, per ripristinare la piena cooperazione c’è uno scoglio da superare: la questione palestinese. Nonostante i buoni propositi, per altro condivisi da entrambe le parti, ciò che avverrà in futuro tra lo Stato ebraico e il Regno Hascemita influenzerà (e sarà influenzato da) gli sviluppi a Gerusalemme. Nonché la creazione stessa di uno Stato di Palestina. Quindi, Israele riuscirà a riallacciare i rapporti con il Paese con cui condivide il suo confine più esteso?
Un incontro tra Giordania e Israele?
Domenica, Sua maestà il Re di Giordania Abdullah II ha rivelato di aver incontrato in segreto alcuni politici israeliani. Tra cui il neo Premier israeliano, Naftali Bennett, all’inizio di questo mese. Nonché il ministro della Difesa Benny Gantz, già qualche settimana dopo la formazione del governo del cambiamento. Secondo i rapporti dei media israeliani, la serie di incontri prelude ai viaggi a Washington delle rispettive delegazioni, israeliana e giordana, che si terranno entro la fine dell’estate. Con un atteggiamento appena irrigidito dall’etichetta e dalla carica, il monarca del Regno Hascemita ha espresso il proprio ottimismo a Fareed Zakaria, giornalista della CNN, in merito a una prossima riconciliazione tra i due Paesi. A tal proposito, il primo test riguarderà proprio un accordo sulle risorse idriche, discusso nei giorni scorsi tra Bennett e Abdullah II nel palazzo reale di Amman.
Ripartire
In base all’accordo, Israele prevede di vendere 50 milioni di metri cubi di acqua alla Giordania. Una cessione, pensata come una tantum, che aumenterebbe l’assegnazione annuale di 55 milioni di metri cubi stabiliti dal trattato di pace del 1994. La Giordania è uno dei paesi più poveri d’acqua al mondo che quest’anno affronta una grave siccità, stimata in 40 milioni di metri cubi. In passato, il regno era solito fare affidamento sulle riserve di Israele per le forniture idriche, essenziali per l’uso agricolo e domestico. Nonostante l’ufficio del Premier non abbia rilasciato dichiarazioni in merito, durante la sua visita in Giordania il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha spiegato che “Il Regno di Giordania è vicino e partner dello Stato di Israele“. “Il ministero degli Esteri continuerà a mantenere un dialogo continuo al fine di preservare e rafforzare tale relazione“, ha precisato il ministro.
Intenti tra Giordania e Israele
E ancora. “Espanderemo la cooperazione economica a beneficio di entrambi i paesi“, ha aggiunto Lapid. In proposito, lo Stratfor Center for Strategic Studies, con sede negli Stati Uniti, ritiene che “la Giordania e Israele stiano adottando misure attive per migliorare le loro relazioni bilaterali”. Eppure, non sfugge che negli ultimi anni i rapporti tra Giordania e Israele si siano incrinati. In questo senso, “Le profonde radici di Amman in Cisgiordania significano che la durata del riavvicinamento dipenderà dalla politica israeliana nei territori palestinesi“. Inoltre, per il Centro di ricerche il fatto che gli incontri si siano tenuti a porte chiuse di Bennett rappresenta “un’ulteriore indicazione delle tensioni tra i due paesi”. Se non altro, la visita clandestina di Bennett sarà valsa a rompere il ghiaccio.
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Crisi tra Giordania e Israele
In effetti, i rapporti tra Giordania e Israele, già incrinati, si sono deteriorati negli ultimi due anni. Principalmente a causa delle relazioni instaurate dall’ex Primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. “I giordani non sono particolarmente contenti di Netanyahu e non lo sono da molto tempo“, spiegava Joshua Krasna. Un esperto di Medio Oriente presso il Centro Moshe Dayan dell’Università di Tel Aviv. In proposito, nel 2019 il re di Giordania Abdullah II aveva dichiarato che le relazioni con lo Stato ebraico fossero “ai minimi storici”. Specialmente dopo una serie di incidenti diplomatici che avevano spinto Amman a richiamare il proprio ambasciatore in Israele. Oltre che a chiudere la sede diplomatica. Infine, l’arresto di due cittadini giordani per terrorismo da parte di Israele aveva provocato l’ennesimo alterco. In quel periodo, il Regno sospese gli accordi speciali che riconoscevano alcune agevolazioni agli agricoltori israeliani in Giordania.
Sedotta e abbandonata
A ben vedere, la Giordania è insoddisfatta della piega che ha assunto la sua relazione con Israele. Abbagliato dalla normalizzazione dei rapporti con le monarchie del petrolio, i cosiddetti Accordi di Abramo, lo Stato ebraico ha dimenticato il suo partner storico. O, quanto meno, lo ha dato per scontato. A ragione, Krasna ha paragonato la situazione alla gelosia che prova “la moglie verso la nuova amante”. “Da un giorno all’atro, Israele parla delle meravigliose relazioni e delle meravigliose opportunità che ha con gli Emirati Arabi Uniti, e che ha con il Bahrain e forse con altri stati“, ha commentato Krasna con un accenno di biasimo. D’emblée, le autorità sioniste avrebbero cancellato anni e anni di relazioni politiche. Con un gesto di spugna. Proprio per questo, sosteneva Krasna, “I giordani e gli egiziani si sentono esclusi due volte“. Oltretutto, entrambi “Hanno pagato un prezzo alto quando hanno concluso i trattati di pace con Israele”, ha ribadito l’esperto.
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Dilemma
Eppure, per la Giordania non c’è via di scampo. Pubblicamente, Amman può solo che elogiare la ripresa del dialogo in Medio Oriente. E, di conseguenza, i patti firmati nel 2020 sotto la supervisione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tuttavia, i rapporti altalenanti degli ultimi due anni hanno impresso alla Giordania la sensazione di essere una pedina nelle mani di Israele. Sebbene condividano i medesimi interessi di sicurezza, e da molto tempo, le relazioni politiche tra i due Paesi non hanno resistito alle recenti violazioni israeliane nei confronti dei palestinesi. Ma c’è di più. Sullo sfondo emergono altre due questioni, altrettanto delicate. Da una parte, l’accordo di annessione della Cisgiordania. La sponda occidentale del fiume Giordano che in inglese prende il nome di West Bank. Quel progetto aveva ricevuto la benedizione nella Sala Est della Casa Bianca. Come c’era da aspettarsi, visto che gli Usa si schierano al fianco di Israele da prima degli accordi di Camp David. Dall’altra, la contesa per Gerusalemme Est, dove si trova il Monte del Tempio. Il terzo luogo sacro dell’Islam che ospita la Spianata delle Moschee. Tra cui Al Aqsa. Ma procediamo con ordine.
Wadi Araba
Israele ha rivendicato il Monte del Tempio e la Città Vecchia di Gerusalemme nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. Da allora, lo Stato ebraico ha esteso in maniera progressiva e costante la propria sovranità sull’area, violando lo status quo riconosciutole a livello internazionale. Tuttavia, ha permesso al Waqf giordano di mantenere l’autorità religiosa sulla sommità del Monte. Un luogo sacro che i fedeli ebrei possono visitare. Ma cui è interdetto svolgere funzioni religiose e pregare. Così, la Giordania ne divenne custode. Mentre il suo ruolo veniva sancito dallo storico accordo di pace israelo-giordano del 1994. Questo fino alle aspirazioni espansionistiche di Benjamin Netanyahu. L’obiettivo era annettere parte delle Terre palestinesi della Cisgiordania, tra cui la Valle del Giordano. Una territorio che, secondo le stime, ospita dai 50.000 ai 65.000 palestinesi che non riceverebbero la cittadinanza israeliana. Al contrario, “rimarranno come enclavi palestinesi“, spiegava l’ex Premier al quotidiano conservatore Israel Hayom.
Un progetto ambizioso
All’agenzia di destra Makor Rishon, Netanyahu aveva detto di ritenere improbabile che la Giordania avrebbe annullato il trattato di pace. Anche qualora Israele avesse portato avanti il suo programma di annessioni. Inoltre, il leader di Likud aveva affermato che qualsiasi blocco della costruzione di insediamenti come parte del piano di Trump sarebbe stato applicato anche ai palestinesi nell’Area C, che è controllata da Israele. Tuttavia, il Re Giordano si era opposto pubblicamente a quell’operazione fortemente voluta dal leader israeliano. A maggior ragione perché la considerava come uno stratagemma politico per acquisire consensi in vista delle elezioni. Dal canto suo, Netanyahu prometteva di “preservare la possibilità di pace”. Prima di aggiungere che gli Usa avevano approvato l’annessione di aree palestinesi che, secondo il piano, rimarrebbero sotto il controllo israeliano. Come a dire: oltre al danno, la beffa.
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Il calderone “Medio Oriente”
Mentre continuano le proteste contro l’annessione in Cisgiordania, Amman deve fare i conti con gli attriti nel sud della Siria. Lì, le sfide sono con la Russia e l’Iran. Ma anche con la minaccia dello Stato islamico dell’Iraq e di al-Sham (ISIS), nonché con gli Stati del Golfo a sud. Oltretutto, la Giordania è un fulcro di sicurezza per CENTCOM, che ospita l’esercitazione annuale di Eager Lion guidata dagli Usa. E supporta Tanf, una base statunitense in Siria, al confine nord-orientale con la Giordania. In questo contesto, l’annessione di Israele getta un’ombra su una serie di questioni a Est del fiume Giordano. Tanto che il Regno hashemita camminerà sul filo nei suoi rapporti politici con Israele. Senza contare l’isterismo sionista per il programma nucleare di Teheran. “Sappiamo che i colloqui di Vienna saranno rinviati fino a quando non si insedierà questo nuovo governo in Iran“, ha ricordato Abdullah. “Ho la sensazione che la posizione americana e quella iraniana siano alquanto distanti“, ha osservato. Infine, ha detto: “Speriamo che questi colloqui ci portino in una posizione migliore in cui possiamo calmare la regione perché abbiamo così tante sfide“.
Il futuro tra Giordania e Israele
Ora, però, è tempo di cambiamento. Almeno, questa è la dichiarazione d’intenti dell’eterogenea coalizione di governo in Israele. La quale riunisce non solo i partiti di destra e di centro. Ma anche le fazioni islamiste. Consapevole degli attriti che in passato hanno segnato il dialogo con l’ex Primo ministro Netanyahu, Zakaria ha voluto approfondire la questione. In maniera educata, ma pur sempre con fermezza, il giornalista indiano naturalizzato statunitense ha chiesto a Re Abdullah II la sua opinione circa il nuovo governo israeliano. In particolare, rispetto al progetto di annessione dei Territori Palestinesi. Volendo infierire, Zakaria ha ricordato a Sua Maestà una provocazione dell’allora Primo ministro Benjamin Netanyahu. Il quale alludeva alla presenza palestinese in Giordania.
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Rifugiati
I primi cittadini palestinesi erano giunti nel regno con lo status di rifugiato tra il 1947 e il 1967. Oggi, la maggior parte dei loro discendenti è naturalizzata. Il che rende la Giordania l’unico paese arabo ad aver integrato i rifugiati palestinesi del 1948. Pur in assenza di dati ufficiali, l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione) stima che nel 2016 dei quasi 6 milioni di rifugiati almeno 2 milioni si trovino in Giordania. Talvolta, la definizione include cittadini giordani con origine palestinese. Cifre alla mano, si tratta di circa un terzo del totale. Dal 2014, quasi 4 milioni di palestinesi si dividono dieci campi profughi, il più grande dei quali è quello di Baqa’a, che ospita oltre 100 mila persone. Cui segue quello di Amman New Camp (Wihdat), con oltre 5o mila residenti. Pr lo più, i palestinesi si concentrano nel nord e nel centro del regno. In particolare nei governatorati di Amman, di Zarqa e di Irbid. Mentre la restante parte vive in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est occupata. Ma anche nella Striscia di Gaza, in Libano e Siria.
La dichiarazione
“La Giordania resta la Giordania“. Così risponde Re Abdullah II alla cortese imbeccata. Prima di aggiungere che, sebbene vanti una società multietnica, il Regno non sia il terreno per uno Stato di Palestina. “I palestinesi non vogliono abitare in Giordania“, precisa il monarca. Piuttosto, “Desiderano la loro Terra, la propria squadra calcistica, la propria bandiera che sventola sulle loro case“. Per Abdullah II la creazione di due Stati indipendenti rimane l’unica soluzione possibile. Al giornalista della CNN spiega: “Venendo negli Stati Uniti come, penso, il primo leader da quella parte del mondo, era importante unificare i messaggi perché le sfide sono numerose“. “Era importante per me non solo incontrare la dirigenza palestinese dopo la guerra, che ho fatto con Abu Mazen (il presidente palestinese Mahmoud Abbas, ndr)“, spiega il monarca. E prosegue. “Ho incontrato il primo ministro. Ho incontrato il generale Gantz perché dobbiamo davvero riportare la gente al tavolo“.
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Questione palestinese
Secondo il Re di Giordania, i violenti disordini arabo-ebraici in Israele durante il suo più recente conflitto con Hamas sono stati una “guerra civile”, dovrebbero servire da monito. In particolare, il re ritiene che la recente escalation di 11 giorni tra Israele e Hamas “era diverso”. “Dal 1948, questa è stata la prima volta che ho sentito che una guerra civile è avvenuta in Israele“. Lo ha detto riferendosi agli scontri tra ebrei e musulmani israeliani, avvenuti durante il conflitto. “E penso che sia stato un campanello d’allarme per il popolo di Israele e il popolo palestinese, che se non andiamo avanti, a meno che non diamo speranza ai palestinesi“. E profetizza: “La prossima guerra sarà ancora più dannosa”. A ben vedere, parte del problema è dato dai numerosi attori che, da dietro le quinte, cercano di muovere i fili a proprio vantaggio. In questo senso, non sarà da sottovalutare la contesa per il controllo di Gerusalemme. In particolare, della Moschea di Al Aqsa.
La Città Santa
Nel 2019, Re Abdullah II ha riferito di aver ricevuto pressioni per rinunciare al suo ruolo storico di custode dei luoghi santi di Gerusalemme. Eppure, il sovrano ha promesso che continuerà a proteggere i luoghi santi islamici e cristiani della Città Santa, quale prerogativa per il suo paese. Secondo gli analisti, l’Arabia Saudita sarebbe interessata ad assumersi la responsabilità del Monte del Tempio e delle moschee all’interno del complesso. Come si ricorderà, l’Arabia Saudita è già custode dei due luoghi musulmani più sacri: la Mecca e di Medina, entrambi all’interno del suo territorio.
Il centro di tutto
A tal riguardo, nel gennaio 2018, l’allora leader dell’opposizione Isaac Herzog aveva suggerito che l’Arabia Saudita avrebbe svolto un ruolo chiave a Gerusalemme. Anche proponendosi quale mediatore di un qualsiasi accordo di pace tra Israele e palestinesi. Come ha osservato Krasna, però, i sauditi “Sono in competizione con altri giocatori della regione“. In particolare, “L’Autorità Palestinese cerca costantemente di aumentare la sua influenza sul Monte del Tempio“. Mentre “I turchi cercano costantemente di aumentare la loro influenza“.
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