Il piano cartesiano è formato da due linee: quella delle ascisse e quella delle ordinate. Esse appaiano comunemente come separate, eppure, talvolta si uniscono. O meglio, s’intersecano. Ciò significa che le due linee mettono in comune alcuni dei loro elementi. Qualche componente delle ordinate, durante un’intersezione diventa anche parte delle ascisse. E viceversa.
Anche all’interno della nostra società, spesso avvengono delle intersezioni. La loro unione genera ricchezza, forza aggiuntiva. Quando determinate categorie di persone cominciano a includerne altre, ecco che un nuovo pezzo di storia comincia a prendere vita. Questo è ciò che ha fatto e fa tuttora il femminismo intersezionale.
Prima del femminismo intersezionale
Quando si parla di femminismo, spesso la nostra mente associa a questo termine la figura femminile. Eppure, il suo significato va molto al di là di quest’ultima. Il femminismo nasce come movimento storico atto all’emancipazione della donna, in quanto ancora vincolata in tutto e per tutto dall’uomo. Dunque, si tratta di eguagliare il genere femminile e quello maschile, battaglia che combattiamo ancora oggi.
A dimostrazione di ciò, dobbiamo fare un salto nel passato, nel secondo dopoguerra italiano. E’ proprio in questo periodo che le donne cominciano a prendere coscienza di loro stesse, della loro essenza. L’importanza di ciò risiede nel fatto che le femmine si accorgono che l’essere state riconosciute dal punto di vista legale, non è comunque sinonimo di totale libertà. La visione della donna, a quell’epoca, era ancora estremamente legata a una serie di problemi e stereotipi di genere.
Le signore potevano lavorare, ma di certo non aspirare a una carriera al pari di un signore. Questo anche perché, la donna, quella considerata “per bene“, doveva comunque rispettare i ruoli che la società aveva prestabilito per lei: essere moglie e madre.
La scelta opposta, dunque quella di non sposarsi e-o non avere figlie, era a malapena considerata, e comunque sempre vista con disdegno.
Per non parlare di tutti i casi di violenza contro le donne ancora troppo spesso taciuti e giustificati.
Dunque, possiamo parlare di una libertà femminile a metà, ancora bisognosa di sviluppi.
L’alba della rivoluzione
Gli anni novanta del ventunesimo secolo, segnano l’inizio della terza ondata femminista. Da qui, qualcosa comincia a cambiare. Una nuova consapevolezza è nell’aria. Ci si rende conto che fino a quel momento il femminismo ha sempre parlato esclusivamente per le donne, accanto alle donne. E non solo. Si trattava solo di un certo tipo di donne: occidentali, bianche, in salute, benestanti.
Dunque, vi era un’urgente necessità d’inclusione. Era tempo di parlare per tutte quelle donne le quali voci vengono ulteriormente oppresse a causa di varie caratteristiche personali, quali l’orientamento sessuale, le origini, la cultura d’appartenenza, il proprio stato di salute e altre ancora.
Era ora di ascoltare e farsi ascoltare. Proprio per questo, oltre ad altre categorie femminili, durante quest’epoca anche molti uomini prendono parte al movimento femminista.
Femminismo intersezionale, non separatista
Includere salva la vita
Abbiamo appena appreso il significato del verbo includere. Vi è però un altra visione, più profonda e di certo degna di nota, che vale la pena menzionare. Perché, le femministe degli anni novanta hanno deciso di rendere il loro movimento intersezionale? Perché si sono rese conto di essere in realtà parecchio privilegiate rispetto a tante altre persone.
Attraverso un esercizio di consapevolezza, possiamo capire il loro punto di vista. Se abbiamo a disposizione un tetto sulla testa, acqua e cibo siamo già più fortunati di più della metà della popolazione mondiale. Se siamo nati in un paese nel quale i diritti umani fondamentali sono riconosciuti, lo siamo ancora di più. Godiamo di buona salute? Anche questa è una grande fortuna, tutt’altro che scontata. Guardando alcuni aspetti più personali: se il colore della nostra pelle, il nostro orientamento sessuale, il nostro credo religioso o la nostra origine non rappresentano una comune fonte di discriminazione, dobbiamo riconoscere ancora una volta il nostro vantaggio.
Vi è però un altro aspetto da tenere a mente: i privilegi non sono un merito. Il valore di una persona non si determina in base alle sue caratteristiche. I privilegi, inoltre, non si scelgono. Semplicemente, capitano. Nessuno sceglie il paese di nascita, l’orientamento sessuale, il colore della pelle, e così via.
Ciò che invece dovremmo tutti scegliere, è di utilizzare i nostri privilegi per difendere chi ne ha meno di noi. Certo, non esiste una sola persona senza problemi, e nessuna problematica è da considerarsi screditabile. Dovremmo però riconoscere i nostri punti di forza innati e sentirci in dovere di metterli a disposizione di chi ne ha bisogno.
Ecco che allora il cosiddetto femminismo della quinta ondata femminista potrà dirsi compiuto. Ecco che l’essere umano potrà definirsi, in tutto e per tutto, umano.