domenica, Aprile 20, 2025

“Da eroi a nuovi schiavi”, la trincea degli operatori della GDO non allenta

Combattono in prima linea, al pari di medici ed infermieri. Ogni giorno convivono con la paura di portare a casa il virus. Costretti a turni più lunghi del previsto, pause insufficienti per scaricare l’ansia del contagio e lo stress delle protezioni.

Quei lavoratori che trovate nei supermercati – scrive Francesco Iacovone, sindacalista dei Cobas Lavoro privato – oltre ad essere esposti ad un rischio gravissimo, non sono preparati psicologicamente ad affrontare tutto questo. Non hanno il pelo sullo stomaco degli eroi della sanità”.

Sono gli operatori della grande distribuzione organizzata. Padri e madri di famiglia che, ogni giorno rischiano in prima persona. Per loro non esiste la fase 2.

Hanno continuato a lavorare senza tregua, anche durante il momento del picco del virus. In un Paese bloccato dall’avanzare di un nemico invisibile, hanno continuato la loro guerra in prima linea. Insieme ai soldati della sanità, dei trasporti, della protezione civile e delle forze dell’ordine, ci hanno garantito servizi essenziali.

Di loro se ne è parlato. Ma, forse, non abbastanza.

 “Abbiamo continuato incessantemente a lavorare con il pericolo di contrarre il Covid (come in alcuni casi è accaduto) e di portarlo all’interno delle nostre famiglie. Siamo stati pubblicamente ringraziati dal premier Conte e trattati quasi da eroi, ma ora ci sentiamo i nuovi schiavi. Costretti a lavorare dalle 7,30 alle 22. Quando nel punto vendita dentro il quale lavoro l’orario era 8,00/20,30”.

È l’accorato sfogo di una cassiera romana. Una donna di 45 anni, una madre che ogni mese, come tanti italiani, tenta di arrivare a fine mese. Un grido d’aiuto, taciuto a lungo. Che esplode dopo la notizia dell’ordinanza del governatore della regione Lazio, Nicola Zingaretti, che ripristina, nel Lazio, gli orari pre lockdwn di apertura e chiusura dei supermercati.

Pur non avendo mai interrotto il servizio, neanche nel periodo di maggior rischio dell’epidemia – continua la cassiera – quando ancora non vi erano entrate contingentate, né presidi sanitari per proteggerci. Ci troviamo ora costretti a fronteggiare addirittura un ampliamento degli orari lavorativi“.

L’ordinanza del 30 aprile a firma del presidente Nicola Zingaretti dispone l’apertura dei negozi fino alle 21,30. Allungando di fatto di due ore e mezzo l’orario previsto nella precedente ordinanza regionale”, comunica sul suo sito l’Unione Sindacale di Base (USB).

La precedente ordinanza fissava alle 19,00 la chiusura dei supermercati dal lunedì al sabato, domenica porte chiuse alle 15,00. Una soluzione che poco è piaciuta alla sindaca di Roma Virginia Raggi, che ha chiesto a Zingaretti il ripristino degli orari precedenti per evitare assembramenti.

Probabilmente, anche adesso, poco vale il dietrofront della sindaca stessa, che, pochi giorni dopo l’ultima ordinanza del governatore del Lazio, con una nuova un’ordinanza disciplina ancora una volta gli orari. Almeno per quanto riguarda Roma.

La fase 2 del commercio capitolino prevede aperture scaglionate, con tre fasce d’orario diversificate per tipologia di esercizio. L’obiettivo sarebbe quello di scaglionare quanto più possibile le aperture per evitare le ore di punta.

Dal 18 maggio al 21 giugno i commercianti della capitale dovranno rispettare delle fasce orarie prestabilite.

Alimentari, fornai, pasticcerie e supermercati dal lunedì al sabato apriranno alle 8 e potranno chiudere tra le 19 e le 21,30. Per quanto riguarda la domenica, gli orari di tutti i negozi sono fissi: si aprirà alle 8,30 e si chiuderà alle ore 15 (supermercati compresi).

Lasciando, di fatto, dal lunedì al sabato, la scelta dell’orario in cui abbassare le saracinesche ai vari punti vendita. Potranno decidere di chiudere alle 19, così come è stato imposto durante il blocco, o anche alle 21,30.

Ci chiediamo non solo a cosa serva quest’ampliamento dell’orario, considerato che il servizio non è mai stato sospeso. Non vi è affatto necessità di un riapprovviggionamento, piuttosto – sottolinea la cassiera – non potrebbe essere deleterio per il controllo della situazione sanitaria?”

Quelle due ore concesse fino ad una settimana fa, con la chiusura forzata alle 19, hanno rappresentato per gli addetti alle vendite, cassieri, magazzinieri, un momento per recuperare le forze. Non tanto le forze fisiche, con il contingentamento il lavoro in qualche modo si è rallentato. Piuttosto le forze mentali, messe a dura prova dalla paura del contagio e dalla gestione, spesso “indisciplinata” dei clienti.

Il fatto di uscire alle 19 ci dava la possibilità di recuperare le forze mentali, non tanto quelle fisiche, visto che il lavoro era rallentato. Era per noi un’occasione per tirare il fiato”, racconta la rappresentante di categoria di un punto vendita romano UniCoop.

Siamo stati sempre là – sottolinea – con una certa dignità e la coscienza di andare a lavoro. Per garantire un servizio essenziale in un momento di emergenza”.

Nascosti dietro le mascherine, lo sguardo pesante, il respiro corto per la stanchezza e la paura. Sulle loro spalle, ogni giorno, il carico di un’emergenza da gestire. Consapevoli di un pericolo ancora presente, si chiedono quando potranno fermarsi un attimo anche loro.

La crisi economica generata dal lockdown ha colpito quasi tutti i settori, tranne la grande distribuzione. Dopo la folle corsa ai supermercati all’alba del primo dpcm, gli afflussi non sono diminuiti. Tutt’altro. Nonostante le rassicurazioni del governo sul fatto che i supermercati sarebbero stati riforniti con costanza. Code di un’ora, anche due per fare la spesa, continuano senza tregua. Oggi, più o meno negli stessi orari. La fascia serale al momento non sembra coinvolta da grandi flussi di gente, anzi.

Se dopo le 20 ci portassimo un mazzo di carte, probabilmente sarebbe meglio”, sottolinea una dipendente di una nota catena capitolina.

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Con quale spirito la categoria della grande distribuzione affronta questa nuova fase?

Continuando ad avere paura, ne abbiamo avuta, tanta, e continuiamo ad averla. L’emergenza non è ancora finita”, queste le parole di una donna, 40 anni, madre di due bambine, che lavora a Roma all’interno di un punto vendita Coop.

La gente continua a venire al supermercato più volte al giorno, anche solo per comprare due rosette – spiega – Non capisco come si possa aver voglia di farsi una, anche due ore di fila per comprare due cose”.

Temo che quest’allungamento dell’orario possa offrire solo un pretesto per uscire di più”, conclude.

La categoria degli operatori del commercio e della grande distribuzione organizzata è una delle più esposte al contagio, per via del contatto diretto e obbligato con il pubblico.

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La gente purtroppo, mi dispiace dirlo, ha preso la spesa come un pretesto per uscire da casa. Capisco la noia, capisco che l’isolamento può essere pesante. Ma abbiamo clienti che vengono al supermercato anche due volte al giorno, spesso per comprare fiori o cancelleria”, racconta un’addetta di un ipermercato Auchan di Roma.

Sicuramente, in questo momento, avranno dato sfogo a quelle che sono le loro passioni, non mi permetto di giudicare. Però – sottolinea – quasi nessuno è venuto a fare la spesa una volta a settimana”.

Per fortuna da noi, da adesso, c’è l’obbligo di entrare nell’ipermercato con la mascherina – continua – ma abbiamo avuto gente che è entrata nell’ipermercato senza protezioni. Così come abbiamo avuto intere famiglie, anche con bambini, nonostante le disposizioni prevedevano un membro per volta”.

Forse l’allungamento degli orari di chiusura può essere utile per chi ha ripreso a lavorare. Ma c’è il sabato o la domenica. Noi non abbiamo mai chiuso la domenica, solo i festivi. Io ho paura che ne approfitterà solo chi ha voglia di farsi una passeggiata anche la sera”, conclude.

Ad aggiungere ulteriore stress, ad una situazione già pesante, la quotidiana lotta con clienti che, nonostante il bombardamento mediatico, nonostante i vari dpcm, si ostinano a non rispettare distanze di sicurezza o indossare mascherina e guanti.

Dopo due mesi e mezzo non si fa altro che pregare i clienti di mantenere il metro di distanza. Noi lo facciamo con gentilezza, umiltà, spesso però veniamo mandati a quel paese solo per questo”, racconta un’addetta al reparto panetteria.

La sociologa Annalisa Dordona, autrice di “Sempre Aperto, lavorare su turni 24/7”, sottolinea come chi lavora ogni giorno nei luoghi di consumo è esposto ad una doppia condizione di alienazione.

Da un lato la difficoltà di organizzazione dei tempi, spesso da coniugare con le esigenze della famiglia e dei figli.

Dall’altro la “sensazione di estraniamento da se stessi causato dal carattere emozionale delle relazioni con la clientela”.

L’addetto vendita non è solo una persona al nostro servizio, è un essere umano con bisogni biologici, necessità fisiche”, spiega l’autrice.

Una sensazione che il frangente attuale ha in qualche modo accentuato.

Spesso i clienti arrivano alle casse già con la mascherina abbassata. Ci dicono che sono stanchi dopo averla tenuta su per tutto il tempo della spesa. Non capiscono che devono proteggere anche noi”, lamenta una cassiera di un noto supermercato della capitale.

Quando i bar erano completamente chiusi – continua la cassiera – abbiamo avuto gente che veniva da noi solo per prendere il caffè al distributore”.

La paura del contagio per gli operatori della grande distribuzione non accenna a calare. Anzi, adesso ne hanno più di prima. Loro, che non si sono mai fermati, temono che l’allungamento dell’orario possa essere un ulteriore pretesto per “uscire da casa”.

Speriamo finisca presto. Abbiamo vissuto momenti orribili. Eravamo tesi, nervosi. Nonostante tutto dovevamo mantenere un certo controllo. Per chi lavora a contatto con il pubblico è fondamentale. Anche se la gente spesso ci ha trattati veramente male, è stato veramente brutto“, racconta una dipendente Carrefour.

Si sentono l’ultimo anello della catena, non considerati tra le fasce ad alto rischio secondo la tabella pubblicata dall’Inail.

Temono che questo allentamento nell’orario possa trasmettere un messaggio sbagliato.

È il messaggio che potrebbe arrivare che mi preoccupa. La gente potrebbe pensare che sia tornato tutto alla normalità. Ma non è così, il pericolo ancora esiste”, spiega un dipendente Conad.

Si pone inoltre il problema pratico di chi raggiunge il posto di lavoro con i mezzi pubblici. Che in una città come Roma potrebbe richiedere anche due ore. Tempi che il contingentamento dei mezzi stessi potrebbe allungare.

Uscire dal posto di lavoro alle 21,30, significherebbe, per chi si avvale del trasporto pubblico, arrivare a casa anche due ore dopo.

Ma la paura di perdere il lavoro è più forte del timore di contrarre il virus

Parliamo di una categoria sfruttata da tempo. Con il Covid molti hanno paura di essere licenziati. Le aziende del commercio stanno come falchi”, spiega Francesca Pulice, sindacalista per la Federazione USB del commercio pubblico e privato di Roma e Provincia.

Temono ripercussioni lavorative, per questo non si espongono, chiedono l’anonimato.

Le loro frustrazioni e lamentele trovano, più facilmente, sfogo sui social. Ci sono stati casi, ahimè, come la sindacalista stessa ci ha confermato, di lavoratori che hanno subito ripercussioni sul posto di lavoro, anche un per un post dai toni accesi.

Nonostante il coronavirus non guardano in faccia nessuno. Siamo trattati come bestie, come somari e veniamo addirittura offesi e trattati da schifo dai clienti“. Il post di un utente su un gruppo di categoria su Facebook.

Le più penalizzate, spiega Francesca Pulice, molto sensibile alla questione femminile, sono donne non più giovanissime, per lo più madri. Costrette a prendere il part time. Donne che faticano ad arrivare a fine mese.

Nessun preavviso sugli orari dei turni. Giorni di riposo ballerini.

La logica del profitto, sottolinea Francesca Pulice, non ha permesso di assumere più personale. Caricando ancora di più le spalle di lavoratori flessibili. Con turni più lunghi. Maggior carico di lavoro. Maggiore ansia.

Lavoratori che si sono dovuti reinventare in mansioni che non gli appartengono, come le consegne degli ordini online.

Prima dell’emergenza i fornitori ci aiutavamo a scaricare la merce e portarla dentro il negozio. Adesso lasciano tutto fuori, per questioni di sicurezza. Dobbiamo pensarci noi“, racconta una dipendente di un supermercato nella zona est di Roma.

L’USB ha esortato il governo ad effettuare i tamponi anche ai lavoratori del Commercio.

Solo dopo molte denunce, nel picco della pandemia, sono state garantite nei supermercati le misure di protezione minime per ridurre il rischio di contagio.

Sono centinaia i lavoratori del settore ammalatisi a causa di ritardi e mancanze in fatto di salute e sicurezza, denuncia l’USB. In alcuni casi, addirittura le catene commerciali hanno omesso di segnalare alle Asl presunti soggetti positivi. Sostituendoli con dipendenti fuori sede o richiamati forzatamente dalle ferie.

Ormai la mascherina è obbligatoria, per addetti ai lavori e clienti. Prima del lockdown alcune catene hanno addirittura vietato l’utilizzo della mascherina, temevano un danno di immagine o di spaventare i clienti.

Nonostante il virus fosse già una realtà concreta nel nostro Paese. E con esso il timore di ammalarsi.

Con il blocco del 9 marzo è sorto il problema della reperibilità dei dispositivi di sicurezza. Diversi operatori del settore hanno dovuto indossare la stessa mascherina per 3/4 giorni, o addirittura senza.

Oggi, fortunatamente, almeno la mascherina e i guanti sono garantiti.

A breve – annuncia la sindacalista Francesca Pulicelanceremo una campagna in cui il focus importante sarà la questione sicurezza sul posto di lavoro e l’abbassamento orario a parità di salario”.

Un tema quello della sicurezza, oggi ancora più attuale, ma vivo da tempo.

Inoltre, la sindacalista stessa, ricorda come oggi un addetto medio del commercio, con il suo salario, non arriva a fine mese.

L’Unione Sindacale di Base è un’organizzazione per milioni di lavoratori. Nata nel 2010 dalla fusione di RDB (Rappresentanze Sindacali di Base) e SdL (Sindacato dei Lavoratori), due storiche sigle del sindacalismo conflittuale ed indipendente presenti da decenni in Italia.

Da anni in prima linea nella lotta per i diritti dei lavoratori, soprattutto in materia di sicurezza.

In questo periodo di emergenza sanitaria le richieste d’aiuto all’USB da parte degli operatori della GDO sono, in media, molte di più.

Ci sono state punte di 20-30 lavoratori (nuovi, non iscritti) a settimana che chiedevano informazioni. Ora un po’ meno. Questa settimana io personalmente sono stata contattata da 6 lavoratori nuovi. Poi non sempre si inizia un percorso, ma le richieste di supporto ci sono”, conclude la sindacalista.

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