Vendette “annunciate” nei propri profili social, violenza verbale, cyber terrorismo, cyberstalking, bullismo, suicidi, sono episodi che sono stati definiti ed etichettati subito dai media come “violenza virtuale”.
Queste continue narrazioni del sociale rivelano l’urgenza di ri-definire e descrivere correttamente fenomeni devianti e criminali che si verificano in Rete, spazio socio-virtuale all’interno del quale si annullano dimensione privata e confini spazio-temporali ed è in questo modo, che si triplica l’effetto della natura violenta dell’azione e la devastazione psico-emotiva di chi ne rimane vittima.
La cyber-violenza fa riferimento ad azioni aggressive ed intenzionali, eseguite, attraverso strumenti elettronici (sms, mms, immagini, foto o video clips, chiamate telefoniche, email, chat rooms, istant messaging, siti web, offensivi e molesti), da una persona singola o da un gruppo, che mirano deliberatamente a far male o a danneggiare un’altro/altra che non può difendersi, spesso perché inizialmente inconsapevole e incapace di gestire emotivamente e psicologicamente il problema. Azioni criminali, spesso dietro l’anonimato, che sfruttano il potenziale della Rete e che si nutrono di pregiudizi razziali, politici sulla base dello stile di vita, delle scelte, dell’aspetto fisico della vittima.
L’ultimo report di Un women pubblicato nel 2015/2016 parla di 9 milioni di vittime, nella maggior parte donne, di età compresa tra i 18 e i 24 anni. La rete non ha modificato l’essenza delle azioni violente ,ne ha cambiato però, la persistenza e l’amplificazione.
“Spesso non si sa di avere in mano uno strumento potentissimo per far circolare informazioni che restano nel tempo e producono danni reali, non virtuali” spiega Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica.“ “Prima le vittime erano solo le persone in vista o di una minoranza, oggi cresce l’odio interpersonale, che può colpire chiunque: dal compagno di classe alla vicina di casa, dal collega all’ex fidanzato” aggiunge il professore.
Ogni azione come like, post, tweet in Rete , lascia delle “tracce del nostro Sè”, frammenti della nostra identità , a nostra insaputa che non possiamo controllare e dunque cancellare
È quello che il sociologo De Kerchkove definisce “inconscio digitale”.Tale fenomeno rappresenta oggi la quotidianità e quindi ogni aspetto della vita sociale e ciò può generare invidia e trasformare un semplice utente in una cyber vittima del tutto inconsapevole. E nell’era digitale , della cultura della partecipazione e della condivisione, dove il concetto di privacy e di pubblico a fatica, anche giuridicamente parlando, riusciamo a ridefinire, questo può essere molto pericoloso.
Ciò non può essere banalizzato, sottovaluto, trattato come un caso particolare o isolato, in particolar modo se parliamo di contenuti diffusi in Rete che coinvolgono minori. Raccontarsi e mostrarsi nei social, in particolare attraverso l’autoscatto, è oggi una moda di massa: psicologi e sociologi li definiscono “atti egoistici” o “tentativi di auto-celebrazione” in una società dove chiunque sembra aver aderito ad una cultura della fama.
Ecco che l’dea di un serio e produttivo dibattito , che coinvolga tutti, che vada oltre le “le pagine e le mura accademiche”sulle responsabilità individuali e sociali, sul tema di un’etica dei nuovi media e di una nuova cultura del male, si fa sempre più strada.