In questi giorni di reclusione, chi può aiutarci e comprenderci meglio di lei: Emily Dickinson, la poetessa che scelse di vivere in isolamento volontario.
La vita di Emily Dickinson
Nata nel 1803 ad Amherst, nel Massachusetts, figlia di un benestante avvocato, Emily studiò presso la scuola femminile di Mount Holyoke. Nel 1848 interruppe la sua formazione e rientrò ad Amherst, nella casa paterna. Da quel momento, l’esilio di Emily Dickinson divenne pressoché totale. Rimase rinchiusa nella sua stanza fino alla fine dei suoi giorni, fatta eccezione per alcuni brevissimi viaggi. Quando nel 1886 morì vennero scoperte una quantità innumerabile di composizioni liriche: 1775 versi che sublimano la vulnerabile personalità della poetessa, sempre vestita di bianco. Emily Dickinson scelse di non uscire mai dalla sua stanza, eppure, trasformò la parola in una potente arma per viaggiare dentro se stessa, utilizzando la vita di ogni verso per varcare i confini delle mura di casa. Scrivere per dare una dimora alle proprie emozioni, divenendo essa stessa la dimora dalla quale mai scelse di allontanarsi.
L’isolamento volontario che rese libera Emily Dickinson
“La mente ha corridoi che vanno oltre lo spazio materiale”, scrisse. Il confinamento fisico, per la Dickinson, rappresentò lo slancio per la scoperta più profonda del suo universo interiore, illimitatamente sconfinato e libero da barriere ed imposizioni. La reclusione volontaria della poetessa potrebbe apparire un totale rifiuto della vita eppure, non è forse un prenderla nella sua totalità, anche negli elementi più sfuggenti e difficilmente palpabili? Non conosciamo i motivi della sua reclusione volontaria e, forse, è più corretto rispettare questa decisione. Le sue parole bastano per affacciarsi cautamente nel suo mondo, senza prevaricarlo ma, avendo la possibilità di condividerlo verso dopo verso. Emily Dickinson, in questi giorni difficili, può insegnarci come abbattere le mura della nostra casa, intraprendendo un viaggio interiore, addolcito dalla melodia di quei tasti che spesso preferiamo non toccare ma che, forse, possono diventare i suoni che arricchiranno il nostro futuro.