Panico, urla di terrore, paura insieme a visi insanguinati e donne che vengono fatte letteralmente volare dalla scale.
La violenza inaudita, feroce di ieri in Catalogna utilizzata dalle forze di polizia spagnole agli ordini del governo Rajoy ha raggiunto apici drammatici in una giornata che mette un punto preciso in quella che è stata la lotta interna al paese.
La giornata elettorale di ieri si è risolta in un braccio di ferro tra il governo centrale, che ha mobilitato le forze di polizia per impedire un voto considerato illegale e il governo regionale catalano che ha impiegato ogni mezzo per consentire la consultazione.
Le urne hanno chiuso alle ore 20.00. Durante la giornata ci sono stati molti momenti di tensione tra le forze dell’ordine e i cittadini, con oltre 800 persone ferite nei tafferugli.
Secondo la Generalitat i votanti sarebbero stati 2.262.000 (su circa 5.300.000 aventi diritto); i SÌ sarebbero stati 2.020.000 pari al 90%, mentre i NO sarebbero stati 176.000, cioè il 7,8%.
Il governo centrale ha negato ogni validità alla consultazione.
“Non c’è stato alcun referendum” dichiara Rajoy nel discorso di ieri sera alla nazione, accolto con fischi e slogan contro il Primo Ministro spagnolo dalla popolazione catalana indipendentista.
Se il 61% dei catalani riteneva che il referendum non sarebbe stato comunque una valida base legale per un’eventuale proclamazione d’indipendenza, la violenta repressione di ieri ai danni di persone, giovani e anziani inermi, ha convinto anche l’altra metà della popolazione catalana contraria al referendum.
Queste persone ora si trovano sole. Marginalizzate. Se il governo di Madrid ha fronteggiato la situazione di crisi con le manganellate, le vere armi del popolo catalano sono state le telecamere e i cellulari che hanno ripreso gli atti di violenza brutali perpetrati dalla Guardia Civil.
Quella che il Primo Ministro Rajoy ha definito come “un’assurda sceneggiata e un ricatto di pochi” è finita in quasi 900 feriti, di cui alcuni molto gravi. Per il governo spagnolo, solo un disastro mediatico. Quella che sembra essere stata la prima battaglia di una guerra civile, il cui odore si respira tenue da anni, la Spagna l’ha persa alla grande.
Vittima delle cariche sui manifestanti sono stati anche alcuni pompieri catalani che si erano mobilitati per proteggere i protestanti. I vigili del fuoco sono stati aggrediti dalla polizia nazionale a calci e colpi di manganello durante le operazioni di sgombero di un seggio
E’ bastato pochissimo tempo perché decine di video sugli eccessi della polizia nazionale facessero il giro della web, finendo sui cellulari di tutto il mondo: dal sindaco di settant’anni di un piccolo paese scaraventato a terra all’anziana ferita alla donna buttata giù per le scale, dalle manganellate inutili contro gli studenti ai gas lacrimogeni.
Le dichiarazioni ufficiali dalla Spagna
Il portavoce della Comunitat de Catalunya, Jordi Turull, parla di “scandalo internazionale”.
Il presidente Carles Puigdemont ha affermato che “lo stato spagnolo ha perso molto più di quanto già aveva perso. Oggi in Catalogna abbiamo vinto molto più di quello che avevano già vinto”.
Quale sarà ora la prossima mossa di Puigdemont? Ci si aspetta che il presidente catalano forzi la mano per proclamare l’indipendenza, avviando un conflitto pericolosissimo con Madrid.
Dall’altra parte della barricata tuona la dichiarazione di Madrid: “Lo Stato di diritto resta forte. Il referendum voleva liquidare la Costituzione senza tener conto dell’opinione degli spagnoli” ma “semplicemente non è esistito”. E’ chiaro però su un punto, ossia che la giornata di ieri abbia rappresentato un “fallimento di un progetto che ha provocato situazioni indesiderate e che ha causato un danno molto grave alla convivenza, un bene che dobbiamo recuperare”. Rajoy inoltre aggiunge che non chiuderà “nessuna porta” indicando il dialogo “nel quadro della legge e della democrazia” come soluzione della crisi. Successivamente ha ringraziato l’Unione Europea per il sostegno.
Dichiarazioni ufficiali dal mondo
Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha espresso una posizione contraria al referendum, sostenendo che “qualsiasi atto contrario alla Costituzione di uno Stato membro dell’U.E. è un atto contrario all’Unione Europea”. Un’eventuale Catalogna indipendente, in quanto nuovo Stato, sarebbe fuori dall’Unione Europea e dovrebbe ricominciare da zero tutto l’iter di adesione previsto per gli stati non membri.
Per quanto riguarda la Commissione europea, il presidente Jean-Claude Juncker ha ribadito la posizione ufficiale secondo la quale il risultato del referendum verrà riconosciuto solo se approvato dal Parlamento spagnolo e dalla Corte Costituzionale, condizione al momento non verificata. La Commissione Europea ha confermato la sua posizione a sostegno del governo spagnolo anche dopo l’intervento della polizia negli edifici della Generalitat, respingendo la richiesta di mediazione tra il governo regionale catalano e quello centrale spagnolo avanzata da Carles Puigdemont, precisando che tale richiesta potrebbe essere accolta solo se proveniente dal premier Mariano Rajoy e ponendo come precondizione il ritorno al rispetto della costituzione e dell’ordinamento giuridico spagnoli.
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato che “il governo tedesco ha un grande interesse che la Spagna mantenga la sua stabilità ed è importante che tutti i livelli istituzionali rispettino la legge e naturalmente la Costituzione spagnola”.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres non ha riconosciuto gli organi elettorali proposti per lo svolgimento del referendum del 2017, senza entrare nel merito in quanto “questione interna allo Stato spagnolo”.
L’ex segretario generale Ban Ki-moon già nel 2015 aveva dichiarato che la Catalogna non poteva appellarsi al diritto di autodeterminazione dei popoli, perché ciò vale solo per territori coloniali o occupati, condizione non verificata nello specifico. Di conseguenza, in caso di svolgimento, il risultato del referendum non potrebbe godere del riconoscimento internazionale.
Il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, Heather Nauert, ha definito il referendum un'”affare interno”. “Non vogliamo interferire in questioni nazionali e lasciamo che siano il governo e il popolo locali a trovare una soluzione” e, pur ammettendo di non avere familiarità con l’intera vicenda, ha aggiunto che “lavoreremo col governo o le altre entità risultanti” dall’esito del referendum.