giovedì, Aprile 17, 2025

Cinque scimmie clonate per essere insonni

Fiocchi rosa e azzurri appesi alla porta, in Cina: sono nate 5 scimmiette perfettamente uguali fra loro. Non è un lieto, e raro, evento della natura, ma è frutto di un esperimento portato avanti da due team dell’Institute of Neuroscience della China Academy of Sciences di Shangai.

Per la prima volta nella storia della scienza, i ricercatori cinesi, sono riusciti ad ottenere ben cinque cloni di un macaco con la stessa tecnica dell’ormai celebre pecora Dolly. Il macaco in questione era stato, prima, modificato geneticamente per sviluppare dei disturbi del sonno.

La scoperta, dal punto di vista scientifico, si dimostra eccezionale: potrebbe permettere di studiare in modo più approfondito l’insonnia, la depressione e l’Alzheimer nei soggetti umani. Dal punto di vista etico, però, tale studio lascia ancora qualche perplessità.

Il progetto

Il progetto ideato e portato avanti dai team di scienziati cinesi ha visto, dapprima, un’alterazione nel ritmo circadiano del macaco originale. Essi hanno applicato una modifica al dna con la tecnica di editing, al fine di creare dei disturbi del sonno. Alla medesima modifica sono state sottoposti gli embrioni delle cinque scimmie clonate e fecondate in vitro.

Una volta nati, è stato possibile analizzare e monitorare le attività dei cuccioli per vedere se l’editing del dna fosse andato a buon fine. Esse si sono dimostrate portatrici del difetto.

Il confronto

L’insonnia è un disturbo del sonno che colpisce circa il 15 % della popolazione umana. I ricercatori che hanno realizzato il progetto sostengono di voler sfruttare la vicinanza genetica tra umani e scimmie, al fine di studiare gli effetti della patologia, con l’obbiettivo di trovarne una cura efficace.

La LAV (Lega Anti Vivisezione), invece, sostiene tale esperimento un accanimento verso la vita; portando l’esempio del 75% degli embrioni clonati che muoiono nel primo periodo della gestazione ed il 25% che sviluppa deformazioni incompatibili con la vita.

Ai posteri l’ardua sentenza.

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