Thomas Kinkade, uno dei più celebri, conosciuti e stimati pittori contemporanei nasceva oggi a Sacramento, città statunitense di particolare fondazione per la mentalità europea ma edificata secondo il tipico canone di erezione occidentale sul Nuovo Continente in quanto creata nel dicembre del 1848 da John Sutter Junior a partire dall’insediamento denominato Fort Sutter eretto dal padre John Sutter Senior nel 1839, nonché metropoli capoluogo dell’omonima contea di cui ne assume l’amministrazione e capitale dello Stato della California.
Biografia, Idee e Carriera
Thomas Kinkade nasce a Sacramento il 19 gennaio 1958 da una famiglia relativamente povera. Cresciuto nella città di Placerville dove trascorse parte della sua vita e la prima giovinezza, località capoluogo della contea di El Dorado ubicata non distante dalla capitale californiana situata geograficamente nel centro nord dello Stato, al liceo l’ancora acerbo Kinkade si trovò a far la conoscenza dell’arte classica e del modernismo novecentesco, quest’ultima corrente rappresentata dalla persona del docente Glenn Wessels, il quale educò e introdusse il ragazzo all’arte grafica generando in lui una forte passione che non lo abbandonerà mai per tutta la vita, ma che anzi sarà destinata a incrementarsi e direzionarsi in qualità uniche e davvero innovative.

L’ex accademico e professore nel dipartimento dell’arte presso l’University of California, che evidentemente si è anche dedicato all’insegnamento in scuole di minor grado, circostanza che è stata assai profetica e proficua per la formazione oltre che pedagogica anche artistica dell’ancora giovane Kinkade, incoraggiò il suo alunno a legare la sua arte, divenuta nel frattempo più matura, complessa e maggiormente definita in termini di efficacia comunicativa, intenzioni artistiche oltre che ideologiche e stilistiche e in capacità di coinvolgimento sia da parte dell’artista con il lavoro artistico di propria invenzione sia da parte di un’effetto simpatetico tra opera e pubblico spettatore, più direttamente alle emozioni.
Devoto ai consigli del Wessels e a lui molto riconoscente, Kinkade, che appoggiava in pieno la visione artistica del suo tutore anche sotto l’aspetto programmatico e finalistico del lavoro e del senso artistico, imboccò quindi la strada di una creazione artistica basata sul risveglio dell’emotività che mediante i sentimenti esposti e provocati dall’osservazione dell’opera d’arte permette di risvegliare il significato più prossimo di se stessi suscitando energie interne che si alimentano e si evocano grazie alla forza e alla potenza di una pittura il più possibile vibrante di accezioni vitali, elementi da cui i quadri di Kinkade traggono origine e ispirazione. Dopo numerose vicissitudini poco piacevoli, aver studiato arte inizialmente con scarso successo in un paio di università locali, vagabondato per l’America sui treni merci e lavorato a Hollywood come pittore di background per cartoni animati, Kinkade aveva abbracciato la fede degli evangelici cristiani decidendo di aggirare l’elitismo della scena artistica contemporanea per dedicarsi invece a un tipo di pittura capace di esprimere la bellezza del mondo e la bontà divina, prendendo come esempio Walt Disney e Norman Rockwell.

Trovato indipendentemente, dopo il fondamentale supporto di Wessels, il mezzo espressivo e la forma adatta per esprimere le sensazioni più profonde, Kinkade, chiedendosi come rendere ancora più impattante la figurazione artistica pregna di tali pulsioni vitali quali specchio e riflesso dei sentimenti umani che assurgono nella sua pittura prevalentemente se non esclusivamente da oggetti inanimati e prima di tutto da luoghi privi di entità vitali ma ugualmente familiari e accoglienti, trova nell’uso del colore la massima espressività delle opere e di conseguenza la soluzione più adeguata al movimento emotivo ricercato e certamente ottenuto dalla sua arte. I lavori di Kinkade sono unici nel suo genere perché non hanno rivali che possono competergli in capacità di formulazione della fisionomia artistica, del dialogo intercomunicativo che instaurano tra interiorità o soggettività della persona con il dipinto e nell’utilizzo sopraffino del colore, delle sue tonalità e delle variabilità cromatiche nonché dell’uso dei toni e delle sfumature, e della modalità di applicazione delle campiture.
Capace come nessun altro, sicuramente in era moderna, di creare atmosfere così suggestive mediante tutte queste modalità stilistiche, che definire sublimi manifestazioni della bellezza dell’anima non è termine superlativo né lo è affermare e riferire quanto tali capacità artistiche siano dimostrazioni dell’essenza del divino e del suo mistero che si fonda nell’animo umano per venirgli in soccorso e sbalordirlo di fronte alla sua potenza che si declina nell’impegno comunitario che a sua volta trova la propria oggettività e la propria efficacia in un lavoro rispettoso dell’armonia della natura e del prossimo, elementi che si ricavano dalla pittura del Kinkade, si definisce l’artista il rappresentante dell’arte figurativa emotiva contemporanea. Questa personalità rara, considerata da critici, esperti, appassionati ed opinione pubblica uno fra i più fecondi e originali interpreti dell’arte creativa pittorica moderna che secondo la visione e l’effettiva realizzazione delle stesse opere da parte del Kinkade, come lungi dimostrato dai suoi capolavori, espressione totalizzante delle idee artistiche, educative ed emozionali dell’arte grafica attinenti al pensiero dell’autore, non deve discostarsi dall’espressione figurativa associandosi al purismo della forma, al significato asettico del segno e al colore non distribuito o sostenuto dalla forma del reale, ma al contrario è necessario che l’arte si accosti alle strutture e agli enti reali nell’elaborazione degli stessi con soluzioni e strategie che su questi si sostanziano e al tempo stesso si discostano.
Attraverso i suoi lavori, Kinkade ha dimostrato quanto un tipo d’arte che riprenda la maniera di un classicismo più tipicamente di matrice neoclassica intrecciata al romanticismo senza doversi limitare, costringere o contrarre in forme moderniste in cui le regole prettamente realizzative, i modelli costruttivi e le leggi del mondo intese come reali e artistiche vengono frantumati, sia ancora diffusamente da coltivare per continuare a penetrare nel senso della vita e nell’intimità umana, spirituale e, perché no, pure divina. Kinkade ha messo dunque in relazione i tre grandi poli della conoscenza e della riflessione umana che fin dai tempi ancestrali sono i grandi interrogativi dell’uomo, e cioè l’anima, il mondo e Dio.

Benché la risposta non sia elaborata dall’artista in forma certa o definitiva, forse perché una risposta univoca a queste domande non esiste, Kinkade è in grado, attraverso i suoi dipinti, di sintetizzare in modo equilibrato l’entità trina del mistero universale e renderla accessibile all’interpretazione umana pur mantenendo libero ciascun soggetto partecipante alla visione delle sue opere di rimanere una persona unica con le proprie idee e un proprio pensiero su tali enigmi. Il crepuscolo o il mattutino sono le atmosfere preferite dal pittore, ogni suo lavoro è soggetto a un senso di quiete, di calma, di tranquillità e di unione con il tutto e con l’universo intero nonostante i panorami preferiti siano ambienti sì accoglienti ma abbastanza ristretti nonostante siano prevalentemente all’aperto, elementi che si possono leggere sia in maniera laica che religiosa, per questi motivi non si sbaglierà a commentare Kinkade quale pittore zen, o ancora meglio artista del focolare e del nido domestico.

Dalle sue opere si porta alla luce, è proprio il caso di dirlo essendo lui soprannominato Painter of Light (Il pittore della luce), il significato della vita che non può prescindere dalla meditazione che si esprime non tanto con un legame inscindibile a una grande credenza o una concezione religiosa irrevisionabile e fissa, quanto piuttosto mediante una fede incrollabile verso la semplicità, i piccoli gesti e le piccole cose, le sole che possono permettere di sondare il vero senso dell’uomo, del mondo e della vita. L’arte di Kinkade e rivolta a tutti, l’unica prescrizione per capirla veramente è essere capaci di lasciarsi trasportare dall’effimero che si fa meraviglia, sacralità ed eternità della quotidianità, sinonimo di una spiritualità che rinnova un mondo moderno troppo nevroticamente e accanitamente attaccato ad un effimero contrario all’idea che ne ha Kinkade inteso come un qui ed ora non tanto assurto a grande ideale di benessere che ricorda un poco la cultura asiatica quanto piuttosto come velocità incontrollata e iperattività vorticosa.

Sotto il termine moderazione si esprime l’arte di Kinkade, ossia la qualità di una calma non noiosa, svogliata o stagnante e inefficiente, ma della quiete ragionata che permette l’affermarsi di un pensiero libero, indipendente e personale rispecchiante le vere esigenze dell’uomo quali l’avere una famiglia e una casa in cui abbandonarsi alla rilassatezza e alla protezione. Sono le piccole cose che fanno grande l’uomo, quelle semplici esperienze che se ben provate e assimilate divengono un tesoro inestimabile, non è importante, secondo l’interpretazione che si può dare alle opere di Kinkade, lavorare indefessamente solamente perché una morale imperturbabile e un tantino tirannica o sadomasochistica ci ha imposto così, quello che conta veramente è stare bene con se stessi ed essere felici poiché solo in questa maniera l’equilibrio individuale e sociale si stabilisca, infatti se non si rispetta l’ordine naturale l’uomo si autodistruggerà.

Come dimostrato da un simbolismo blando che si impregna di relazioni interne e si consolida però nella lettura generale, a tutto tondo, dell’opera, è necessario quindi ritornare non a modelli mitologici o arcaici inadatti a realizzare le vere volontà e i reali bisogni dell’uomo ma a una vicinanza alla natura in sé e alla naturalezza dei sentimenti umani. L’antropico e il naturale convivono e permangono in sinergia per reggere il mondo e i suoi valori, l’uomo ha bisogno dei suoi spazi che ricava dalla natura e viceversa la natura per mantenersi deve essere conforme all’emotività umana. Il surplus fine a se stesso e l’inutile corsa a un dare sempre di più che si trasforma in eccesso, sia in termini intimi che comunitari ed economici, è assolutamente contrastato da Kinkade, l’animo umano ha bisogno dei suoi tempi, e non è una macchina che può essere sovraccaricata da sovracostruzioni di tipo obbligante, iperproduttivo, piuttosto che ipocritico ad essa non confacenti.

Se il mondo si autodetermina rigenerandosi e rinnovandosi non ha bisogno di essere fossilizzato, mummificato e sfregiato dalla continua lotta al contrasto della natura o dalla gara ad un costruzione di strutture effimere sia a livello esteriore che sul piano dell’animo umano, è chiaro che anche l’anima dell’uomo, in quanto naturale, sa autogestirsi senza che si immischino troppi fronzoli extraindividuali a parte una sana educazione ad un pensiero sereno, concreto, introspettivo e spirituale. Nonostante la discrepanza fra la vita reale e i desideri umani e la volontà di essere altro o di tendere verso un qualcosa di inafferrabile insito nell’uomo non permetta di abitare in quei luoghi da sogno creati artisticamente e dunque artificialmente dal pittore non riuscendo di contropartita a ottenere totalmente una tranquillità definibile come quiete assoluta, quell’atmosfera estremamente realistica ma un po’ ovattata tanto è consustanziata a un’idealità molto onirica e quasi straniante rimane comunque lo scopo di un’esistenza che si lascia alle spalle non tanto le difficoltà quanto i pesanti costrutti e le traballanti impalcature che ci si è costruiti o ci hanno imposto.

Prima o poi, se davvero si vuole cambiare in meglio, bisogna abbandonare al più presto la gestione inefficace della vita e ritornare bambini, tornare a sapersi affacciare all’incanto perché soltanto se si è capaci di affascinarsi con poco allora l’esistenza prende uno spessore diverso, il senso di pienezza e di controllo, per quanto esso debba essere persistentemente rinnovato dalla magia e dal mistero di un continuo cambiamento a cui la fascinazione dell’uomo si sottopone continuamente, è assicurato. E’ questa visione del mondo, che fa della luce e dei suoi effetti la sua maggiore componente oltre che artistica anche ideologica in quanto è grazie ad essa che la magnificenza della realtà che si traduce in verità diventa percettibile, dinamica e multisfaccettata, luce che diviene simbolo di una mutazione perenne e al tempo stesso fondata sulla certezza del ritorno e della stabilità, ulteriori elementi che sono evidenti nei lavori dell’artista, che Kinkade ha formato durante la parabola degli anni di liceo e la frequentazione dell’Università della California a Berkley.

Nelle opere di Kinkade, nonostante la fissità di forme e figure, la dinamicità degli ambienti, che ricalcano i percorsi e le onde emotive degli spettatori secondo cause o conseguenze, è indubbia, questo per un magistrale utilizzo del colore e della luce. Gli ambienti idilliaci, i cottage, le case di campagna o di periferia, viottoli e vicoletti, animali da compagnia e lampioni accompagnati da alberi e stradicciole ritratti in momenti di silenzio e di sonno, in alcuni casi appena finito di piovere, sono fissati per sempre nella memoria e nel tempo, ma ugualmente sembrano fluttuare in un mondo parallelo e al contempo veritiero in cui i giorno e le stagioni sono sull’orlo della venuta. Prolificissimo artista, la sua arte è uno straordinario fenomeno di costume, si calcola infatti che negli Stati Uniti d’America, in una casa su venti sia presente almeno un quadro, una stampa o un altro prodotto registrati Kinkade, il quale è presente, seppure al centesimo posto, nella lista degli uomini più potenti dell’arte del 2008 redatta dalla rivista internazionale d’arte contemporanea avente sede a Londra Art Review. Si calcola che Kinkade, secondo stime che risalgono ad anni precedenti, sia stato uno degli artisti se non il pittore in assoluto più venduto al mondo, dimostrazione che la visione del mondo e dell’animo umano del Kinkade è stato per parecchio tempo apprezzata e razionalmente o incoscientemente accettata dal pubblico, soprattutto americano di ogni ceto sociale.

Nel corso di una carriera relativamente breve l’artista californiano è riuscito a vendere milioni di quadri, la cui arte è stata molto seguita sia da adulti che da bambini oltre che adocchiata anche da case di produzione di animazione che sui suoi soggetti da sogno ogni tanto hanno attinto spunti. Sicuro della potenza della propria arte, non senza modestia però, in un’intervista rilasciata nel 2012 al quotidiano statunitense San Jose Mercury News, Kinkade, i cui quadri spesso ritraevano anche passaggi biblici, si era descritto come un guerriero della luce, chiaro riferimento ai pittori medievali che utilizzavano la luce per rappresentare il divino.

Sebbene, da quanto emerge anche da un servizio girato nel 2001 dall’emittente CBS News, l’arte di Kinkade sia assimilabile a opere indipendenti d’autore, lo studio dell’artista è pure un atelier che aveva l’apparenza di una fabbrica dove veniva prodotta arte in serie per le masse, sia per la continua riproposizione per quanto variata di tematiche simili, sia per il fine commerciale delle opere che senza dubbio cercano anche di rifarsi sul gusto attuale e sulla piacevolezza della gente, non per questo però i suoi lavori possiedono meno valore di quanto non avrebbero assunto se non fossero state, in aggiunta alle qualità artistiche e critiche, dedicate al commercio. Kinkade, a causa del suo stile definito kitsch e zuccheroso oltre che sdolcinato, all’interno del sistema dell’establishment artistico fatto di musei, critici, gallerie, case d’asta, istituti accademici che oggi decreta il valore della fine art, lui era considerato meno di una nullità, persino un personaggio oltre il limite del disgustoso che faceva della popolarità sola il suo punto di forza, in molti però non sono della stessa opinione. Diventato anche il produttore delle sue opere a livello seriale, Kinkade aveva creato l’equivalente di una catena di montaggio industriale, impiegando centinaia di dipendenti per produrre un fiume senza fine di stampe e serigrafie, che poi venivano ritoccate a mano per rendere ogni pezzo più o meno unico ed originale, creando così un ventaglio di prodotti con prezzi che partivano da poche centinaia di dollari per arrivare a decine di migliaia.

Entrato nel mondo dell’economia attraverso i suoi disegni e dipinti, alla fine degli anni Novanta, non solo Thomas Kinkade, il pittore della luce era un brand commerciale registrato, ma addirittura una società quotata in borsa, con una rete di centinaia di gallerie monomarca in franchising, un aggressivo programma di televendite, e vari accordi di licensing con produttori di articoli da regalo e di arredamento per la casa. Pace, gioia, speranza e tranquillità sono esportati con stile in maniera massiva, non per questo però, nonostante critiche contrarie e le varie condanne pervenute nei suoi confronti, Kinkale le ha ipocritamente continuate a sostenere, poiché nonostante abbia costituito un’impresa d’arte piuttosto grossa le idee e gli ideali di partenza non sono mai stati smarrite dall’artista, infatti economia non è necessariamente sinonimo di speculazione disumana e di antiartisticità in contrarietà o concorrenza alla purezza artistica. L’arte di Thomas Kinkade è l’arte del popolo, e il suo successo viene da una comunità che fa o si impegna a fare delle virtù espresse dall’artista il proprio orgoglio e il proprio stile di vita.

Thomas Kinkade è stato coinvolto in numerose collaborazioni, tra cui una partnership con una delle organizzazioni più caritatevoli degli Stati Uniti, la The Salvation Army, per la quale sono state create due stampe di beneficenza speciali intitolate The Season of Giving e The Light of Freedom. Molto legato alle sue quattro figlie e alla compagna Nanette, sua fidanzata del liceo con cui ha collaborato anche artisticamente e con la quale ha creato, fra i primi lavori a stampa, Dawson, un omaggio di grande successo all’Alaska, Kinkade, assieme all’amico conosciuto all’Art Center College of Design di Pasadena, James Gurney, ha pubblicato il best sellers The Artist’s Guide to Sketching, manuale di disegno edito dalla Guptill Publications, attraverso il quale i due ottennero grande visibilità, in particolar modo dall’azienda di film d’animazione Ralph Bakshi Studios, in cui Kinkade consolidò il proprio prodotto artistico. Thomas Kinkade è morto recentemente a Monte Sereno, il 6 aprile 2012, all’età di soli 54 anni. Su di lui è stato tratto il film autoprodotto Thomas Kinkade’s Christmas Cottege, nel quale si racconta la storia del pittore e si svela la vicenda che lo ispirò nella realizzazione della sua opera più celebre, The Christmas Cottage, dove l’artista è interpretato dall’attore Jared Padalecki.