Il 22 giugno 1946 il governo italiano approva la cosiddetta Amnistia Togliatti, una misura che di lì a poco avrebbe scatenato polemiche e anche tensioni sociali. Il testo, in generale, prevede l’annullamento di tutti i reati (tranne quelli estremamente gravi) commessi fino al 18 giugno dello stesso anno. Di conseguenza, dopo l’entrata in vigore della legge si assiste alla scarcerazione di diversi ex fascisti e all’annullamento dei rispettivi processi. Il documento porta il nome di Palmiro Togliatti, storico leader del Partito Comunista Italiano e a quei tempi ministro della Giustizia. Lo storico Mimmo Franzinelli, autore del libro L’amnistia di Togliatti, riporta che all’epoca sono stati rimessi in libertà almeno diecimila fascisti.
Tra coloro che escono di prigione ci sono anche figure di spicco del decaduto regime fascista: ad esempio ci sono gli ex collaboratori di Benito Mussolini, Dino Grandi e Luigi Federzoni, i quali erano rimasti accanto al Duce fino al 1943, ovvero quando tra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo aveva sfiduciato il dittatore. Diversa invece la vicenda di Renato Ricci e Junio Valerio Borghese, i quali avevano aderito alla Repubblica di Salò e avevano continuato a combattere con l’esercito tedesco che in quel frangente occupava ancora l’Italia settentrionale. Il provvedimento firmato da Togliatti permette comunque a tanti altri ex collaboratori fedeli al regime di lasciare le carceri, tra spie, guide delle sezioni locali del partito ed ex agenti della polizia segreta.

Tutto ciò comporta una dura reazione tra i cittadini, e in alcuni casi si arriva anche a delle proteste e scontri in piazza. Una delle proteste più dure si ha a Casale dove alcuni ex fascisti tornati in libertà grazie all’Amnistia Togliatti rischiano il linciaggio pubblico e il governo è costretto a inviare circa 12 carri armati per riportare la situazione ad una condizione di relativa calma. Negli archivi personali del leader del PCI sono state rinvenute diverse lettere di malcontento, la maggior parte delle quali scritte e inviate da ex partigiani i quali si dicono pronti a fare propaganda contro i comunisti se non viene ritirato immediatamente il documento.
Sono in molti a non condividere soprattutto il fatto che sia stato proprio Palmiro Togliatti, figura di spicco del partito che più di ogni altro aveva contrastato il regime fascista, a redigere e a firmare il testo di legge. Durante le fasi della Resistenza, infatti, circa la metà dei combattenti tra le fila partigiane sono stati comunisti, e proprio loro hanno rintracciato, catturato e condannato a morte Mussolini dopo un processo piuttosto sbrigativo e pieno di misteri rimasti irrisolti.
Amnistia Togliatti: le motivazioni del politico genovese
L’Amnistia Togliatti viene approvata all’unanimità il 22 giugno 1946 dal governo presieduto da Alcide De Gasperi. Il testo però è stato redatto totalmente dal ministro della Giustizia, e sottolinea che comunque non vi rientrano tutti coloro che si sono macchiati di crimini piuttosto violenti. Questo dettaglio però viene evidenziato in maniera fin troppo generica, e non impedisce a diversi tribunali di concedere la libertà a personaggi piuttosto discussi come i componenti della banda Koch, dei torturatori del periodo fascista che avevano perseguitato tanti cittadini romani.
Palmiro Togliatti, qualche anno dopo l’entrata in vigore della sua amnistia, prova a spiegare le sue ragioni. Su tutte, afferma che in realtà gran parte della responsabilità va attribuita alla magistratura che ha applicato la legge in maniera superficiale. Il leader del PCI non ha tutti i torti se si considera che molti giudici sono rimasti in carica nonostante abbiano collaborato con il fascismo negli anni precedenti. Per esempio, la Corte di Cassazione annovera alcuni membri che avevano fatto parte del Tribunale per la difesa della razza. Tuttavia, i critici ricordano al ministro della Giustizia che la mancata rimozione di questa parte della magistratura e alcune norme poco dettagliate della legge del 22 giugno 1946 sono dovute a delle sue mancanze.

Alcuni storici come Franzinelli e Sergio Luzzatto sostengono che, in realtà, l’amnistia rientrasse in una vera e propria strategia politica di Togliatti. Il Partito Comunista ha l’obiettivo di affermarsi come una forza moderata e pienamente rispettosa dei principi costituzionali, nonché aperta al dialogo, poiché si ritiene che solo così sia possibile restare a lungo alla guida del Paese. Di conseguenza, la suddetta legge rappresenta un modo per archiviare una volta per tutte le violenze e le scelleratezze della Seconda Guerra Mondiale e per guardare ad un percorso di totale riconciliazione nazionale.
Il Partito Comunista Italiano: il 21 gennaio 1921 a Livorno prese forma e vita il PCd’I
Il PCI è anche incalzato dagli Stati Uniti e dagli alleati che lo considerano principalmente una forza di ribellione e rivoluzionaria che avrebbe potuto organizzare rivolte popolari da un momento all’altro. Pur trattandosi di timori eccessivi, è vero però che i comunisti dispongono ancora di un’organizzazione paramilitare, e gestiscono depositi di armi ben nascosti. Togliatti grazie alla legge che porta la sua firma fa sì che alcuni militanti di sinistra possano essere esentati dai processi. Diversi ex partigiani, infatti, dopo la fine della guerra si erano macchiati di diversi omicidi nei confronti di veri o presunti fascisti, effettuando una sorta di giustizia sommaria.
Infine, con la sua Amnistia Togliatti, il leader del Partito Comunista Italiano mira a rafforzare la sua immagine pubblica di esponente politico moderato e responsabile, pronto al dialogo con altri partiti, allontanando così la definizione dei comunisti quali estremisti radicali. Il suo piano però non va in porto fino in fondo, infatti dopo circa un anno dall’entrata in vigore della normativa, nell’autunno del 1947 De Gasperi decide di allontanare il PCI dalla maggioranza del Paese.