venerdì, Aprile 18, 2025

Ambasciatore di Israele: la coppia Biden-Nides è vincente?

Il presidente statunitense Joe Biden ha sciolto la riserva nominando l’ambasciatore Usa in Israele. Un incarico che sarà fondamentale alla luce dei recenti sviluppi. Del resto, Washington non potrà più tergiversare come in passato. Il rischio sarebbe quello di compromettere ancor di più il suo precario equilibrio nella regione mediorientale. Come sceglierà di muoversi Joe Biden? E l’ambasciatore di Israele sarà d’aiuto?

Chi è l’ambasciatore di Israele?

La sua candidatura era chiacchierata da tempo. Ora si attende l’ufficialità. È un banchiere il nuovo ambasciatore Usa in Israele. O, almeno, lo era. Martedì, Tom Nides ha accettato la nomina del presidente Joe Biden, come riferisce Vox. Anche se l’annuncio dalla Casa Bianca avverrà tra qualche settimana per la convalida del Congresso. La sua scelta è giunta mentre il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, si trova in visita nello Stato ebraico e in Cisgiordania, per cercare di strappare una tregua duratura tra Israele e Hamas. Proprio la riapertura delle ostilità in Medio Oriente ha reso fondamentale per Washington poter contare su un suo uomo di fiducia a Gerusalemme. Ma, allo stesso modo, complicherà il lavoro diplomatico del prossimo ambasciatore.

L’uomo di Biden

In precedenza ex segretario di Stato dal 2011 al 2013, Nides è stato amministratore delegato e vicepresidente di Morgan Stanley. Classe 1961, l’uomo di Biden ha prestato servizio in alcuni istituti finanziari. Tra questi Credit Suisse e Burson-Marsteller, prima di svolgere incarichi governativi. Nel 1984, Nides aveva lavorato alla campagna presidenziale di Walter Mondale. Una breve parentesi prima del ritiro nel 1986, collaborando con il deputato democratico Tony Coelho. Durante l’amministrazione Clinton, ha prestato servizio come capo del personale per l’allora rappresentante per il Commercio Usa, Mickey Kantor. Mentre nel 2010 venne nominato da Barack Obama come vicesegretario di Stato per la Gestione e le Risorse.


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Nides e il Medio Oriente

Durante i suoi incarichi pubblici, Nides aveva stretto importanti relazioni con alcuni funzionari israeliani di spicco. Il che lo aveva reso il principale promotore per l’approvazione da parte dell’amministrazione Obama dell’estensione delle garanzie sui prestiti per Israele. Un valore di svariati miliardi di dollari. Ma soprattutto, aveva sostenuto la politica di Obama contro gli sforzi del Congresso per limitare il sostegno statunitense all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa). Nonché all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco).

Ambasciatore di Israele pro Palestina

Nel 2012, Nides sposa la causa palestinese. Ad esempio, firma una lettera rivolta alla Commissione per gli stanziamenti del Senato, nella quale accusa la narrazione che cercava di distinguere tra i palestinesi sfollati dalla creazione di Israele, nel 1948, e i rifugiati loro discendenti. All’epoca Nides ritenne questa legislazione capace di minare la credibilità statunitense nel ruolo di mediatore di pace. Il che avrebbe significato “una reazione negativa molto forte da parte dei palestinesi e dei nostri alleati nella regione, in particolare la Giordania”.


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Washington ha ancora alleati?

L’America è tornata”, ripete Joe Biden dal giorno del suo giuramento. Eppure, anche se fosse, tarda a prendere decisioni. Specialmente in Medio Oriente. Nonostante il presidente abbia adottato una serie di ordini esecutivi, il cambio di guardia alla Casa Bianca non si è tradotto, in realtà, in un cambio di linea politica. Ad esempio, non sfugge la lentezza con la quale il presidente abbia contattato telefonicamente i suoi omologhi nella regione. Dopo alcuni mesi dal suo insediamento. Un temporeggiare che potrebbe aver contribuito alla riapertura della piaga tra Israele e Hamas. D’altronde, la regione mediorientale non può essere lasciata a sé stessa troppo a lungo. A meno che non se ne accettino le conseguenze.

Ambasciatore di Israele e l’America First

Questo è il quadro in cui dovrà destreggiarsi Nides. Un compito alquanto delicato. Intanto, da Gerusalemme, Antony Blinken ha spiegato che l’obiettivo primario degli Usa sarà affrontare i bisogni umanitari urgenti. Ma anche che “ci vorrà del tempo” prima di rinnovare i negoziati per la divisione in due stati. Dopo anni di fallimentare politica isolazionista dell’America First, ispirata a interessi meramente commerciali, gli alleati statunitensi in Medio Oriente stentano a credere alle rassicurazioni di Washington. Nemmeno la proposta di Biden del ritorno al “multilateralismo temperato” sembra impressionare i partner mediorientali. A ben vedere, è proprio questo il problema. Gli Usa continuano a considerare il Medio Oriente esclusivamente come un’arena di scontro con le sue due superpotenze rivali: la Cina e la Russia.


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Washington tra Israele e Paesi arabi

Tuttavia, Washington sembra non accorgersi che non si tratti di una contesa egualitaria, perché divergono gli interessi di fondo. Non bisogna essere luminari di geopolitica per capire che Washington in Medio Oriente stia procedendo alla cieca, correndo il rischio di inciampare su ogni spigolo che incontra. Basti vedere la “finta” uscita dall’Afghanistan, dove peraltro rimangano solidi gli interessi statunitensi. Come le recenti tensioni con Pechino, dopo l’invio di un cacciatorpediniere della Marina statunitense nello Stretto di Taiwan. Con particolare riferimento al Medio Oriente è indubbio che negli ultimi anni Washington stia mostrando un certo bipolarismo, se non proprio schizofrenia.

Pedine

Da una parte, si dice strenuo alleato di Israele e del popolo ebraico, verso il quale nutre un legame profondo. Dall’altra, si dice disposto a rientrare in trattativa con l’Iran per lo sviluppo del programma nucleare iraniano, nonostante le tenaci obiezioni di Israele. Dall’altra ancora, fa orecchie da mercante quando si tratti di discutere della questione palestinese. Come del riconoscimento di uno Stato di Palestina. Insomma, Joe Biden se da una parte si scotta dall’altra si brucia. Specialmente in Medio Oriente. A questo proposito, però, è diventato evidente che l’amministrazione democratica non potrà temporeggiare oltre.


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Ambasciatore di Israele e nucleare

Quanto alla questione del nucleare iraniano, Joe Biden ha stravolto l’approccio del suo predecessore. In particolare, il presidente democratico ha nominato un inviato speciale, Robert Malley, che avrà il compito di rilanciare l’accordo Jcpoa del 2015 del quale era stato promotore. Eppure, nonostante Washington sia disposto a riaprire le trattative, la prima a non fidarsi è proprio Teheran. Da subito, le autorità sciite avevano biasimato il ritiro del predecessore di Biden, il repubblicano Donald Trump. Ragion per cui oggi non torneranno a colloqui diretti con gli Usa a meno che l’amministrazione statunitense non rimuova le sanzioni imposte a Teheran, a prova della sua serietà. Una posizione ribadita in modo indiretto dal portavoce del governo, Ali Rabiei.

Teheran

In conferenza stampa, Rabiei ha ribadito che “eravamo quelli che si sono distinti per il bene della pace globale e regionale, ed è proprio per le nostre convinzioni che dovremmo raggiungere la pace attraverso il dialogo”. Il funzionario ha ricordato inoltre che è stato per il bene della resistenza del popolo iraniano se il Jcpoa è stato mantenuto. Quindi, Teheran tornerà seduta stante al rispetto dei suoi impegni nell’ambito dell’accordo nucleare solo qualora gli Usa adempiranno ai loro. Come ha riferito Rabiei: “Esprimo ancora una volta la nostra posizione qui, chiaramente, che senza alcun ritardo, immediatamente dopo il ritorno dell’amministrazione statunitense, torneremo pienamente ai nostri impegni”.


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Ambasciatore di Israele: non solo Iran

Ma la questione aperta con l’Iran, che aveva consentito a Trump di fare ostruzionismo, non sarà l’unico scoglio. Soprattutto perché il repubblicano beneficiava di un vantaggio di cui ora il suo successore non gode. Cioè gli Usa torneranno a essere dipendenti dal petrolio delle monarchie del Golfo Persico. Forse dallo stesso Iran. Sebbene Washington fosse riuscito, per un certo tempo, a fare a meno del greggio arabo oggi non può dire di aver raggiunto quella “indipendenza energetica” prefissata. A tal ragione, i presidente Joe Biden dovrà Biden, dovrà fare attenzione alla politica che adotterà in Medio Oriente. Soprattutto per non trasformarsi nell’unico elefante nella stanza. Senza contrae che uno degli obiettivi del programma del presidente democratico era, appunto, la green energy.

Il punto

Non è nascondendo la testa sotto l’ala che Washington potrà ritenersi indenne da qualsiasi conseguenza. Crederlo sarebbe infantile, se non peggio. Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che rispetto alla precedente amministrazione repubblicana poco o nulla è cambiato. Salvo che per due attori regionali e in lotta fra loro: l’Arabia Saudita e l’Iran. Quindi, non resta che attendere di vedere quale sarà l’approccio della coppia Biden-Nides in Israele. E soprattutto, se si rivelerà vincente.

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