giovedì, Aprile 17, 2025

All’Elfo, Amleto take away. Crisi della presenza in chiave contemporanea

Presentazione Amleto take away

To be or facebook? This is the question. Il Bardo torna sempre a teatro, e come potrebbe essere diversamente? Si sa,  la sua riflessione sulle tante sfumature dell’animo umano è sempre attuale. Ovviamente sto parlando di Shakespeare, di Amleto, ma questa volta senza teschio, ma crocifisso e attualizzato, reso contemporaneo; un Amleto sognante e maledettamente social. Amleto è in crisi di identità. In questi giorni, al teatro Elfo Puccini di Milano, sta andando infatti in scena, Amleto take away, fino al 9 dicembre. E’ uno spettacolo che parte da una riflessione amletica, che al contrario dell’originale, è molto divertente e esilarante: una rappresentazione comunque tragicomica. Ai tempi di Shakespeare i gusti forse erano più direttamente tragici, ma si può anche essere tragici attraverso un ossimoro, rappresentando sul palco una  ”tragicità allegra”, è sempre meglio ridere che piangere. Gianfranco Berardi,  forte delle sue origini partenopee, (Napoli è teatro) e Gabriella Casolari che sul palco gli fa da spalla, scrivono e rappresentano quindi,  questo spettacolo di teatro “contro temporaneo”.  Le musiche sono  state scelte dallo stesso  Berardi mentre le luci sono di Luca Diani. Si tratta di una produzione della Compagnia Berardi Casolari e dell’Elfo Puccini, tra i palchi più interessanti del panorama teatrale milanese, in sala Fassbinder.

Lo spettacolo

Amleto Take away parte dall’opera di Shakespeare come spunto per entrare in chiave ironica e molto esilarante nella nostra condizione che io definirei  “post,postmoderna”. To be or not to be? Chi siamo? da dove veniamo? Dove stiamo andando?. Lo spettacolo  cerca di rispondere,  in un’ora molto incalzante,  a tutte queste domande, ma senza presunzione.  Amleto è simbolo del dubbio e dell’insicurezza, come spiegano gli autori: “è icona del disagio e dell’inadeguatezza” . Siamo in una società veloce, liquida direbbe il sociologo Bauman, che si trasforma in continuazione, dove non si riflette più su se stessi, dove si diventa virtuali, dove apparire belli in una fotografia, postata su un social,  è più importante di “essere o non essere“.  Al contrario di quello originale, il nostro Amleto non è però riflessivo, ma è veloce, frenetico, sente la crisi  della presenza, citando l’antropologo De Martino. E’ sempre perdente, non ha strategia, vive di pancia.  E’ figlio di un operaio dell’Ilva e sogna di fare l’attore, per poi indossare la maglietta dell’Inter di Icardi,  ma lo scudetto lo vince sempre la Juventus. E’ un Amleto crocefisso,  ma corre veloce; logorroico e saggiamente interrotto dalla sua spalla Casolari, che non lo fa deragliare troppo in questa moderna schizofrenia.  Berardi va avanti e indietro, inter-scambiando la maglia dell’Inter con un velo bianco, diventa sia Amleto che Ofelia che discorrono ironicamente di sentimenti.  Al nostro Amleto però la realtà piace poco, e anche il sesso diventa quindi virtuale. Si trasforma in un incontro social con una avvenente “milf”.  Emoticon provocanti e foto sexy, rendono l’evocazione più importante della “carne”, che scompare. Il finale drammatico viene a mancare, nessun morto, nessuna vendetta, nessun scontro, nessuna macchia di sangue indelebile, ricordando il Macbeth,  nessuna emozione, non ci si tocca più.  Nella nostra quotidianità le immagini diventano presenza e il godimento è comunque assicurato.

Conclusioni


Amleto take away sarebbe piaciuto a Shakeaspere? Io penso di sì, i temi che affronta, sono cari al grande drammaturgo inglese, a teatro ancora giovane e splendente,  a  502 anni dalla morte. Sarebbe comunque  piaciuto anche a tutti coloro che hanno cercato di definire la crisi della presenza, citando sempre De Martino. L’importante quindi è esserci che si declina automaticamente in  essere. Come recita Berardi: “ Dimostrare ad ogni costo di essere felici, mettendo dei mi piaci sui profili degli amici. Pubblicare dei tramonti, un bel piatto di spaghetti o gli effetti della pioggia tropicale, sempre tesi anche al mare con un cocktail farsi un selfie  perché il mondo sappia, dove sono, con chi sono, e come sto. Apparire, apparire, apparire, bello, figo, number one e sentirsi finalmente invidiato. To be or fb, this is the question.”

 Spettacolo che ha  tante “stelline”, da  vedere.

Lucilla Continenza
Lucilla Continenzahttp://www.ildogville.it
Di origine abruzzese, vive a Milano dalla nascita. Giornalista pubblicista dal 2003, pubblica dal 1996. Laureata in Scienze politiche a Milano (magistrale), ha poi studiato Antropologia culturale, sempre a Milano. In passato ha scritto di cronaca, politica e eventi locali. Dal 2005 si occupa di cultura e in particolare di critica teatrale.

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