Alda Merini, donna, madre e poetessa. Uno spirito “poetico” sofferente. Nata come un fiore a primavera, in questo articolo esploreremo i suoi pensieri più intimi tramite le sue poesie. Oggi, 21 marzo, è il suo compleanno, attraverseremo la sua vita con alcune delle sue poesie. Versi pieni di sentimento e patimento. Versi tormentati. Versi di una donna fragile e forte.
Sono nata il ventuno a primavera
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.“
Separata dalle figlie perchè ritenuta inabile a curarsene, sposata ad un uomo che, seppur l’amava, non era in grado di capire l’amore e la passione di Alda per la poesia.
GENESI
Vorrei un figlio da te che sia una spada
lucente, come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue e che risolva
più quietamente questa nostra sete.
Ah, se t’amo, lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo
e fiorita son tutta e d’ogni velo
vo scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.
Ma il mio cuore, trafitto dall’amore
ha desiderio di mondarsi vivo.
E perciò dammi un figlio delicato,
un bellissimo, vergine viticcio
da allacciare al mio tronco, e tu, possente
olmo, tu padre ricco d’ogni forza pura
mieterai liete ombre alle mie luci.

Marito al quale dedicò una poesia, molto passionale e un pò maliconica, come la sua personalità. Le sue poesie trasudano amore, passione, malinconia e sofferenza. Quella sofferenza psicologica che la rese una “folle” agli occhi di molti. Marito compreso.
Ad Ettore
Ho avuto paura della morte
paura dei tuoi paradisi
tu eri la mia ape
poggiavi sopra di me
con la tua benevolenza
e suggevi del fiore delle mie rime
tutto il mite coraggio.
Tu mi eri fratello
ed eri anche poeta…
Ma perderti così
per banale allegria
per la morte irridente
o compagno di sogni
che cosa avrei io fatto!
Non son donna da piangere le stele
né i silenzi dei cimiteri
io sono donna di amore
e tu lo sai bene
che cosa avrei fatto io?
Ti avrei rincorso nei sogni
lo so, e poi, lentamente
sarei scivolata nel sonno
nel sonno della follia
e lì, amandoti sempre,
io sarei morta di amore.
Il cuore della Merini soffriva e non per possesso, come suo marito uomo semplice e geloso. Soffriva perchè picchiata quando lui era ubriaco, ma lei testarda ed innamorata credeva di poterlo cambiare. Fin quando una sera tornando ubriaco e particolarmente aggressivo, Alda, gli tirò una sedia controntro mandandolo all’ospedale. Fu il punto in cui segnò la separazione della coppia dalle quattro figlie.
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.
Da quell’episodio Alda Merini, venne internata nell’ospedale psichiatrico. Nel 1979 esce definitivamente dal manicomio facendo ritorno a casa. Da quel momento riprende a scrivere tutto ciò che ha vissuto in quegli anni.
Quando ci mettevano il cappio
Quando ci mettevano il cappio al collo
e ci buttavano sulle brandine nude
insieme a cocci immondi di bottiglie
per favorire l’autoannientamento,
allora sulle fronti madide
compariva il sudore degli orti sacri,
degli orti maledetti degli ulivi.
Quando gli infermieri bastardi
ci sollevavano le gonne putride
e ghignavano, ghignavano verde,
era in quel momento preciso
che volevamo la lapidazione.
Quando venivamo inchiodati in un cesso
per esser sottoposti alla Cerletti,
era in quel momento che la Gestapo vinceva
e i nostri maledettissimi corpi
non osavano sferrare pugni a destra e a manca
per la resurrezione degli uomini…
La sua vita condizionata dai profondi stati depressivi, dalle violenze dentro e fuori dal manicomio, la separazione dalle figlie. Le inseparabili sigarette che ha usato fino al momento della sua morte, il 1° novembre del 2009.
Poetessa madre mia
Ti ho inventata madre,
quando ho cominciato non so…
forse nel momento in cui il tuo viso
tradiva la noia o la fatica
e i quesiti lamentavano risposte.
Il timore con te ha preso celere la strada
del nero della notte e nel silenzio
quando decifrare
diventa inesplicato errore
e la tua ombra
ghermiva le mie mani.
Ti ho inventata madre
come luna senza fasi
piatta, immobile e lontana
come sole di infuocate parole
come fulmine accecante di tempesta.
Ti ho desiderata a lungo madre
come si brama il fiato per campare
come uno storpio anela ogni suo passo.
A lungo avrei voluto lambire il tuo sorriso
lasciare le mie impronte sul tuo cuore
addormentarmi dentro il tuo pensare.
Ma ti ho inventata madre
come fa un pazzo creatore
tagliando in pezzi il nome
sperando l’ovvietà di un risoluto rebus
perché la donna che era in te
io mai conobbi tutta intera.
E se la morte un dono ha fatto
è stato quello di ridarti dimensione
bandendo saldi sogni/fervide emozioni.
Allora
Non ti posso più inventare madre
sei a fondo nel mio mare
sei roccia sulle cime
sei astro che rischiara
sei verbo sul mio viso.
Non ti posso più inventare madre…
Ma le mani ancora tese
tramano un ordito mai immemore di te!!!!
(Emanuela Carniti- figlia di Alda Merini ed Ettore Carniti)
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