venerdì, Aprile 18, 2025

Abbiamo bisogno piú di notizie false che della veritá

Si fa un gran parlare delle false notizie diffuse soprattutto attraverso i social media; e anche di quella moderna versione degli opinion leader (per gli addetti ai lavori: Lazarsfeld, Berelson e Gaudet, 1944) che prolifera attraverso il buzz marketing: leggiamo su un forum o su un social media un commento (su un determinato prodotto, ma anche su un fatto) e pensiamo si tratti dell’opinione disinteressata di un utente, e quindi siamo propensi ad attribuirgli autenticità, mentre in realtà è scritto da qualcuno pagato per farlo. Pubblicità, insomma, o addirittura disinformazione mirata.

In realtà alle notizie false siamo assuefatti da sempre. Dalla pubblicità: prodotti per dimagrire, ringiovanire, rinvigorire, apparire più belli che non funzionano; dal cinema, che nonostante la sua esplicita essenza fiction per anni ha ispirato stili di vita, affermando canoni di bellezza e mode; dalla televisione, con la sua narrazione che contamina l’informazione con spettacolo.

Oggi i social permettono a chiunque di essere autore quanto pubblico; di scrivere e diffondere notizie, opinioni, interpretazioni e di leggere quelle degli altri – in uno spazio sconfinato nel quale coesistono culture, sensibilità, intenzioni diverse: dall’accademico che cura il proprio blog al diffamatore seriale. Ma anche – soprattutto – da persone normali che partecipano attivamente a questa catena di Sant’Antonio fatta di fake rispondendo istintivamente a bisogni cognitivi precedenti all’avvento dei social, e persino dei media tradizionali.

Il primo è quello di assolverci dalla sensazione di impotenza che deriva dall’incapacità di gestire le informazioni con cui veniamo a contatto. Il problema è che lo facciamo attraverso il filtro di una attenzione selettiva che ci rende sensibili solo a ciò che si pone come conferma delle nostre opinioni pregresse, come l’arresto di un politico appartenente ad un partito per il quale non abbiamo votato (ma non i guai giudiziari di quello a cui abbiamo dato la nostra preferenza). Oppure a questioni che non ci coinvolgono direttamente, come le prove della sofisticazione di un alimento che non consumiamo (ma non di quello che abitualmente è presente sulla nostra tavola).

Da qui al fake il passo è breve, perché l’obiettivo non è quello di informarsi (o di diffondere una informazione), ma di avvalorare le proprie tesi; e la notizia falsa, che si pone strumentale a questo obiettivo, è la più facile da comprendere ed accettare. Sono preoccupato (e magari arrabbiato) perché un mio parente ha perso il lavoro? ecco che nel web inizia il passa-parola su fantomatici immigrati a cui lo Stato ha trovato una occupazione retribuita. E una volta condiviso lo sdegno (sic!) non si torna indietro, anche una volta dimostrata l’infondatezza dell’informazione: perché in questo pour parler senza regole l’onere della prova è ribaltato: è la veridicità di una notizia che deve dimostrata, non il contrario.

Le possibilità offerte dai social inducono la soddisfazione (fittizia) anche di altri bisogni psicologici. Diffondere una informazione significa infatti assumere un ruolo prestigioso nei confronti della comunità virtuale in cui siamo inseriti, e allo stesso tempo rinforzare la nostra appartenenza ad essa. Spesso con esiti grotteschi, inducendo ad imbarazzanti rilanci di notizie copiate-e-incollate che già sono circolate da tempo, oppure completamente prive di fondamento in modo inversamente proporzionale alla loro (presunta) importanza.

Ecco perché le notizie false si diffondono in modo virale: perché ne abbiamo bisogno, e non solo per compensare le difficoltà della realtà nella quale viviamo, ma soprattutto per ritagliarci un posto in essa.

Massimiliano De Luca
Massimiliano De Lucahttp://www.massimilianodeluca.it
Sono nato a Firenze nel 1968. Dai 19 ai 35 anni ho speso le mie giornate in officine, caserme, uffici, alberghi, comunità – lavorando dove e come potevo e continuando a studiare senza un piano, accumulando titoli di studio senza mai sperare che un giorno servissero a qualcosa: la maturità scientifica, poi una laurea in “Scienze Politiche”, un diploma di specializzazione come “Operatore per le marginalità sociali”, un master in “Counseling e Formazione”, uno in “Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche”, un dottorato di ricerca in “Analisi dei conflitti nelle relazioni interpersonali e interculturali”. Dai 35 ai 53 mi sono convertito in educatore, progettista, docente universitario, ricercatore, sociologo, ma non ho dimenticato tutto quello che è successo prima. È questa la peculiarità della mia formazione: aver vissuto contemporaneamente l’esperienza del lavoro necessario e quella dello studio – due percorsi completamente diversi sul piano materiale ed emotivo, di cui cerco continuamente un punto di sintesi che faccia di me Ein Anstàndiger Menschun, un uomo decente. Ho cominciato a leggere a due anni e mezzo, ma ho smesso dai sedici ai venticinque; ho gettato via un’enormità di tempo mentre scrivevo e pubblicavo comunque qualcosa sin dagli anni ‘80: alcuni racconti e poesie (primo classificato premio letterario nazionale Apollo d’oro, Destinazione in corso, Città di Eleusi), poi ho esordito nel romanzo con "Le stelle sul soffitto" (La Strada, 1997), a cui è seguito il primo noir "Sotto gli occhi" (La Strada, 1998 - segnalazione d’onore Premio Mario Conti Città di Firenze); ho vinto i premi Città di Firenze e Amori in corso/Città di Terni per la sceneggiatura del cortometraggio "Un’altra vacanza" (EmmeFilm, 2002), e pubblicato il racconto "Solitario" nell’antologia dei finalisti del premio Orme Gialle (2002). Poi mi sono preso una decina di anni per riorganizzare la mia vita. Ricompaio come finalista nel 2014 al festival letterario Grado Giallo, e sono presente nell’antologia 2016 del premio Radio1 Plot Machine con il racconto "Storia di pugni e di gelosia" (RAI-ERI). Per i tipi di Delos Digital ho scritto gli apocrifi "Sherlock Holmes e l’avventura dell’uomo che non era lui" (2016), "Sherlock Holmes e il mistero del codice del Bardo" (2017), "Sherlock Holmes e l’avventura del pranzo di nozze" (2019) e il saggio "Vita di Sherlock Holmes" (2021), raccolti nel volume “Nuove mappe dell'apocrifo” (2021) a cura di Luigi Pachì. Il breve saggio "Resistere è fare la nostra parte" è stato pubblicato nel numero 59 della rivista monografica Prospektiva dal titolo “Oltre l’antifascismo” (2019). Con "Linea Gotica" (Damster, 2019) ho vinto il primo premio per il romanzo inedito alla VIII edizione del Premio Garfagnana in giallo/Barga noir. Il mio saggio “Una repubblica all’italiana” ha vinto il secondo premio alla XX edizione del Premio InediTO - Colline di Torino (2021). Negli ultimi anni lavoro come sociologo nell’ambito della comunicazione e del welfare, e svolgo attività di docenza e formazione in ambito universitario. Tra le miei ultime monografie: "Modelli sociali e aspettative" (Aracne, 2012), "Undermedia" (Aracne, 2013), "Deprivazione Relativa e mass media" (Cahiers di Scienze Sociali, 2016), "Scenari della postmodernità: valori emergenti, nuove forme di interazione e nuovi media" (et. al., MIR, 2017), Identità, ruoli, società (YCP, 2017), "UniDiversità: i percorsi universitari degli studenti con svantaggio" (et. al., Federsanità, 2018), “Violenza domestica e lockdown” (et. al., Federsanità, 2020), “Di fronte alla pandemia” (et. al., Federsanità, 2021), “Un’emergenza non solo sanitaria” (et. al., Federsanità, 2021) . Dal 2015 curo il mio blog di analisi politica e sociale Osservatorio7 (www.osservatorio7.com), dal 2020 pubblicato su periodicodaily.com. Tutto questo, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto a modo mio, ma più con impeto che intelligenza: è qui che devo migliorare.

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